Vanity Fair (Italy)

EDITORIALE

- di Simone Marchetti

Quello che è non è quello che sembra. È una frase del romanzo La fiera della vanità che abbiamo deciso di mettere sopra la testata di Vanity

Fair, in copertina. È un manifesto, il nostro manifesto: mostrarvi, in ogni numero, quello che si nasconde dietro le sembianze delle notizie, dei personaggi, del mare magnum di post, status e immagini a cui siamo sottoposti ogni minuto delle nostre giornate.

Questa settimana abbiamo fatto una scelta ardita: riproporre una copertina di Vanity Fair del 1992 con l’attore Luke Perry, protagonis­ta della serie Beverly Hills 90210, in uno scatto della grande fotografa Annie Leibovitz. Il prossimo 7 agosto, infatti, debutterà sugli schermi americani (per poi arrivare in Italia) il secondo capitolo di questo serial tanto amato, purtroppo senza Luke, che è scomparso lo scorso 4 marzo.

La domanda che vi poniamo è semplice: perché, a distanza di tanto tempo, abbiamo ancora tutti Dylan nel cuore? Cos’ha di speciale quel volto, che tanto deve al mito di James Dean, alla California libera e soprattutt­o all’archetipo del ragazzo sbagliato, quello meno raccomanda­bile, ma proprio per questo più desiderabi­le?

Una giovane, bravissima scrittrice e sceneggiat­rice, Chiara Barzini, dà una risposta brillante nel pezzo che trovate a corredo delle immagini di Luke/Dylan. Non voglio anticiparv­i nulla, ma vorrei, invece, ricordare i tanti personaggi illustri che sono scomparsi la scorsa settimana: il destino a volte è beffardo e sembra inanellare gli addii con un certo sadismo. Come si può reagire? Come ci si pone, cosa bisogna fare di fronte alla morte dello scrittore Andrea Camilleri, di Luciano De Crescenzo, di quel sublime inventore di storie che rispondeva al nome di Mattia Torre, dell’attrice Ilaria Occhini o del giudice Francesco Saverio Borrelli?

Una risposta tenera e commovente arriva da un post su Facebook di Federica, figlia dello stesso Borrelli. «Ti tengo la mano e insieme alle lacrime che non ho il pudore di nascondere, scorrono mille ricordi. Ci sei stato anche nel momento più buio: quando mi sono ammalata mi hai portato in giro per capire cos’era questa maledetta malattia. Mi manca il tuo arguto senso critico, che si parlasse di filosofia, di letteratur­a, musica, storia e arte. Mi manca il suono del tuo pianoforte che giace orfano del tuo talento, come orfani siamo noi. Papà vorrei averti potuto e saputo dare tutto quello che mi hai dato. Per sempre».

In quel «per sempre», nel momento in cui la vita finisce e «per sempre» inizia sta forse la risposta della memoria che diventa di nuovo vita. Certo, ci vogliono impegno, grandezza e tanta fatica a lasciare un «per sempre» come quello delle persone che ci hanno salutato.

E voi, pensate mai a quale «per sempre» lascerete? PS: continuate a scrivermi pensieri, consigli e riflession­i a smarchetti@condenast.it

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di SIMONE MARCHETTI

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