VIRNA TOPPI
Il destino di ballerina classica
In una Milano di fine agosto afosa e semideserta ci raggiunge, in uno dei pochi bar rimasti aperti, con un’andatura militaresca. Impossibile non riconoscerla tra gli sparuti passanti di corso di Porta Romana: a ogni movimento, scavato dentro un attillatissimo tubino nero, i capelli di seta bionda volano all’indietro ritmicamente, i muscoli delle cosce guizzano con vigore, i piedi eseguono passi decisi e leggermente all’infuori. In «en dehors», ovvero voltati verso l’esterno, direbbe Virna Toppi, la 26enne di Lentate sul Seveso che il mestiere di danzatrice l’ha stampato sulla carta d’identità e disegnato nelle proporzioni.
La Prima Ballerina del Teatro alla Scala è appena tornata da una tournée a Pechino e sta per ripartire: ha in tasca un biglietto del treno per la Toscana per incontrare il fidanzato, Nicola Del Freo, ballerino anche lui. E uno di sola andata per Monaco di Baviera dove, per un anno, vestirà il ruolo di Principal Dancer del Teatro dell’Opera.
Cervello, o meglio, corpo in fuga?
«In esplorazione. Quando mi è stata fatta questa proposta ho pensato: perché no? Anche se io sto benissimo alla Scala: durante l’ultima esibizione ho pianto sapendo di lasciare la mia compagnia».
Che cos’altro le mancherà?
«La casa appena comprata e ristrutturata, i genitori, la sicurezza, il calore, l’amore. E, naturalmente, il fidanzato».
Lui non la seguirà a Monaco?
«Verrà a trovarmi ma è solista alla Scala, ha un bel lavoro qui. Per anni abbiamo ballato insieme».
Com’è esibirsi con il proprio compagno?
«Meraviglioso in scena, disastroso durante le prove: abbiamo due caratteri forti, lo scontro arriva facile».
Vi siete conosciuti sul palco?
«Sì. Io avevo 19 anni e pensavo solo al lavoro. Ma sono rimasta affascinata da questo tipo molto riservato e taciturno. I suoi silenzi mi hanno incuriosita».
Quindi è un pregiudizio che la maggior parte dei ballerini sia omosessuale.
«Assolutamente, la danza è per tutti. Alla Scala si sono formate parecchie coppie, etero e gay. Ci fidanziamo tra ballerini perché sappiamo quanto sia totalizzante il nostro lavoro».
Nel senso che avete poco spazio per altro?
«Quasi zero. Le vacanze per noi sono un problema. Non possiamo svegliarci alle 10, andare al mare e pensare agli aperitivi: ogni giorno che Dio manda in Terra dobbiamo preventivare almeno tre ore di allenamento. La danza è un ambiente severo».
E crudele come il regista Darren Aronofsky racconta nel Cigno nero?
«Quel film esagera. Nel 2011, quando è uscito, i miei amici mi hanno riempito di messaggi: ma davvero vivete così? Con quella competizione sfrenata? La risposta è: no. Come dappertutto, ci sono i simpatici, quelli che provano a metterti i bastoni tra le ruote, i sinceri, gli stronzi».
Uno stronzo che ha incontrato?
«Avevo nove anni e me ne stavo, tutta tremante per l’ansia, rannicchiata in un angolo della hall della Scala aspettando il mio turno. Dovevo sostenere l’audizione per entrare in Accademia. Si avvicina una bambina dai capelli rossi e, senza conoscermi, mi dice: se oggi ti prendono, è solo per la tua bellezza».
Ci ha creduto?
«Quel giorno fui l’unica a essere accettata. Il resto conta poco».
Quando poi l’hanno promossa Prima Ballerina ha subito qualche malignità?
«Non più di tanto: in fin dei conti, ognuna di noi sa se è nata per vincere o per stare in gruppo».
Lei quando ha capito che il suo destino era spiccare?
«L’ho sperato, da quando avevo 11 anni. Recentemente ho ritrovato la scatolina dei desideri che avevo allora. Dentro, un foglietto con una scritta: voglio diventare la Prima Ballerina del Teatro alla Scala. L’aver esaudito il mio sogno di bambina mi ha ripagato di tutti gli sforzi».
Le resta qualcosa da desiderare?
«Un figlio».
Quando?
«Non subito, ma neanche a quarant’anni».
Non ha paura che la maternità freni la sua carriera?
«Amo il mio lavoro in modo viscerale, ma per me la famiglia viene al primo posto. Io devo tutto ai miei genitori».
In che cosa l’hanno aiutata?
«Le dico solo che mia madre ama ripetere: “Tu sei stata brava a voler cominciare. Io sono stata brava in tutto il resto”. È la mia “dittatrice”, ma ha ragione: per anni mi ha scorrazzata avanti e indietro da Lentate sul Seveso. Prima di ogni esame finale, mi veniva a prendere all’Accademia: mi portava al parco, stendeva una copertina sul prato, mi faceva riposare un paio d’ore accarezzandomi la testa. Si è occupata di me anche quando stava molto male».
Che cosa ha avuto?
«Due tumori al seno: ha affrontato ricoveri, chemioterapie, interventi. Senza mai perdermi di vista. Io non prego per me stessa perché penso che Dio abbia cose più importanti a cui pensare. Ma per lei sì, per lei ho pregato».
Suo padre, invece, che ruolo ha avuto?
«Mi ha supportato emotivamente ed economicamente. È un ingegnere burbero e silenzioso. Non mi ha mai detto: sono orgoglioso di te, però me l’ha dimostrato».
Come?
«Una volta, dopo un’esibizione, si è presentato nel mio camerino. Non una parola. In mano, una rosa rossa».
Fashion editor Fabio Finazzi. Pagina accanto, dall’alto: abito, BLUMARINE. Orecchini, SWAROVSKI. Tubino e stivaletti, EMPORIO ARMANI. Pagg. 104-105: abito, ATELIER EMÉ. Sandali, MARIO VALENTINO. Make-up Laura Gagliardi. Location Torre Allianz Milano.
In fondo al cuore, ogni ballerina sa se è destinata a stare in prima fila o in ultima