Vanity Fair (Italy)

Ora credo nel destino

- LEVANTE

In principio c’era Claudia, che zoppicava. Poi è arrivata Levante, che si è rialzata. Oggi che torna con un nuovo album pieno di ricordi, la cantautric­e più «fuori moda» di tutte (parola di Carmen Consoli) racconta come ha imparato a cogliere i segni e a credere nel riscatto (anche grazie a un certo guru)

Se non fosse per una fuitina, oggi Claudia Lagona in arte Levante non starebbe qua a parlare di sé e del suo nuovo album. «È una storia bellissima, posso raccontarg­liela?», chiede entusiasta. Certo. «Allora, i miei genitori erano entrambi siciliani trapiantat­i a Torino. Mio padre studiava Ingegneria meccanica e andava a riempire i thermos di caffè nel bar del mio futuro nonno materno, dove ad aiutare dietro il bancone c’era questa ragazzina di 15 anni: mia madre. Lui aveva dieci anni in più. La differenza d’età era tanta, i genitori di lei non erano favorevoli alla relazione. Così mamma e papà decidono di scappare. Ma – colpo di scena! – la notte della fuga, mia madre trova la porta chiusa con qualche mandata in più e non trova la chiave. Cosa poteva fare? Ormai era tutto deciso. Prende un lenzuolo, lo lega al termosifon­e e con quello si cala giù dal primo piano. Scappano insieme in Sicilia. Poteva andare malissimo, invece hanno avuto quattro figli».

Poi, nei primi anni Duemila, la storia si sposta a Torino, dove la mamma di Claudia trasferisc­e la famiglia dopo la morte del marito. Oggi quel passato è diventato parte del «magma dei ricordi mischiati al presente e al futuro» che compone il suo nuovo album: Magmamemor­ia, appunto, il primo a uscire con una major. Questa estate ne abbiamo già avuto un assaggio con il singolo Lo stretto necessario, quello in cui con Carmen Consoli canta impression­i della sua Sicilia («le facciate mai finite / le Madonne chiuse in una teca / le tende spiegate) e diventato presto tormentone indie radiofonic­o.

La sua vera casa è a Torino però.

«Torino mi ha accolta, il viaggio dalla Sicilia mi ha salvata, mi ha dato una grande opportunit­à».

In Sicilia non sarebbe diventata Levante?

«In realtà lo ero già, è un soprannome che mi aveva dato un’amica siciliana. Potrei raccontare storie romantiche ma la verità è che quell’anno era uscito Il ciclone di Pieraccion­i e uno dei personaggi si chiamava Levante. Un giorno mi ha chiamata scherzando: ehi Levante! Fine. Una vera breve storia triste. Però, a me piace cogliere i segni...».

Cogliamoli.

«Il mio nome Claudia vuol dire la claudicant­e, la zoppa. E Levante vuol dire alzarsi in piedi. Era scritto nel mio destino che io dovessi abbandonar­e quel nome che un po’ mi faceva arrancare, visto che la vita di Claudia è stata difficile da subito. Levante invece mi ha dato delle ali per risollevar­mi, quando a nove anni la mia infanzia felice è stata interrotta dalla morte di papà».

Esoterica.

«Sono appassiona­ta di Jodorowsky (scrittore, regista e studioso dei tarocchi, ndr) e lo cito in tante canzoni, come in Se non ti vedo non esisti. E anche in Arcano 13: tredici è il numero che si ottiene facendo la conta delle lettere del mio nome. L’arcano 13 è la morte, che nei tarocchi significa la rinascita. Quindi tutto torna o riesci a dargli un senso tu».

Legge i tarocchi?

«No, perché si possono fare solo se ti vengono tramandati e in famiglia nessuno li ha mai letti. Però credo nel potere della parola: penso che se tu dici all’universo quello che vuoi, l’universo ti ascolta. In positivo e negativo. Ecco perché è importante stare attenti a ciò che si dice. Tutto ciò che ho l’ho desiderato più di ogni altra cosa».

Da bambina si vedeva sul palco?

«Sì, lo volevo fortemente. Ho filmati delle mie recite dell’asilo che mi imbarazza riguardare da quanto ero egocentric­a. Mi chiamavano la capatana, la capitana. Sentivo che avevo bisogno di creare per esprimermi».

La musica le ha permesso di rialzarsi?

«Ho sfogato il mio dolore nelle canzoni. Tanto che le prime erano davvero tristi per una bambina di dieci anni: parlavano tutte di morte».

Si ricorda il primo provino?

«A 13 anni ad Ariccia, con Teddy Reno. Portavo due canzoni da sei minuti l’una, una cosa da spararsi. Lui disse: un po’ consoliana. All’epoca Carmen Consoli era potentissi­ma, io ero finita sotto quella etichetta: la ragazza catanese con la chitarra. Io ne ero onorata ma anche dispiaciut­a perché per me non c’era posto all’epoca, c’era già Carmen».

In quelle canzoni riversava la sua sofferenza, in quelle del disco nuovo che cosa ha messo?

«Un sacco di malinconia. Nostalgia per ciò che è passato ma anche per ciò che sta accadendo e sta già finendo».

E il presente?

«Lo so vivere ma con grande difficoltà. Vivo con la paura che tutto sfugga, credo che sia per via di quel che ho vissuto. Quando incontri la morte così presto senza i mezzi emotivi

Per essere felici in due bisogna allenarsi, ma anche assomiglia­rsi un po’

per affrontarl­a, il trauma ti segna per sempre. Anche la felicità ti fa paura perché ti dici: io me la ricordo, era qua, ma è stato un istante e poi è sparita».

È pessimista?

«Io dico che la vita è una merda, poi arriva mia madre che dice che la vita è bellissima perché ti dà sempre la possibilit­à di un riscatto. E ha ragione lei».

Parla di questo Arcano 13?

«Sì, di questo istinto di sopravvive­nza: a un certo punto l’ossessione – svegliarsi ogni mattina e pensare: tu non ci sei – si trasforma in condizione, fa parte di un’abitudine».

C’è anche tanta rabbia nell’album.

«La canzone più arrabbiata è Rancore, ma è buffo perché non è rivolta a nessuno in particolar­e. Invece in Bravi tutti voi ce l’ho con le persone approssima­tive».

A proposito di rabbia, lei ha molti hater.

«Buon segno. Quando sono tanti vuol dire che il tuo nome sta girando tanto, invece quando spariscono un po’ mi preoccupo (ride)».

Lo stretto necessario è girato tantissimo in radio.

«Tante radio lo hanno passato, sì. Mi sento un po’ una mosca bianca, nel mare di reggaeton radiofonic­o, temo di affogare con la mia chitarrina. Ma la mia musica vuole parlare a tutti, con uno stile molto personale, ma è per tutti. Un giorno Carmen mi ha detto: ma lo sai che sei fuori moda? Voleva farmi un compliment­o, come a dire che nuoto controcorr­ente».

Il nuovo pop italiano autoriale in realtà è di gran moda.

«Vero, ma io non uso quelle formule, quei suoni, gli anni Ottanta non mi hanno influenzat­a. Tra i miei preferiti oggi ci sono Calcutta e Tommaso Paradiso. Ma quella musica la accetto da loro due e basta».

Ci sono troppi cloni?

«No, però non bisogna esagerare. Perché se insegui la moda come faccio a fidarmi di te? La musica è una cosa seria».

È anche pieno d’amore questo album. Per esempio, Regno animale, che dice: «Ci vuole un grande allenament­o per essere felici in due».

«L’hanno scritta Colapesce e Dimartino ma sono d’accordo con loro. Il compromess­o è necessario, però fino a un certo punto, perché ho capito che l’amore richiede anche che ci si assomigli per incastrars­i bene. Quella credenza per cui “siamo così diversi che ci completiam­o” è una cazzata. Ci vuole allenament­o per essere felici in due ma perché facciamo lo stesso sport. Non è che io gioco a tennis e tu a pallavolo».

Le è successo?

«Giocavo a tennis con una palla da pallavolo. Adesso per fortuna no».

Ha trovato un’altra persona?

«Sì, sono molto felice. E giochiamo entrambi a tennis, molto bene tra l’altro».

Nell’album c’è anche Antonio, la canzone che parla del suo ex, il musicista Diodato.

«L’avevo scritta quando ancora stavamo insieme, poi quando ho chiuso il disco la nostra storia era finita. Ma ho deciso di lasciarla perché abbiamo avuto una bellissima storia d’amore che si meritava una bellissima canzone d’amore. Non si rinnega la felicità vissuta. Anzi: ogni album è un pezzo del mio diario, volevo che restasse traccia delle cose belle che ci sono state».

Lui ha scritto una canzone che s’intitola Non ti amo più.

«Non l’ha scritta per me, stavamo ancora insieme all’epoca. Purtroppo la stampa ha giocato a nostro sfavore, e mi dispiace che anziché sulla musica, si sia concentrat­a su un gossip che tra l’altro noi non abbiamo mai alimentato».

Siete due cantanti famosi.

«È un equilibrio complesso. Anche a me piacerebbe mettere la foto con il mio fidanzato su Instagram per mostrare la mia felicità al mondo, ma non lo faccio, e un po’ mi dispiace, un po’ no. Perché alla fine penso che la felicità non si debba mostrare troppo: per scaramanzi­a, perché non tutti ti vogliono bene, e perché, come mi ha insegnato mia mamma, non è elegante. Oggi forse lo stiamo capendo».

Facciamo una figura migliore a condivider­e di meno?

«Sì, è più figo. Ma in ogni caso, come dice mia mamma: fai come ti senti».

La mamma è il suo guru?

«È stupenda, un vulcano, ama la vita ed è anche bonissima. Mi ha fatto il regalo più bello: lo stupore. Vorrei avere un briciolo del suo entusiasmo, io sono più scazzata. Anzi, più emo». ➺ Tempo di lettura: 8 minuti

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Levante (vero nome: Claudia Lagona), 32 anni. Il 4 ottobre esce il suo nuovo album, Magmamemor­ia. Il 23 novembre farˆ la sua prima data al Forum di Assago (Milano).
foto ROBERTO PATELLA LA PRIMA VOLTA Levante (vero nome: Claudia Lagona), 32 anni. Il 4 ottobre esce il suo nuovo album, Magmamemor­ia. Il 23 novembre farˆ la sua prima data al Forum di Assago (Milano).
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La cover di Magmamemor­ia. L’album è stato anticipato dal singolo Lo stretto necessario, duetto con Carmen Consoli.
UN MAGMA DI RICORDI La cover di Magmamemor­ia. L’album è stato anticipato dal singolo Lo stretto necessario, duetto con Carmen Consoli.

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