EDITORIALE di Simone Marchetti
Dopo la prima puntata, che è praticamente un pugno nello stomaco, è stato un disastro. Ho guardato tutte le seguenti, fino a notte fonda, ipnotizzato dalle scene, dalla storia, dai personaggi, dalla recitazione.
Sto parlando di Euphoria, la nuova serie tivù su Sky Atlantic. Per me è stata potente come un fulmine a ciel sereno. Prodotta dalla rete televisiva Hbo con Drake e girata da Sam Levinson, narra le vicende di alcuni adolescenti americani alle prese con droghe, una sessualità disarmante, social media, traumi, identità di genere, amori, amicizie, abusi da parte degli adulti, body shaming e molto, molto altro.
Euphoria è scritta benissimo, girata ancora meglio e recitata da una compagine di giovani attori in stato di grazia. Zendaya, la protagonista, si conferma una fuoriclasse. E Hunter Schafer, attrice dall’identità volutamente indefinita (trovate la sua intervista a pagina 82), è uno dei volti e dei personaggi di cui sentirete più parlare nei prossimi mesi.
La storia prende il via dalla malattia terminale del padre della protagonista, la controversa Rue interpretata da Zendaya: mentre assiste al calvario del genitore, inizia a usare i suoi antidolorifici. Da qui la dipendenza che diventa presto l’anticamera per l’inferno delle droghe (altra preoccupante piaga americana, di cui vi raccontiamo a pagina 100).
Vi consiglio vivamente di guardare questa serie: è un incubatore di domande, di dubbi, di tendenze e di urgenze dei più giovani. Funziona come una letteratura contemporanea, un compendio scritto, diretto e interpretato da grandi artisti. Assistere al suo spettacolo vi farà male, vi farà arrabbiare, vi appassionerà. Soprattutto, toglierà il velo ai filtri edulcorati con cui spesso si raccontano le nuove generazioni. Sotto quei glitter, oltre quei selfie, si nasconde un oceano di nevrosi e di interrogativi che riguardano tutti. Proprio tutti.
Buona lettura PS: continuate a scrivermi pensieri, consigli e riflessioni a smarchetti@condenast.it