SOSTENIBILITÀ
Come arrivare in vetta
Tutti si sono già ritirati nelle loro camerate al rifugio Tuckett. A eccezione di due uomini che, seduti uno di fronte all’altro a un tavolo, parlano fitto. Si conoscono da poco, ma si avverte che tra loro c’è una naturale sintonia, quella che nasce tra chi affronta assieme la fatica e condivide una stessa passione. Quella di chi nasce con la montagna dentro. Si tratta dell’alpinista Hervé Barmasse che, cresciuto ai piedi del Cervino, ha conquistato alcune delle vette più importanti della terra in puro stile alpino, cioè senza ossigeno, portatori, corde fisse e campi preinstallati per non interferire con l’ambiente naturale. II suo inedito «compagno di cordata» è Fabrizio Longo, direttore Audi Italia. Anche il produttore automobilistico da tempo adotta uno stile «pulito» per muoversi sull’arco alpino. Infatti, ha portato a Madonna di Campiglio la sua flotta di e-tron, il suv 100% elettrico, e sta realizzando infrastrutture di ricarica sui territori partner delle Dolomiti, dove collabora con enti e amministrazioni locali per sviluppare una mobilità su strada rispettosa. «Tutti oggi parlano di sostenibilità», riflette Longo. «Ma a me piace di più la parola “consapevolezza”.
Dietro alla consapevolezza c’è un valore molto più ampio perché presuppone una profonda conoscenza del contesto. E implica da parte delle aziende scelte che si traducono in soluzioni realistiche. Come nel caso della mobilità a zero emissioni: pensare di raggiungerla domani con la tecnologia esclusivamente elettrica non è possibile. Noi ce l’abbiamo, è straordinaria, ma bisogna fare i conti con il contesto e offrire una serie di alternative fruibili. Continuare a lavorare con tutti gli stakeholder e fare sistema per costruire le condizioni utili ad accogliere una mobilità 100% neutral. Come a Campiglio, in Alta Badia, a Cortina o in Costa Smeralda, dove, assieme ai nostri partner, stiamo accelerando lo sviluppo di un nuovo modello di mobilità compatibile con la protezione dell’asset ambientale».
Aggiunge Hervé Barmasse: «Ascoltando le parole di Fabrizio mi viene in mente che dobbiamo fare attenzione a che cosa intendiamo per “ambiente”: l’ambiente è tutto ciò che è natura, perché l’aria la respiriamo in città come in montagna. Noi dobbiamo migliorare questa dimensione umana e va fatto anche con senso di comunità e di aggregazione, a partire da scelte personali: in montagna ti porterai la borraccia, se vuoi ancora in plastica, ma che puoi usare per due anni, e non la bottiglia che ogni volta la butti. Dobbiamo soprattutto trovare soluzioni. Vedi, dal mondo dei motori già ne arrivano, mentre secondo me l’alpinista si muove troppo lentamente: dal punto di vista ideologico, culturale, dei valori, dell’etica siamo ancora lontani da proporre scelte importanti. L’alpinista è abituato a comunicare le sue imprese e non si accorge che oggi c’è prima di tutto da comunicare il rispetto per la montagna».
Lei cerca di farlo adottando uno stile «pulito» per le sue ascensioni.
HB: «La prima cosa che mi sono chiesto quando ho deciso di salire un 8.000 – la parete sud dello Shisha Pangma in Tibet – è stata come volevo farlo. Per me l’unico modo giusto era salire senza corde e senza portatori, perché tutto il materiale che viene portato su rimane su. La domanda da farsi è se sia più importante il nostro ego o la montagna. La montagna vogliamo conquistarla o difenderla?».
Entrambi, in modi diversi, aprite nuove vie. Ma dare l’esempio porta con sé una responsabilità.
FL: «Nel mondo automobilistico non c’è mai stata tanta confusione, ma non ci sono mai state così tante soluzioni come oggi. È il settore industriale che più di tutti ha fatto passi avanti sui temi di riduzione dell’inquinamento e per risolvere quello che era un problema: il nostro rapporto con la mobilità. Che, aggiungo, non è solo un problema delle grandi città, ma di Cremona come di Shanghai, di chi spende 70 mila o 25 mila euro. La sicurezza sulle strade appartiene a tutti e deve essere democraticamente gestita. Grazie alla tecnologia – come i sistemi predittivi di guida – quel senso di libertà che l’auto ha sempre rappresentato potrà essere mantenuto intatto nel rispetto della collettività. È una libertà “consapevole”, etica, che limita gli incidenti e riduce i costi sociali».
HB: «Sarò molto sincero: aprire nuove vie in solitario non è una cosa da tutti. Ognuno deve essere consapevole del proprio limite. E, secondo me, il modo in cui saliamo in montagna ci rispecchia: come facciamo le cose è più importante dell’obiettivo, nel giro di pochi anni, il “come” diventerà tutto. Specie per le nuove generazioni, che sono molto attente. Oggi la cosa più difficile è trovare soluzioni, e mi viene da chiedere a Fabrizio se lui veda delle soluzioni che, partendo dal mondo dei motori, arrivino in altri settori».
FL: «È quello che sta accadendo. Fino a 10, 15 anni fa ogni settore era molto autoriferito: chi faceva il distributore di energia non dialogava con chi fabbricava auto. Adesso c’è la consapevolezza che ognuno di noi può essere portatore sano di benefici in settori che fino a ieri sembravano distanti. E tutti probabilmente stiamo sposando la stessa filosofia, stiamo seduti insieme attorno allo stesso tavolo, dove le competenze sono al servizio di un’idea comune e ognuno, al proprio livello, sta scaricando a terra il massimo della potenza che ha per portare delle soluzioni. Questo mi fa essere più fiducioso che probabilmente la partita verso la sostenibilità può essere, non risolta domani, ma accelerata».
Che ruolo gioca l’innovazione in questa partita?
HB: «Nell’alpinismo quello che chiedo alle aziende con cui collaboro è di trovare soluzioni innovative per migliorare la prestazione ad altissimo livello. Ma poi, come insegna il mondo dei motori, quello che vediamo sulla Formula 1 prima o poi arriverà sull’auto di serie. Quando sono salito agli 8.000, al posto di avere uno scarpone normale da 1,100 kg, avevo un prototipo da 700 grammi. Nell’alpinismo se ho 400 grammi in più ai piedi è come avere 4 chili in più nello zaino. Capisci che in certe situazioni fa la differenza. Una volta la tecnologia nel mondo della montagna era vista come qualcosa di “sporco”, e invece può migliorare molti aspetti. E anche questo è un lavoro fatto da un team: io posso avere un’idea, ma poi ci vuole l’ingegnere che me la realizza. Non so se poi succeda la stessa cosa nel mondo delle auto...».
FL: «Io ti dico quello che l’innovazione non dovrebbe essere. Secondo me, non dovrebbe essere un’overdose quasi invasiva ma che potrebbe anche non portare benefici diretti. Che sia in medicina, mobilità, cultura, alpinismo... l’innovazione è tale se riesce a portare vantaggi immediati e visibili, altrimenti diventa una forma di vanità aziendale, in cui profondiamo dei livelli di investimenti incredibilmente elevati. Oggi però l’intelligenza artificiale, che è la frontiera, apre moltissime strade e, soprattutto, consente una forma di personalizzazione dei benefici».
Per esempio, il nuovo «Audi functions on demand» consente di personalizzare la dotazione dell’auto in modo ancora più flessibile. È un cambio di paradigma?
FL: «Credo che si debba passare dalla centralità del prodotto alla centralità dell’attitudine: non costruiamo più prodotti, ma mobilità. Che è un fattore sociale, sono comportamenti. È necessario creare proposte per rendere la mobilità qualcosa che ti piace, che ti libera, che ti fa sentire soddisfatto. Negli ultimi anni era esattamente l’opposto: “Maledetta l’auto, il traffico, la confusione, il parcheggio”. Invece oggi dobbiamo recuperare quell’idea bellissima di anarchia nell’auto. L’auto deve rimanere un manifesto di libertà. Tornando al punto di partenza: oggi la libertà individuale deve diventare una libertà consapevole, che vuol dire una libertà responsabile. Non è più una scelta solo individuale, ma è una scelta che dal singolo poi ricade anche nel benessere collettivo. Oggi le tecnologie ci possono aiutare a fare questo passaggio. Quindi viva l’innovazione, se gestita in questo modo».
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