Vanity Fair (Italy)

ALBERTO BARBERA

Il mio Festival di Venezia

- di ENRICA BROCARDO foto RICCARDO GHILARDI

«Nel 1999 ebbi l’incredibil­e fortuna di aprire il festival con Eyes Wide Shut. Stanley Kubrick era morto solo sei mesi prima e noi avevamo Nicole Kidman e Tom Cruise sul palco a celebrarlo».

Alberto Barbera torna con la memoria al suo primo incarico da direttore del Festival del Cinema di Venezia, che dal 2011 è tornato a dirigere, portandolo a competere testa a testa con Cannes e trasforman­dolo nella rampa di lancio più affidabile per gli Oscar. Andando a ritroso, al Lido sono passati film come Roma di Alfonso Cuarón, Leone d’oro, tre Oscar su dieci candidatur­e, La forma dell’acqua di Guillermo del Toro, altro Leone d’oro e un Oscar come miglior film. E ancora La La Land, Birdman, Gravity. E questa 76esima edizione è ancora più ambiziosa.

Partiamo dall’inizio, dal film di apertura, La vérité del giapponese Hirokazu Kore’eda che, come ha detto lei, dovrebbe dare un po’ il senso di ciò che sarà il festival.

«Be’, negli ultimi sei anni avevamo aperto sempre con un film americano, hollywoodi­ano. Mi hanno anche rimprovera­to per questo. Volevo cambiare e Kore’eda è uno dei registi più hot in circolazio­ne, vincitore della Palma d’oro nel 2108. E, poi, La vérité è una commedia sul cinema, le attrici, i rapporti familiari e ha un cast eccezional­e: Catherine Deneuve, Juliette Binoche, Ethan Hawke. E, come ho detto, è anche un po’ il simbolo di quello che stiamo cercando di fare a Venezia: mostrare che esiste un cinema d’autore non per forza radicale, estremo. La scelta del film d’apertura è la più difficile, hai a che fare con un pubblico di autorità, il presidente della Repubblica, tre o quattro ministri».

Per caso ci sarà anche Matteo Salvini?

«No. E l’anno scorso era passato solo di sfuggita a recuperare la fidanzata (all’epoca stava con Elisa Isoardi, ndr)».

Come si dice no a un regista che è anche un amico?

«È la cosa più difficile e spiacevole. Ho imparato che nessuno è consapevol­e di aver fatto un film non riuscito. Ogni volta che devo chiamare qualcuno che conosco personalme­nte e dirgli di no, è durissima. Senza contare che ci sono quelli che non si arrendono».

Ovvero?

«Mai come quest’anno ho ricevuto tanti messaggi, e-mail di gente che mi chiedeva di ripensarci. E non parlo solo di giovani registi. È stato imbarazzan­te».

Ma le è mai capitato di ripensarci?

«Ogni tanto succede di riguardare un film per essere sicuri di non aver sbagliato. Hai il dubbio, magari, di averlo visto in un momento in cui eri stanco o di cattivo umore. Ma faccio questo lavoro da quarant’anni: esiste una vigilanza critica che persiste nonostante le condizioni estreme. Tra la fine di maggio e il 20 di luglio, quando si chiude la selezione, dobbiamo vedere 1.600, 1.700 film. Vuol dire stare in sala di proiezione dal mattino a mezzanotte sette giorni su sette. Arrivi alla fine della giornata che sei stremato. Anche perché si lavora sotto stress, devi decidere subito. Ci sono altri tre, quattro festival che, se temporeggi, ne approfitta­no».

Tentativi di corruzione? Regali?

«Gli unici che hanno ancora l’abitudine di mandare regali sono i cinesi. Ce l’hanno nel dna. Almeno una volta all’anno arriva un pacco dalla Cina che rispedisco subito al mittente».

Minacce? Insulti?

«Pochi ma regolari. E-mail in cui mi si dice che non ho capito niente, o la telefonata di un produttore che offende, mi dà del vecchio rincoglion­ito e sostiene che sia l’ora che mi tolga dalle palle».

Quante volte ha azzeccato il vincitore del Leone d’oro?

«Ho smesso di fare pronostici presto, mi sono reso conto che le giurie sono imprevedib­ili».

In America qualcuno ha criticato la sua decisione di ammettere in concorso J’accuse di Roman Polanski. Fino a che punto si può distinguer­e fra artista e persona?

«È difficile fissare dei paletti, ma la qualità di un film non può essere compromess­a dalle colpe di cui si è macchiato l’autore. Io giudico il valore artistico, ad altri spetta il compito di decidere sul resto. Non voglio fare nomi, ma quest’anno c’era un altro film il cui protagonis­ta era compromess­o in vicende analoghe. Non l’ho preso solo perché non mi aveva convinto».

Tra i tanti attori travolti dagli scandali, chi vorrebbe rivedere?

«Ho letto un articolo che mi ha sconvolto. Un critico di Variety si chiedeva se, ora che le accuse contro Kevin Spacey sono state ritirate, fosse giusto che tornasse a lavorare. E la sua risposta era no. Siamo tornati all’Inquisizio­ne spagnola».

Qual è il film che ha visto più volte e non per lavoro?

«Il mucchio selvaggio di Sam Peckinpah. E ogni volta mi commuovo. È un western, un film di uomini che, nei maschietti, mette in moto meccanismi di identifica­zione molto forti. Ma anche una storia rivoluzion­aria, su un gruppo di banditi che si sacrifican­o per un ideale di giustizia. Era perfetto per gli ideali del Sessantott­o».

Lei, quell’epoca, come l’ha vissuta?

«Il primo anno di università mi ero iscritto ad Architettu­ra e mi sono ritrovato a occupare la facoltà come tanti altri. Ho partecipat­o ai miei bei cortei, manifestaz­ioni per due o tre anni. Poi basta. Non mi sono mai iscritto a un partito, ma seguo la politica con attenzione. Ogni mattina leggo i giornali e m’incazzo».

A vent’anni, l’ordine dei miei interessi era: cinema, donne, politica e poco altro. Oggi sono più equilibrat­o

Quali erano le sue cotte cinematogr­afiche da ragazzo?

«La prima attrice di cui mi sono perdutamen­te innamorato è stata Julie Christie nel Dottor Zivago. Avevo 16 anni, l’unica volta che ho marinato la scuola è stato per andare a rivedere quel film. All’epoca ritagliavo le foto dalle riviste e avevo fatto un mosaico su una parete di camera mia con tutte le attrici: Brigitte Bardot, Senta Berger, occhi verdi, capelli rossi, bellissima. Mi piaceva tantissimo anche Angie Dickinson... E Marilyn Monroe, ça va sans dire».

Cinema a parte, ha altre passioni ?

«Da ragazzo con gli amici ci divertivam­o a stilare classifich­e. A vent’anni, l’ordine dei miei interessi era: cinema, donne, politica e poco altro. Oggi sono più equilibrat­o. Mi piace viaggiare, da anni ho ripreso a leggere romanzi, vado a vedere quante più mostre d’arte posso, ascolto moltissima musica, per lo più classica e rock degli anni Sessanta e Settanta».

Ha una compagna, Giulia Rosmarini, che è molto più giovane di lei. L’ha aiutata a rinnovare un po’ i suoi gusti?

(Ride). «L’11 maggio ci siamo sposati. Ha 37 anni meno di me. E questo è il mio terzo matrimonio».

Compliment­i.

Mia moglie ha 37 anni meno di me. Sono passato attraverso un mucchio di sensi di colpa. Ma credo di aver trovato la donna della mia vita

«Sono un ottimista e credo di aver trovato la donna della mia vita. Anche se non è stata una scelta facile. Sono passato attraverso un mucchio di tormenti, sensi di colpa».

Perché?

«Mi sentivo il vecchio marpione che si approfitta dell’ingenuità di una ragazza. Del resto, Susanna e i vecchioni è il tema più ricorrente nella pittura classica (storia dellA’ ntico Testamento di una giovane donna concupita da due vecchi, ndr). Alla fine, ha prevalso l’amore e devo dire che la mia vita è cambiata. Dico una banalità, ma confrontar­mi con una donna con quella vitalità, quella voglia di nuove esperienze, mi ha ringiovani­to in tutti i sensi. Devo vivere anch’io come se fossi un trentacinq­uenne».

Una cosa che ha imparato da lei?

«Che non c’è mai nulla di definitivo, che ogni giorno devi rimettere in discussion­e certezze che ti sembravano granitiche perché ci avevi messo sessant’anni a costruirte­le».

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SIGNOR DIRETTORE Alberto Barbera, 69 anni, CRITICO CINEMATOGR­AFICO. Dal 2011 è tornato a dirigere la Mostra del Cinema di Venezia.
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TUTTI AL LIDO
1. Alberto Barbera con Spike Lee alla Mostra del Cinema di Venezia del 2012, mentre gli consegna il PREMIO JaegerLeCo­ultre. 2. Con Catherine Deneuve nel 2015. 3. Con il presidente della Biennale Paolo Baratta, Robert Redford e Jane Fonda nel 2017.
4. Con Penélope Cruz.
1 TUTTI AL LIDO 1. Alberto Barbera con Spike Lee alla Mostra del Cinema di Venezia del 2012, mentre gli consegna il PREMIO JaegerLeCo­ultre. 2. Con Catherine Deneuve nel 2015. 3. Con il presidente della Biennale Paolo Baratta, Robert Redford e Jane Fonda nel 2017. 4. Con Penélope Cruz.
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