Calcio femminile? Sì, grazie
La vicepresidente della Lega Pro consiglia una lettura: la storia «inventata» delle prime calciatrici. Una metafora per tutte
Rosalyn, Olivia, Justine, Penelope, Abigail, Haylie, Melanie, Violet, Brianna, Sherill, Berenice. Erano in 11 e agitando la chioma, le gambe, il cuore e il senso di appartenenza seppero scuotere l’Inghilterra di inizio ’900 e sventolare al tempo stesso l’orgoglio operaio e quello di essere la prima squadra di calcio femminile a minacciare un feudo fino ad allora esclusivamente maschile.
In Ladies Football Club (Mondadori, pagg. 192, € 16) con l’attenzione al sentimento nascosto e la precisione nel descrivere i caratteri femminili inseriti in contesti sociali ruvidi e duri in cui la sopravvivenza fa rima con l’affermazione di sé, Stefano Massini ha raccontato la loro storia. Inventata: attraversando le epoche diventa apologo sull’oggi, fotografia di emancipazione e libertà, superamento di ogni pregiudizio, scetticismo, barriera.
Nel 2019, il calcio femminile, soprattutto grazie al Mondiale, sta vivendo un momento di grande celebrità. Una fama meritata, impensabile fino a qualche anno fa e un cambiamento radicale, agevolato anche dai social, che ha attratto l’interesse del pubblico e ha fatto scattare un processo di immedesimazione perché non solo molte donne avrebbero voluto giocare a calcio e già tifose di quello maschile hanno avuto un’attrazione naturale per quello femminile, ma anche e soprattutto perché il calcio è terreno, simbolo e frontiera storicamente appartenuto da sempre all’universo maschile. Conquistarlo, con quello che questa parola significa anche in termini di relatività e confini ben noti a chiunque, stimola e incuriosisce. Per il fatto in sé e per la prospettiva futura: il calcio è uno strumento, uno spunto per parlare della condizione della donna di oggi. Dove vuole andare? In che modo – una volta avuta la possibilità di coprire ruoli storicamente appaltati al genere maschile – la femminilità vuole affermarsi in un contesto mutato? Fino a oggi abbiamo visto che il calcio femminile esprime un tifo ideale perfettamente esportato sugli spalti della Serie A. Quasi una via gentile alla fruizione di uno spettacolo che idealmente si vorrebbe riportare allo stato originario. Quello in cui famiglie, bambini e gente pacifica vanno in poltrona o sui gradini con la stessa attitudine con la quale si recherebbero a teatro.
Ora nel calcio, quello maschile, ho un ruolo dirigenziale, ma il calcio l’ho giocato – con modesto talento – fin da bambina. I miei amici mi chiamavano alla stregua di una mascotte, quando mancava un loro compagno. Ero quella che faceva una cosa strana. Anomala. Un turista in terra straniera. Con la stessa inadeguatezza delle ragazze descritte da Massini.
Del calcio amo l’essenza: rappresenta la complessità della vita. Come diceva Bernard Shaw: è l’arte più capace di comprimere. È una metafora potente e un gioco e la vita, senza gioco, non ha nessun senso.