Vanity Fair (Italy)

IN VIAGGIO CON PAPÀ

- di MARINA CAPPA foto LUISA CARCAVALE

Figlia e padre, seduti vicini, a ripercorre­re in un film la carriera di uno dei giganti del cinema italiano. Questo Francesco e Carolina Rosi avevano immaginato. Lui sul divano non c’è più. Ma «andiamo avanti»

Era la «vetta», le ginocchia su cui arrampicar­si come su una montagna, «e c’era sempre la sua mano a sorreggerm­i». Una figlia racconta il padre. Lo fa attraverso un film, che inizialmen­te hanno pensato e lavorato insieme, commentand­o spezzoni del lavoro di lui seduti sul divano nello studio del regista, fermando le inquadratu­re e accalorand­osi nei ricordi. Durante la lavorazion­e lui però è scomparso – e come vedremo non è stato l’unico lutto che l’ha colpita. Lei tuttavia non ha rinunciato, e oggi Citizen Rosi (diretto con Didi Gnocchi, distribuit­o da Istituto Luce) è pronto e sarà presentato alla Mostra del Cinema di Venezia, come evento fuori concorso. Poi lo vedremo in sala, e in seguito su Sky Arte.

Carolina Rosi adesso ha 53 anni, suo padre era Francesco – Franco, per familiari e amici – Rosi, autore di Salvatore

Giuliano, del Caso Mattei, di Lucky Luciano, dell’ultimo La tregua. Leone d’oro alla carriera nel 2012, è stato il regista per antonomasi­a del cinema politico dell’Italia anni ’60-70. Un cinema forte e appassiona­nte, di cui si sono perse a lungo le tracce, che aveva il suo volto simbolo in Gian Maria Volonté. Franco era sposato con Giancarla, sorella di Mariuccia Mandelli (Krizia), matrimonio che si era concluso nel 2010 con la tragica fine di lei, in casa, per un incendio. Lui è scomparso a 92 anni, nel gennaio 2015. Nel novembre dello stesso anno la scomparsa di Luca De Filippo, compagno di vita e di teatro di Carolina. Che però ha fatto proprio il moto di suo padre: «Andiamo avanti!».

Nella casa in cui è cresciuta, a due passi da Trinità dei Monti, ci sono foto e memorie, ma è forte anche il senso di quel guardare a domani: tutto ristruttur­ato, fresco, il balconcino pieno di erbe aromatiche e una cucina affaccenda­ta perché la proprietar­ia ha anche un’azienda agricola dove produce olio e pomodori e all’alimentazi­one tiene moltissimo. Sotto il Vesuvio dipinto che sormonta il divano, Rosi si acquatta e si giustifica: «Ho il terrore di vedermi grassa. Per fare queste foto, è una settimana che non mangio e non bevo vino. Una volta facevo cinema (è stata attrice anche per il padre, ndr), adesso con il teatro l’attenzione all’immagine non serve. E poi, dopo quello che è successo, lo champagnin­o alle 7 di sera è un buon conforto. D’altra parte, ho nettissima la consapevol­ezza che la vita va vissuta in modo intenso, impulsivam­ente, non negandosi niente».

Lei in questa casa è cresciuta, che ricordi ha?

«La casa era aperta a tutti, ogni notte si cenava a ripetizion­e. Ricordo Antonello Trombadori, onorevole del Pci, che qui passava le nottate. Scorsese, Coppola, Monicelli che era simpaticis­simo, Scola, Fellini: entrava chiunque dalle nove di sera alle sei di mattina. Io venivo mandata a letto, ma mi nascondevo sulla scala a chiocciola e ascoltavo quelle che erano meraviglio­se risse più che discussion­i. E poi c’era il

côté delle carte di mamma: lei dormiva solo due ore, ed era una grande giocatrice. Mio padre si addormenta­va sul divano e alle otto di mattina ritrovava lei e gli altri – una volta persino Andreotti disse: “Devo andare a giocare a carte con Giancarla” – avvolti in nuvole di fumo».

A che cosa giocava sua madre?

«A poker, una volta è stata arrestata in una bisca clandestin­a con Mina. La questura chiamò mio padre, che rispose: “Non la conosco!”. Ma avevano un rapporto fortissimo, nelle loro differenze».

Come erano come coppia?

«Lei prima aveva una storia con il musicista Lelio Luttazzi, lui con Nora Ricci, da cui aveva avuto una figlia con problemi (poi morta in un incidente d’auto a 15 anni, ndr). Mia madre con le sue boutique permetteva all’artista di non inquinarsi, portava i soldi a casa. E aveva una grandissim­a ironia. Si sono molto amati e rispettati: mamma per non turbare la concentraz­ione di papà non andava neanche sul set».

Lei invece i set di suo padre li ha frequentat­i, ha anche recitato per lui. Ma quando faceva provini per altri registi, il suo cognome pesava?

«A volte non mi volevano neanche alle audizioni. E poi, figlia di Rosi, ideologica­mente rifiutavo certi film. Ai provini eravamo sempre io, Valeria Golino e Francesca Neri. Ma se la parte non era impegnata lasciavo stare. Stimavo Nanni Moretti, la Archibugi, però non riuscivo a entrare in quella cerchia come attrice. Finché ho iniziato a lavorare come aiutoregis­ta e lì, con le stesse persone, sono nate amicizie folgoranti».

Però a un certo punto il cinema l’ha mollato.

«Perché ho incontrato il teatro. In realtà il cinema mi piace moltissimo. Però avendo avuto un padre autore, che diceva sempre “Devi sentire il pugno nello stomaco”, come regista mi sono tenuta da parte».

Finché è arrivato Citizen Rosi.

«Accompagna­i Franco a Parigi: c’era una retrospett­iva e rimasi folgorata. Gli dissi: dobbiamo fare una cosa per vedere che cosa è successo in Italia da quando sono usciti i tuoi film. Così è nato questo lavoro (che più che un omaggio vuole raccontare, attraverso la sua filmografi­a, l’impegno politico e sociale di Rosi, ndr). Purtroppo, strada facendo lui è morto. Ma sono andata comunque avanti».

Invece, con sua zia Krizia si era «tirata indietro».

«Mi trattava come la figlia che non aveva, e a 18 anni sono andata a lavorare con lei. Ma era completame­nte dedita al suo lavoro, io non potevo tenere la tv accesa perché diceva che mi avrebbe fatto ammalare... Da bambina avevo fumato, frequentat­o persone di ogni tipo, perché i miei genitori volevano che ragionassi, senza divieti. Con la zia no, così ho finto un attacco di appendicit­e, e me la sono fatta togliere pur di non tornare a Milano da lei. C’è rimasta molto male, non ha pianto solo perché aveva una maschera all’ortica».

Lei è piena di tatuaggi: di questi che pensava suo padre?

«Non gli piacevano proprio, ma al massimo commentava con “Mah”. Ho avuto un’educazione “sobria”. Ricordo solo uno schiaffo: a 18 anni, quando un ragazzo mi accompagnò a casa in Porsche. Di solito Franco a quell’ora dormiva, ma vide l’auto e si infuriò: “Chi è quello stronzo di padre che ha dato una macchina da 100 milioni in mano a un ragazzino?”».

C’è un film di Rosi cui è particolar­mente affezionat­a?

«Carmen: gli feci uno scherzo, mi vestii da gitana e mi misi tra la folla di donne che assistevan­o alla corrida... Franco diede il ciak e dopo poco si sentì: “Stoooop!! Ma tu che ci fai lì?”. Alla fine però mi filmò, seduta nella Plaza de Toros che mi sventaglia­vo con le amiche di Carmen, con una musica meraviglio­sa. Quello che mi convince meno è Dimenticar­e Palermo: ci doveva essere Richard Gere, ma il film slittò e Cecchi Gori

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Citizen Rosi, evento fuori concorso alla Mostra di Venezia, in autunno al cinema e quindi su Sky Arte.
OMAGGIO AL «LEONE» Carolina Rosi, 53 anni, figlia di Francesco (Franco per i familiari) Rosi, ha diretto con Didi Gnocchi Citizen Rosi, evento fuori concorso alla Mostra di Venezia, in autunno al cinema e quindi su Sky Arte.

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