VINCE VAUGHN
Cattivo solo al cinema
«Mio nonno era un contadino di Napoli. L’ultima volta che sono venuto in Italia con i miei figli e mia moglie siamo andati tutti lì, poi io e Kyla ci siamo spostati da soli sulla costiera amalfitana». Libanese, inglese, irlandese e tedesco, Vince Vaughn è anche italiano per un 20 per cento, da parte di madre. Ed è quel genere di uomo che ascolta l’interlocutore senza il pressante bisogno di sopraffarlo con i propri racconti. Molto alto, indossa pantaloni scuri e una T-shirt altrettanto scura. Ma ad attirare l’attenzione è l’eleganza naturale del suo modo di ragionare. Repubblicano del Minnesota, cresciuto in Illinois, grande fan dell’hockey su ghiaccio e dei Chicago Blackhawks, è «il ragazzo di Swingers», la commedia scritta dall’amico di una vita Jon Favreau che lo ha lanciato a metà degli anni Novanta. Ad accrescere la sua visibilità è arrivato subito dopo Spielberg, con i dinosauri di
Jurassic Park, ma nonostante tutto Vaughn deve la carriera a commedie come Old School, Ti odio, ti lascio, ti…, e anche Il dilemma e Gli stagisti. Almeno la prima parte, della carriera. Perché a salvarlo dalla catena di montaggio è stato Frank Semyon della seconda stagione di True Detective: un perno che ha proiettato l’attore, sceneggiatore e produttore in una nuova dimensione. Da lì in avanti Vince ha cambiato marcia, grazie al sergente istruttore della Battaglia di Hacksaw Ridge, il film di Mel Gibson vincitore dell’Oscar, e all’ex boxeur di Cell Block 99: Nessuno può fermarmi, definito il suo secondo miglior ruolo di sempre. Il 30 agosto sarà in Seberg, il thriller politico di Benedict Andrews fuori concorso alla Mostra del Cinema di Venezia che racconta la storia di Jean Seberg (interpretata da Kristen Stewart), l’attrice di
Fino all’ultimo respiro. Simbolo della Nouvelle Vague e volto di Godard, seppur nata nel Midwest, a 40 anni esatti dal suicidio scopriremo la sua relazione con l’attivista americano Hakim Jamal, cugino di Malcolm X, e il suo coinvolgimento nel movimento delle Pantere Nere. Vaughn è l’agente dell’FBI Carl Kowalski, che l’ha sorvegliata e screditata illegalmente per questa liaison. L’ex di Jennifer Aniston (e il primo uomo dell’attrice nell’era post Pitt), nove anni fa ha sposato l’agente immobiliare canadese Kyla Weber con cui oggi ha due figli, Locklyn Kyla Vaughn, di nove anni, e Vernon Lindsay Vaughn, di sei. Coincidenza: anche sua madre, Sharon Eileen, era canadese e faceva l’agente immobiliare, mentre il padre era un venditore per un’azienda di giocattoli.
Lei incarna spesso cattivi che hanno una mascolinità raffinata. Il nonno italiano, Georgio DePalmo, ha un merito in questo?
«È difficile risponderle. Lui e mio padre hanno lavorato duramente, ma posso dire lo stesso di mia madre. Se considera che ho due sorelle, anche loro hanno influenzato molto la mia personalità. I miei genitori lavoravano entrambi e noi siamo stati cresciuti a casa, con la nonna sempre presente. Eravamo molto uniti, una famiglia come quelle che in America non si vedono più tanto».
Attore, sceneggiatore e produttore: che cosa le ha insegnato il «lavoro duro»?
«A essere umile, ed è una cosa buona: la vita è piena di delusioni, non ottieni sempre quello che vuoi. Da mia madre ho imparato come si superano le difficoltà».
Basta essere bravi o bisogna essere anche politici, per fare carriera?
«Ho visto persone brave a promuoversi ma non altrettanto capaci nel lavoro. Altre che erano veri assi in quello che facevano, ma senza saperlo trasmettere all’esterno. A volte per avanzare devi avere entrambe le capacità, però non sono sicuro che sia questo il punto: per me ciò che conta di più nella vita è trovare quello che ti piace, e darti l’opportunità di realizzarlo fino in fondo».
È vero che la chiamano Mr. Sunshine?
«Lo ha detto Vincent D’Onofrio: scherzava, si riferiva alla mia attitudine. Tendo a essere grato, e anche positivo, ma non significa che non incontri momenti duri».
Lei e Mel Gibson in Dragged Across Concrete: «Uomini e donne non sono più così diversi tra loro: ormai anche gli uomini dicono di essere “incinti”».
«Interpretiamo due persone di una generazione che non è cambiata e che in un certo senso non è al passo con i tempi. Uomini così credono che il nuovo modo di vedere le cose li abbia lasciati indietro. E incolpano sempre gli altri di quello che accade».
Un amico perde il lavoro, lei come lo consola?
«Invecchiando comprendo meglio che la salute ha un valore inestimabile. Senza quella non ti godi niente, nemmeno il tempo. Ma le cose a cui diamo la precedenza dipendono dal sistema di valori con cui cresciamo».
Che cosa mette al primo posto, Vince Vaughn?
«Non amo la visione secondo cui devi andare a scuola, trovarti un impiego, fare cose per gli altri e guadagnare così i tuoi soldi. Quando ho iniziato a recitare, il mio focus non è mai stato il denaro, l’ho fatto perché mi piaceva, senza sapere se mi sarei mantenuto. Il segreto è seguire la propria felicità, invece siamo troppo impegnati a dimostrare il nostro valore, è una pena che ci autoinfliggiamo. La vita è qualcosa di cui imparare a godere: se non ti guardi intorno, sorridi e ti diverti almeno ogni tanto, non serve a niente».
L’ansia da prestazione lavorativa si attenua con l’avanzare della carriera e dell’età?
«Ognuno ha “una parte riequilibrante”. Essere un padre, avere una moglie e dei genitori significa essere in relazione con qualcosa che può migliorare, ed è il viaggio della vita. Lavorare duro è stupendo, e intendo dire che devi
Quando ho iniziato a recitare, il mio focus non è mai stato il denaro. L’ho fatto perché mi piaceva, senza sapere se mi sarei mantenuto
provare a dare il meglio di te in qualche cosa. Questo è il successo, saper dare il meglio di sé. Ma poi lo devi condividere con gli altri, e oggi sembrano tutti così occupati… A me piace ancora sedermi e pranzare con moglie e figli, rilassarmi incontrando gli amici. Di questi tempi l’intimità è minata, ma è proprio la connessione ciò che rimette tutto al posto giusto».
Che rapporto ha con la tecnologia? Ne sente la pressione?
«La mia priorità è la famiglia, non il cellulare. Ho imparato che siamo noi gli artefici del nostro tempo. Siamo noi a dover trovare lo spazio per leggere o fare altro, tirare fuori le nostre capacità e cercare il modo migliore per esprimerle: non saranno perfette e cambieranno col tempo. Ma per fare questo, dobbiamo definire ciò che conta nella vita, comprendere come usiamo le energie. Più andiamo avanti, più diventa necessario».
Si è dato una spiegazione del perché il suo personaggio in True Detective è piaciuto così tanto?
«Frank racchiude il sogno americano di progredire e avere opportunità di scelta. Matura trovando una persona da amare, ed è una cosa grandiosa avere quel tipo di vicinanza affettiva. E poi, non è un poeta secondo cui l’amore da solo basta: sa che deve avere intorno un ambiente e i mezzi per costruire qualcosa».
Lei è anche produttore: quali sono i titoli che le piacciono di più?
«In generale trovo interessanti quelli che ti ispirano a essere più positivo, più utile: è l’effetto migliore che può fare un film. Penso a Braveheart, Apocalypto,o La battaglia di Hacksaw Ridge in cui un essere umano resta fedele a se stesso. E chi è, se no, un supereroe?».
I miei film preferiti? Braveheart e Apocalypto, perché i protagonisti restano sempre fedeli a se stessi. Questi sono i veri supereroi