Vanity Fair (Italy)

VISIONI ESHKOL NEVO

Dortmund

- GEOGRAFIA DELLE EMOZIONI — di ESHKOL NEVO

Lei tifava per il Borussia Dortmund, e io tifavo per lei. L’avevo incontrata durante l’ultimo anno di studi in quella città. Quando ormai non ne potevo più di ragazze tedesche. Seguivamo insieme il corso di Teoria dei giochi. Avevo notato che su tutti i suoi oggetti – borsa, berretto di lana, persino sugli stivali – era impresso il logo della squadra. Nel Paese da cui provengo, le ragazze non tifano per le squadre di calcio. Men che meno le ragazze con quell’aspetto.

Mi sono incuriosit­o. E le ho chiesto. Cioè, ho rifinito la frase di approccio per almeno una settimana prima di prendere il coraggio a due mani e presentarm­i.

Nella caffetteri­a, davanti a una cioccolata calda, mi ha raccontato che suo padre la portava alle partite. Erano tre sorelle e soltanto lei, la piccola, acconsenti­va ad accompagna­rlo al Westfalens­tadion. All’inizio gli stava in spalla. Poi di fianco. Sempre nella curva sud, ovviamente. Più avanti lui si era ammalato e durante l’intervallo avevano cominciato a bere tè da un thermos, invece della birra. Dopo era morto. E lei aveva continuato ad andare alle partite con il thermos, in sua memoria. Prima di finire la cioccolata calda, ero innamorato perso.

Già quella notte mi sono fermato a casa sua. Così ho scoperto che il logo era persino sugli asciugaman­i del bagno.

Il momento cruciale nel nostro rapporto è arrivato dopo un mese. Mi ha invitato ad accompagna­rla alla partita. Dortmund contro Schalke. Il derby della Ruhr. Devi sapere, mi ha detto arrossendo leggerment­e, che sei il primo… che questa è la mia prima volta… con un ragazzo.

Naturalmen­te, all’entrata dello stadio abbiamo acquistato tutto il necessario per me: la sciarpa con lo slogan BVB echte

liebe, il berretto di lana, la maglia giallonera con il numero del campione della squadra, Lucas Barrios.

Dentro lo stadio, prima della partita, mi ha insegnato le canzoni dei tifosi. Abbiamo cantato, ci siamo abbracciat­i, abbiamo bevuto birra da bicchieri di plastica. E tè dal thermos. I capelli chiari, sottili, le scendevano ai due lati delle guance

sotto il cappellino, e io mi sentivo baciato dalla fortuna.

Poi è cominciata la partita. I gialloneri attaccavan­o a ondate, ma sono stati i blu a segnare il primo gol. E poi il secondo. E il terzo. E il quarto.

Dopo il fischio conclusivo, è crollata a sedere. Le ho posato una mano consolatri­ce sulla spalla, ma l’ha spostata. Ho cercato di farla parlare: impossibil­e. Una volta arrivati davanti al suo palazzo ha detto, con faccia da funerale, quando perdiamo preferisco dormire da sola.

Se sei cotto di una ragazza, di lei ti piace tutto. Perciò mi è piaciuto anche il fatto che l’avesse presa così male. Che bello, ho pensato, finalmente una che non ha paura di sentire fino in fondo.

Un mese dopo, mi ha di nuovo invitato a vedere una partita. Questa volta contro l’Amburgo. Ho accettato. Pensavo che una partita contro una squadra in fondo alla classifica fosse un’occasione imperdibil­e. Ma l’Amburgo ha segnato un rigore al decimo minuto e si è difeso strenuamen­te contro tutti i nostri tentativi di pareggiare.

Dopo che anche alla terza partita a cui abbiamo assistito insieme il Dortmund ha perso, quando ci siamo fermati sotto casa sua le ho detto con un mezzo sorriso: forse… forse porto sfortuna alla squadra.

Forse, mi ha risposto lei, indecifrab­ile.

Ho smesso di accompagna­rla allo stadio. Ma abbiamo continuato a essere innamorati. Alla fine dell’anno accademico ci siamo salutati all’aeroporto con la promessa di scriverci tutti i giorni finché lei non fosse venuta a trovarmi durante le vacanze di Natale.

Ma quando è iniziata la nuova stagione, e il Dortmund ha cominciato a infilare una vittoria dietro l’altra, le sue mail si sono fatte a mano a mano più corte. Finché non è arrivata quella che tanto temevo: Mi dispiace. Ho incontrato un ragazzo. È una storia seria.

Qualche settimana più tardi, dopo l’ultima partita di campionato contro il Bayern Monaco, ha postato su Facebook una foto: lei e il figlio di puttana, allo stadio, abbracciat­i. A festeggiar­e la vittoria.

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