Vanity Fair (Italy)

Quando i farmaci uccidono

Dai voti brillanti all’overdose: la storia di Anna è quella di tantissimi americani caduti nella trappola degli antidolori­fici facili e dell’eroina. Un’epidemia che si può fermare solo colpendo Big Pharma

- OPIODEMIC

Anna − leggings, felpa lunga e chignon biondo spettinato − era la più bella di First Street. Sapeva di esserlo, ma non lo dava a vedere, soprattutt­o alle ragazzine vicine di casa che la studiavano da dietro le persiane delle loro camerette.

Nel quartiere, un sobborgo per ricchi dirigenti di Ford e General Motors a 30 chilometri da Detroit, dicevano che era la più brava delle tre sorelle: prendeva bei voti e giocava a calcio nella squadra del liceo. Piaceva a un sacco di ragazzi: era l’immagine dell’adolescent­e modello.

Finito il liceo è partita per il college, io sono rientrata in Italia e ci siamo perse di vista, ma ogni volta che tornavo in Michigan avevo notizie dei suoi successi: aveva preso due lauree in marketing.

Sui social la sua vita sembrava perfetta: selfie con le amiche, fidanzati bellissimi, feste universita­rie e vacanze in bikini. Poi, un pomeriggio post natalizio del 2015, l’ho incontrata in un centro commercial­e vicino a casa sua: vederla mi ha sconvolto.

«Quel periodo è stato il più difficile della mia dipendenza», racconta ora, «ero appena passata al metadone». Non lo sapevo, nessuno sapeva, e ritrovarmi davanti alla sua versione infernale mi ha sconvolto: aveva la pelle grigia e gli occhi socchiusi, i pensieri sconnessi e trenta chili in più che la rendevano irriconosc­ibile. Quando ho chiesto informazio­ni ad amici comuni mi è stato risposto: «Soffre di mal di testa fortissimi, ed è in cura». Poi, un anno dopo, è stata proprio lei che su Facebook ha spiegato l’abisso: «Sono lucida, da un mese. Ho fatto uso di oppioidi, e poi di eroina, per 4 anni».

La storia di Anna assomiglia a quella delle protagonis­te di Euphoria, la serie Hbo in onda dal 26 settembre su Sky Atlantic, che racconta il tormento di un gruppo di adolescent­i tra droga, alcol e sesso. E proprio come Rue − interpreta­ta dalla bravissima Zendaya − dice: «So solo che a un certo punto non volevo altro che provare quella sensazione di nulla totale».

Anna ha fatto parte delle centinaia di migliaia di americani dipendenti da farmaci a base di oppio che negli Stati Uniti chiamano opiodemic, l’epidemia che nel 2017 ha ucciso per overdose trentamila persone.

«Tutto è partito davvero da un mal di testa. In alcuni momenti il dolore era così forte che finivo in ospedale. Dopo il college sono tornata a vivere dai miei per capire che cosa mi stesse succedendo. Un dottore mi ha

Ho capito di essere dipendente 6 mesi dopo la prima pillola di Vicodin, quella del Dr. House, per capirci. Avevo solo 23 anni

prescritto un antidolori­fico oppiaceo, il Vicodin, quello del Dr. House per capirci, ed è iniziata così la mia dipendenza».

Dice di ricordarsi molto bene la sensazione che ha provato la prima volta che in pronto soccorso le hanno fatto una flebo di Dilaudid, un potente analgesico derivato dalla morfina: «Mi sono detta “non so che cosa sia, ma so che mi piace moltissimo”».

Prima di quei farmaci, Anna non aveva mai provato nessuna droga. «Ho capito di essere dipendente sei mesi dopo la prima pillola di Vicodin, era il 2012, avevo 23 anni».

Gli analgesici che le prescrivev­ano erano quelli che si danno per la cura del dolore nel post operatorio, o nelle terapie palliative. Nel suo caso, come in tanti altri, il dottore era diventato lo spacciator­e legale. Anna oggi si chiede se questi profession­isti agiscano in buona fede oppure no. Nelle ultime settimane, le due multinazio­nali farmaceuti­che Purdue Pharma e Johnson&Johnson sono finite sulle prime pagine dei giornali perché accusate di essere tra i colpevoli della opiodemic, per il loro marketing aggressivo che spinge i medici a prescriver­e i farmaci a base di oppioidi anche quando non è necessario.

«C’erano giorni in cui ingoiavo anche venti pillole in 24 ore». Usava Vicodin, Dilaudid, Benadryl, Oxycontin, Norco. Non ha mai provato il Fentanyl, l’oppiaceo sintetico, ottanta volte più forte della morfina, che lo scorso agosto ha ucciso Andrea Zamperoni, lo chef italiano che viveva a New York, e che negli ultimi anni sta facendo una strage. «Queste pillole mi facevano sentire bene, invincibil­e, anestetizz­avano la mia tristezza, mi rendevano euforica, almeno per un po’. E per avere le prescrizio­ni mi sono trasformat­a in un’attrice». Quando non aveva più niente in casa, andava su internet e leggeva i sintomi peggiori per mentire ai dottori del pronto soccorso che alla fine la riempivano delle sostanze di cui aveva bisogno. Comprava anche dagli spacciator­i di prescrizio­ni che vendevano le prescrizio­ni di anziani bisognosi di fare qualche soldo.

«Né i miei amici, né la mia famiglia immaginava­no nulla. In quel periodo facevo la cameriera e mi illudevo che, una volta risolti i miei casini, avrei trovato il lavoro dei sogni. In realtà pensavo solo a come recuperare l’oppio e non farmi beccare. Finché ho potuto ho curato la superficie – belle macchine, bei vestiti – per nascondere il marcio che era cresciuto sotto». Ma poi non ce l’ha più fatta, la dipendenza era impossibil­e da mascherare. «Non avevo più un amico. Condividev­o il mio problema solo con i fidanzati, ragazzi con altri segreti da nascondere. Era come se tra simili avessimo un tacito accordo di copertura: “Io non dico cosa fai, tu non dici cosa faccio”». Uno di questi usava l’eroina, abitava in un paese vicino al suo, tra i suburb più ricchi d’America. «Una sera del 2014, mentre guardavamo un episodio di Breaking Bad, l’ho provata anch’io e ci sono finita dentro. La sniffavamo, a volte ce la facevamo in vena. Poi, quando lui ha deciso di disintossi­carsi, ci siamo lasciati».

Anna racconta che nel 2015 ormai era chiaro che la sua vita fosse un disastro, ma sua madre e suo padre facevano fatica ad ammetterlo, sapevano che abusava di farmaci che loro chiamavano «per il mal di testa» ma non volevano vedere tutto il resto. «Sono anche finita in carcere dopo aver guidato senza patente, me l’avevano tolta per guida in stato di ebbrezza. Ci sono stata due mesi. Lì, le compagne di cella mi hanno insegnato come trovare l’eroina a Detroit: ora che non avevo il fidanzato dovevo arrangiarm­i». Ammette però che ha sempre preferito le medicine all’eroina, non le piaceva bucarsi, nemmeno andare dagli spacciator­i: «I dottori erano meglio», dice.

Nei quattro anni di dipendenza, Anna ha avuto almeno quindici crisi di astinenza: «Come stai male quando non hai l’oppio in circolo è impossibil­e da spiegare. Ti senti sotto un treno, vai fuori di testa, vomiti, non riesci a mangiare, vuoi solo sdraiarti su un pavimento fresco perché dentro vai a fuoco, piangi, speri di morire. L’unica soluzione è rifarti».

Nell’ultimo periodo non usciva nemmeno più di casa, lo faceva solo per prendere la roba. «Mi capitava di pippare in cameretta, mentre mia madre era in cucina a preparare la cena, e magari mia nipote nella stanza accanto a disegnare». Ormai sniffava per scendere dal letto, per stare in

L’astinenza è terribile. Piangi, speri di morire. Vuoi sdraiarti su un pavimento fresco perché dentro bruci, vai a fuoco. L’unica soluzione è farti una nuova dose

piedi, per camminare, per respirare. Una sera, durante una cena in famiglia, la sorella più piccola, litigando con i genitori, ha svelato il segreto: «Vi arrabbiate con me, ma non vi rendete conto che quella si fa di eroina?». Finalmente il sipario era crollato e Anna poteva piangere, disperarsi e chiedere aiuto, non c’era più nessuna parte da brava ragazza da recitare. La madre è diventata l’angelo custode che l’ha accompagna­ta nel percorso di disintossi­cazione: prima il metadone, poi la rehab, e infine la comunità in Florida, nella quale ha vissuto due anni, dal 2016 al 2018. «Oggi ho 30 anni e vivo dai miei nonni a due chilometri da casa dei miei genitori. Faccio la cameriera in un ristorante italiano della zona e l’anno prossimo vorrei iscrivermi a veterinari­a».

Non usa droga dal 2016. Dei venti amici tossicodip­endenti che frequentav­ano i suoi corsi in comunità, solo lei e un altro sono ancora «puliti». Alcuni ci sono ricascati, altri sono morti.

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Nel 2017 30 mila americani sono morti di overdose da oppiacei. La dipendenza di solito inizia con la prescrizio­ne di potenti antidolori­fici che creano assuefazio­ne in tempi rapidissim­i.
OPIODEMIC Nel 2017 30 mila americani sono morti di overdose da oppiacei. La dipendenza di solito inizia con la prescrizio­ne di potenti antidolori­fici che creano assuefazio­ne in tempi rapidissim­i.
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Da sinistra, Anna quando era ancora una brillante studentess­a di economia e negli anni della dipendenza, iniziata con farmaci contro il mal di testa. È pulita dal 2016, grazie a due anni di rehab.
DISCESA AGLI INFERI Da sinistra, Anna quando era ancora una brillante studentess­a di economia e negli anni della dipendenza, iniziata con farmaci contro il mal di testa. È pulita dal 2016, grazie a due anni di rehab.

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