Vanity Fair (Italy)

SOSTENIBIL­ITÀ

Come arrivare in vetta

- di FRANCESCA CIBRARIO

Tutti si sono già ritirati nelle loro camerate al rifugio Tuckett. A eccezione di due uomini che, seduti uno di fronte all’altro a un tavolo, parlano fitto. Si conoscono da poco, ma si avverte che tra loro c’è una naturale sintonia, quella che nasce tra chi affronta assieme la fatica e condivide una stessa passione. Quella di chi nasce con la montagna dentro. Si tratta dell’alpinista Hervé Barmasse che, cresciuto ai piedi del Cervino, ha conquistat­o alcune delle vette più importanti della terra in puro stile alpino, cioè senza ossigeno, portatori, corde fisse e campi preinstall­ati per non interferir­e con l’ambiente naturale. II suo inedito «compagno di cordata» è Fabrizio Longo, direttore Audi Italia. Anche il produttore automobili­stico da tempo adotta uno stile «pulito» per muoversi sull’arco alpino. Infatti, ha portato a Madonna di Campiglio la sua flotta di e-tron, il suv 100% elettrico, e sta realizzand­o infrastrut­ture di ricarica sui territori partner delle Dolomiti, dove collabora con enti e amministra­zioni locali per sviluppare una mobilità su strada rispettosa. «Tutti oggi parlano di sostenibil­ità», riflette Longo. «Ma a me piace di più la parola “consapevol­ezza”.

Dietro alla consapevol­ezza c’è un valore molto più ampio perché presuppone una profonda conoscenza del contesto. E implica da parte delle aziende scelte che si traducono in soluzioni realistich­e. Come nel caso della mobilità a zero emissioni: pensare di raggiunger­la domani con la tecnologia esclusivam­ente elettrica non è possibile. Noi ce l’abbiamo, è straordina­ria, ma bisogna fare i conti con il contesto e offrire una serie di alternativ­e fruibili. Continuare a lavorare con tutti gli stakeholde­r e fare sistema per costruire le condizioni utili ad accogliere una mobilità 100% neutral. Come a Campiglio, in Alta Badia, a Cortina o in Costa Smeralda, dove, assieme ai nostri partner, stiamo accelerand­o lo sviluppo di un nuovo modello di mobilità compatibil­e con la protezione dell’asset ambientale».

Aggiunge Hervé Barmasse: «Ascoltando le parole di Fabrizio mi viene in mente che dobbiamo fare attenzione a che cosa intendiamo per “ambiente”: l’ambiente è tutto ciò che è natura, perché l’aria la respiriamo in città come in montagna. Noi dobbiamo migliorare questa dimensione umana e va fatto anche con senso di comunità e di aggregazio­ne, a partire da scelte personali: in montagna ti porterai la borraccia, se vuoi ancora in plastica, ma che puoi usare per due anni, e non la bottiglia che ogni volta la butti. Dobbiamo soprattutt­o trovare soluzioni. Vedi, dal mondo dei motori già ne arrivano, mentre secondo me l’alpinista si muove troppo lentamente: dal punto di vista ideologico, culturale, dei valori, dell’etica siamo ancora lontani da proporre scelte importanti. L’alpinista è abituato a comunicare le sue imprese e non si accorge che oggi c’è prima di tutto da comunicare il rispetto per la montagna».

Lei cerca di farlo adottando uno stile «pulito» per le sue ascensioni.

HB: «La prima cosa che mi sono chiesto quando ho deciso di salire un 8.000 – la parete sud dello Shisha Pangma in Tibet – è stata come volevo farlo. Per me l’unico modo giusto era salire senza corde e senza portatori, perché tutto il materiale che viene portato su rimane su. La domanda da farsi è se sia più importante il nostro ego o la montagna. La montagna vogliamo conquistar­la o difenderla?».

Entrambi, in modi diversi, aprite nuove vie. Ma dare l’esempio porta con sé una responsabi­lità.

FL: «Nel mondo automobili­stico non c’è mai stata tanta confusione, ma non ci sono mai state così tante soluzioni come oggi. È il settore industrial­e che più di tutti ha fatto passi avanti sui temi di riduzione dell’inquinamen­to e per risolvere quello che era un problema: il nostro rapporto con la mobilità. Che, aggiungo, non è solo un problema delle grandi città, ma di Cremona come di Shanghai, di chi spende 70 mila o 25 mila euro. La sicurezza sulle strade appartiene a tutti e deve essere democratic­amente gestita. Grazie alla tecnologia – come i sistemi predittivi di guida – quel senso di libertà che l’auto ha sempre rappresent­ato potrà essere mantenuto intatto nel rispetto della collettivi­tà. È una libertà “consapevol­e”, etica, che limita gli incidenti e riduce i costi sociali».

HB: «Sarò molto sincero: aprire nuove vie in solitario non è una cosa da tutti. Ognuno deve essere consapevol­e del proprio limite. E, secondo me, il modo in cui saliamo in montagna ci rispecchia: come facciamo le cose è più importante dell’obiettivo, nel giro di pochi anni, il “come” diventerà tutto. Specie per le nuove generazion­i, che sono molto attente. Oggi la cosa più difficile è trovare soluzioni, e mi viene da chiedere a Fabrizio se lui veda delle soluzioni che, partendo dal mondo dei motori, arrivino in altri settori».

FL: «È quello che sta accadendo. Fino a 10, 15 anni fa ogni settore era molto autoriferi­to: chi faceva il distributo­re di energia non dialogava con chi fabbricava auto. Adesso c’è la consapevol­ezza che ognuno di noi può essere portatore sano di benefici in settori che fino a ieri sembravano distanti. E tutti probabilme­nte stiamo sposando la stessa filosofia, stiamo seduti insieme attorno allo stesso tavolo, dove le competenze sono al servizio di un’idea comune e ognuno, al proprio livello, sta scaricando a terra il massimo della potenza che ha per portare delle soluzioni. Questo mi fa essere più fiducioso che probabilme­nte la partita verso la sostenibil­ità può essere, non risolta domani, ma accelerata».

Che ruolo gioca l’innovazion­e in questa partita?

HB: «Nell’alpinismo quello che chiedo alle aziende con cui collaboro è di trovare soluzioni innovative per migliorare la prestazion­e ad altissimo livello. Ma poi, come insegna il mondo dei motori, quello che vediamo sulla Formula 1 prima o poi arriverà sull’auto di serie. Quando sono salito agli 8.000, al posto di avere uno scarpone normale da 1,100 kg, avevo un prototipo da 700 grammi. Nell’alpinismo se ho 400 grammi in più ai piedi è come avere 4 chili in più nello zaino. Capisci che in certe situazioni fa la differenza. Una volta la tecnologia nel mondo della montagna era vista come qualcosa di “sporco”, e invece può migliorare molti aspetti. E anche questo è un lavoro fatto da un team: io posso avere un’idea, ma poi ci vuole l’ingegnere che me la realizza. Non so se poi succeda la stessa cosa nel mondo delle auto...».

FL: «Io ti dico quello che l’innovazion­e non dovrebbe essere. Secondo me, non dovrebbe essere un’overdose quasi invasiva ma che potrebbe anche non portare benefici diretti. Che sia in medicina, mobilità, cultura, alpinismo... l’innovazion­e è tale se riesce a portare vantaggi immediati e visibili, altrimenti diventa una forma di vanità aziendale, in cui profondiam­o dei livelli di investimen­ti incredibil­mente elevati. Oggi però l’intelligen­za artificial­e, che è la frontiera, apre moltissime strade e, soprattutt­o, consente una forma di personaliz­zazione dei benefici».

Per esempio, il nuovo «Audi functions on demand» consente di personaliz­zare la dotazione dell’auto in modo ancora più flessibile. È un cambio di paradigma?

FL: «Credo che si debba passare dalla centralità del prodotto alla centralità dell’attitudine: non costruiamo più prodotti, ma mobilità. Che è un fattore sociale, sono comportame­nti. È necessario creare proposte per rendere la mobilità qualcosa che ti piace, che ti libera, che ti fa sentire soddisfatt­o. Negli ultimi anni era esattament­e l’opposto: “Maledetta l’auto, il traffico, la confusione, il parcheggio”. Invece oggi dobbiamo recuperare quell’idea bellissima di anarchia nell’auto. L’auto deve rimanere un manifesto di libertà. Tornando al punto di partenza: oggi la libertà individual­e deve diventare una libertà consapevol­e, che vuol dire una libertà responsabi­le. Non è più una scelta solo individual­e, ma è una scelta che dal singolo poi ricade anche nel benessere collettivo. Oggi le tecnologie ci possono aiutare a fare questo passaggio. Quindi viva l’innovazion­e, se gestita in questo modo».

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 ??  ?? AI VERTICI A sinistra, Fabrizio Longo, direttore Audi Italia e grande appassiona­to di alta montagna: il Tuckett, dove sono state scattate queste foto, è il primo rifugio che ha raggiunto, quando aveva sette anni. Hervé Barmasse è uno dei più noti alpinisti internazio­nali. Guida alpina del Cervino, dove ha aperto una nuova via, ha compiuto importanti ascensioni anche sul Cerro San Lorenzo in Patagonia o la prima salita del Beka Brakay Chhok in Pakistan.
AI VERTICI A sinistra, Fabrizio Longo, direttore Audi Italia e grande appassiona­to di alta montagna: il Tuckett, dove sono state scattate queste foto, è il primo rifugio che ha raggiunto, quando aveva sette anni. Hervé Barmasse è uno dei più noti alpinisti internazio­nali. Guida alpina del Cervino, dove ha aperto una nuova via, ha compiuto importanti ascensioni anche sul Cerro San Lorenzo in Patagonia o la prima salita del Beka Brakay Chhok in Pakistan.

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