LIAM CUNNINGHAM
In tv dopo Il Trono di Spade
Ovvero, una preda che tutti vogliono catturare. Merito di Ser Davos del Trono di Spade, che gli ha regalato la notorietà e l’attenzione delle donne. Ora Liam Cunningham sta per tornare in tv nei panni di un personaggio che non combatte gli zombie, bensì un’epidemia mortale. P.S. L’epidemia, a differenza degli zombie, esiste. E, dopo anni di silenzio, è tornata a uccidere...
«Noi viviamo sotto una costante minaccia e non ce ne rendiamo conto».
Quale minaccia, scusi?
«L’Ebola: una settimana fa è stato registrato il primo caso a Goma, una città del Congo poverissima, ma da cui transitano milioni di persone. Se l’epidemia si spostasse in Uganda sarebbe l’inizio della fine».
Perché?
«Perché diventerebbe difficile da arginare. L’intero pianeta sarebbe a rischio». I toni apocalittici di Liam Cunningham, meglio conosciuto come Ser Davos del Trono di Spade, sono giustificati dall’incipit di The Hot Zone, la nuova serie di cui è protagonista. Nei primi minuti, un uomo pieno di pustole e madido di sudore viene caricato su un aereo. Barcolla lungo il corridoio sfiorando sventurati passeggeri. Poi si siede e, con ribrezzo del vicino – e dello spettatore –, agguanta il sacchetto bianco e comincia a rimettere sangue. Morirà poco dopo.
«Questa febbre emorragica si mangia la vittima viva», prosegue l’attore irlandese, comprensibilmente concitato. Ogni volta che pronuncia la parola «Ebola» inarca le sopracciglia fino a un punto di non ritorno e schiarisce gli occhi color vetrini del mare. Il 58enne è molto serio mentre spiega come la nuova fiction, in onda su National Geographic dal 4 settembre, sia mirata a sensibilizzare il pubblico: «Quando è arrivato l’Aids la gente non si è spaventata subito perché la riteneva “la malattia dei gay”. Con l’Ebola, pensano che si tratti di un “problema africano”. Sbagliano». Ma il tono sostenuto dura poco. Fino alla domanda successiva, per l’esattezza.
Quindi lei ha accettato la parte per senso etico.
«No, per far felice mia moglie. Quando ha saputo che avrei lavorato con Julianna Margulies, l’infermiera Hathaway di
E.R. - Medici in prima linea, mi ha ordinato: “Accetta”».
Nella prima puntata Margulies, alias Nancy Jaax, dice: «La paura affina l’intelligenza». Concorda?
«Assolutamente. A 25 anni ho accettato una proposta di lavoro in Zimbabwe: dovevo gestire la manutenzione degli impianti elettrici in un safari park. È stata la paura di perdere un’opportunità a farmi dire sì. Non ero mai stato da nessuna parte. E anche quando sono rientrato a Dublino è stato perché temevo di sentirmi troppo a casa all’estero».
In Africa è rimasto tre anni e mezzo.
«Il tempo di familiarizzare con boscaglie e stradine sterrate, Land Rover scassate e posti di blocco con fucile spianato».
Anche lì ha avuto paura?
«No: i soldati nei villaggi non premono il grilletto molto spesso. In compenso, quell’esperienza mi è servita per interpretare Wade Carter, il personaggio fittizio che, in The Hot Zone, incarna uno dei primi scopritori dell’Ebola. Poi, certo, ho dovuto lavorare sulla sceneggiatura».
Che cosa ha fatto di concreto?
«Mi sono chiesto: come posso dare vita alle parole in modo che la signora che mi guarda in tv pianga, si arrabbi, sospiri? Solo provarci è un privilegio: per me il cinema è magia».
Appassionato da sempre?
«Da quando, ragazzino, vedevo un film di Bruce Lee, uscivo galvanizzato e cominciavo a desiderare di diventare un esperto di arti marziali». (Mentre lo dice solleva il suo metro e 85 e, con braccio e gamba, mima una mossa di karate.)
Allora perché, a 15 anni, ha mollato il liceo e cominciato a fare l’elettricista?
«Ma io mi sono diplomato! Quella è una falsa informazione che si trova su Wikipedia. Non ho mai segnalato l’errore perché mi starei sul cazzo da solo. (Si schiarisce la voce, continua con un tono nasale e una cadenza da burocrate.) Signori, con la presente vorrei precisare che… fanculo: tanto la stampa mente sempre».
Qual è la verità?
«Dopo la maturità ho voluto imparare un mestiere. Vedevo mio padre, operaio stile Marlon Brando in Fronte del
porto: ogni volta che tirava aria di crisi, lui e i suoi colleghi senza specializzazione venivano considerati “esuberi” e rischiavano il posto. Io non ho mai temuto il licenziamento perché, forte delle mie competenze, avrei trovato lavoro da un’altra parte. E anche quando ho cominciato a recitare ho sempre pensato: se non funziona torno ad allacciare cavi, ma non farò mancare il pane in tavola alla mia famiglia».
A lei è mancato il pane in tavola, da bambino?
«Mai. Però a casa mia vigeva la politica “chi primo si sveglia, meglio si veste”: siamo cinque fratelli e i nostri abiti erano impilati su un’unica sedia».
Ne parla con allegria.
«Avevo tutto ciò che i soldi non possono comprare».
Vale a dire?
«Una famiglia amorevole, una madre in gambissima».
Lei di cosa si occupava?
«Dei figli. Ha sacrificato la sua indipendenza per prendersi cura di noi cinque. Ma era tutt’altro che frustrata: minuscola nel suo metro e 55, contro la grossa stazza di mio padre, era così furba da fargli credere che fosse lui il capofamiglia. Non aveva bisogno di indossare la corona: la corona era sua. Quando papà mi dava il permesso di fare qualcosa, io guardavo lei: se scuoteva la testa, addio permesso. Non è mai stata arrogante però: era, ed è tuttora, una signora posata, molto cattolica, di quelle che raccolgono le offerte per la Chiesa».
Lei è credente?
«No: troppo gravi alcune azioni del Vaticano».
Papa Francesco le piace?
«È un passo avanti».
Rispetto a Ratzinger?
«Rispetto a tutti i predecessori. Deve solo modernizzare un po’ il punto di vista sui diritti dei gay».
Per ora è molto concentrato sui diritti dei migranti.
«A ragion veduta. Io ho visitato vari campi profughi in Africa: è una vergogna il modo in cui trattiamo queste persone. Soprattutto considerando il fatto che è colpa nostra se molti di loro sono in fuga. Se la Nato si fosse risparmiata l’invasione della Libia nel 2011, se non avessimo bombardato la Siria, oggi non avremmo un’emergenza umanitaria».
Che fa così paura agli occidentali da spingerli verso scelte populiste, come la Brexit.
«I media hanno avuto una grossa responsabilità in quel caso. Sa qual è l’acerrimo nemico della democrazia?».
L’individualismo?
«I canali di news 24 ore su 24. Nessuno li segue se non c’è un po’ di dramma. Ora, non credo che né la Bbc né la Cnn né Msnbc o la Cbs volessero la Brexit o l’elezione di Trump: tutti però puntavano a tenere alta la tensione, perché l’alta tensione crea ascolti e gli ascolti generano profitti. Come disse nel 2016 Leslie Moonves (ex presidente della Cbs, costretto alle dimissioni un anno fa dopo accuse di molestie, ndr), “Trump farà molto male allA’ merica, ma ha fatto molto bene ai miei telegiornali”. Oddio, sto pontificando: possiamo iniziare tutte le risposte con “a mio modestissimo parere”?».
Il suo modestissimo parere non risparmia qualche dietrologia: merito di sette anni sul set del Trono di Spade, che dalla teoria del complotto ha tratto un successo planetario?
«Il successo della serie si spiega facilmente: draghi, morti viventi, streghe e fantasmi sono espedienti per raccontare come il potere può corrompere un cuore puro. Il Trono di
Spade parla della nostra società: per questo l’amiamo».
Tanti non hanno apprezzato l’ultima stagione.
«Non hanno apprezzato? Vogliono ucciderci!».
C’è addirittura una petizione online per riscrivere il finale.
«Volevate forse il lieto fine con Jon Snow e Daenerys all’altare e drago al guinzaglio? Ridicolo».
L’insoddisfazione era voluta per lasciare spazio a un film?
«No, nein, finito, kaput. Sa perché?».
No.
«Gli sceneggiatori sono già alle prese con Guerre stellari. L’ultima puntata era un addio. Non sarò mai più Ser Davos».
Ora che ha del tempo libero, tornerà in teatro?
«Ho un senso di colpa perenne per aver abbandonato la Royal Shakespeare Academy, ma adesso i miei figli sono abituati a comprarsi un paio di scarpe nuove senza problemi…».
Stanno ancora studiando?
«La maggiore lavora: disegna videogames. Liam Junior si è da poco laureato in Informatica. Il piccolo, Sean, ha 18 anni e vuole diventare chef. Cuciniamo spesso assieme».
Quindi ai fornelli se la cava anche lei?
«Devono dirlo gli altri».
Per capirci: cucina meglio lei di sua moglie?
«Ma è pazza? Non risponderò mai: finirei nei pasticci».
Le faccio correre il rischio di un pasticcio maggiore: come sono cambiate le donne nei suoi confronti, dopo il boom del Trono di Spade?
«Si comportano con me, e con il resto del cast, come gli uomini insistenti si comportano con le belle ragazze: ci riempiono di attenzioni, ci interrompono, ci inseguono per fare una foto. Per usare un’espressione di Kit (Harington, Jon Snow nella
serie, ndr): ci danno la caccia come fossimo dei Pokémon. Sono piuttosto consapevole, però, che è un successo legato alla serie. Cinque anni fa nessuno sapeva il mio nome e non ho mai pensato: all’improvviso sono diventato un bel bocconcino! Al massimo sono diventato un Pokémon».
Sua moglie è gelosa?
«Neanche un po’: era abituata a stare con una testa di cazzo di elettricista, ora sta con una testa di cazzo di attore. Le preme solo tenere a bada la mia testa di cazzo. Sul resto sorvola».
Cosa che la aiuta a stare con i piedi per terra?
«Se mai mi montassi la testa, mi farebbe passare la voglia a suon di scappellotti. Comunque, a volare basso ci penso da solo: so già che, prima o poi, tutto questo finirà. E che io scomparirò nell’angolino buio da cui sono arrivato».
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