BASTA GABBIE
Non le piace essere intrappolata in un genere specifico né in un’unica professione. Era maschio, è diventata donna. Nasce come modella, si afferma come attrice, ma sogna musica, danza e università. La co-protagonista di Euphoria è in rampa di lancio. E niente può fermarla
Dimenticate la santificazione della «prima volta» di Beverly Hills 90210, le retoriche dichiarazioni d’amore di Dawson’s Creek e persino il bicchiere di troppo di The O.C. – Orange County. In Euphoria, in onda in queste sere su Sky Atlantic, la scena più delicata racconta la violenza su una minorenne. Che poi, nella realtà, minorenne non è: Hunter Schafer, coprotagonista con Zendaya della nuova serie Hbo sugli adolescenti, ha 20 anni. All’anagrafe. Di persona, non ha età. Né genere. Né una professione definita o altre caratteristiche che potrebbero incasellarla in una categoria prestabilita.
Si aggira per i corridoi bui e colorati del londinese Ham Yard Hotel, come una creatura elfica tra boschi e caverne: i capelli incolore e il foulard informe che le avvolge il corpo minuto svolazzano all’indietro prima di atterrare sulla pelle trasparente. Il passo è etereo nonostante i pesanti anfibi, che sfila non appena si siede per questa intervista. Con le mani accarezza i calzini in ecopelle nera. E mostra gli stinchi, completamente ricoperti da peli biondi e riccioluti: ultimo scampolo del ragazzo che è stata.
Hunter Schafer è nata maschio nella Carolina del Nord del 1999. Prima di quattro fratelli di una famiglia religiosa: suo padre, Mac, è pastore presbiteriano. Un’infanzia dedita soprattutto al disegno: «Passavo molto tempo da sola, a scarabocchiare sul mio album». Un’adolescenza votata al cambiamento. Di se stessa: prima che le spuntasse il pomo dA’ damo, ha intrapreso un percorso di transizione. E del mondo: si è battuta in prima persona contro una legge discriminatoria come quella che imponeva la scelta del bagno pubblico sulla base del sesso assegnato alla nascita. In altre parole: poco importa se ti senti donna, ti vesti da donna e stai effettuando le cure ormonali necessarie per sviluppare la tua femminilità; se biologicamente sei maschio devi usare la toilette per signori. Con buona pace delle risatine nel migliore dei casi o, nel peggiore, dei soprusi che subirai. «Viviamo in un mondo che ti dice come devi essere: meglio se eterosessuale», si anima Hunter. «Io ho passato molto tempo a disimparare tutto ciò: a riconoscere gli schemi in cui la società cerca di imprigionarti e a sbarazzarmene. Anziché pensare a come dovrei essere, oggi mi concentro su ciò che mi fa stare bene. Con gli anni sono diventata sempre più queer». Tradotto: con identità e preferenze sessuali fluide. Spiegato: il fatto che Schafer oggi sia una donna non significa necessariamente che debba amare solo gli uomini. Pare infatti che, recentemente, abbia intrecciato una relazione con una ragazza.
Non tanto diversamente da quanto accade al suo personaggio nella serie: in Euphoria è la trans Jules, inizialmente ossessionata dal bisogno di attenzioni maschili, poi sempre più attratta dalla migliore amica Rue, alias Zendaya, ex volto Disney prestato a una teenager drogata appena uscita dal rehab. «Jules è dipendente dagli uomini come Rue lo è
dalla cocaina. In ogni rapporto cerca conferma della propria femminilità. Ci mette un po’ a capire che ci sono modi più sani per ottenere rassicurazioni. E per “disintossicarsi”. È stato bello vederla uscire da quella trappola mentale».
Liberarsi dagli schemi pare sia la missione di vita della stessa attrice. Alla domanda su come immagina l’evolversi della sua carriera, risponde: «Ora gireremo la seconda stagione di Euphoria, poi vorrei sperimentare ruoli diversissimi. Ma non rinuncio all’idea di mettermi alla prova anche in altri campi: la musica e la danza, per esempio». Passioni infantili? «No, non so cantare né suonare né tantomeno ballare, però mi piacerebbe collaborare con i musicisti per aiutarli a produrre. E riprendere un’attività che ho provato al liceo: la mia scuola era frequentata da parecchi ballerini e, nel weekend, tenevano una classe di propedeutica alla danza. Accendevano la musica, spegnevano le luci, nascondevano gli specchi: ognuno era invitato a muoversi liberamente, senza paura di essere ridicolizzato. Era la mia ora al riparo dal giudizio altrui».
I tempi in cui per fare musica era auspicabile avere un diploma al conservatorio, fare danza era difficile senza anni di sudore alla sbarra, fare entrambe le cose impensabile appartengono alla categoria «passato remoto». Oggi un’artista come Hunter, che nel curriculum vanta una collaborazione con un fashion blog, qualche lezione di recitazione e un milione di follower su Instagram, può permettersi di ipotizzare una carriera multiforme che spazia dal disegno al cinema alla moda: prima di essere selezionata nel cast di Euphoria, infatti, ha trascorso un anno sfilando e posando per le più grandi Maison, da Dior a Miu Miu. Cosa che non esclude di riprendere. Così come non esclude l’università: «Stavo per iscrivermi alla Central Saint Martins di Londra quando il provino per Jules ha dirottato i miei piani. Non mi dispiacerebbe rimettermi dietro ai banchi di scuola. Fino alle medie ero piuttosto brava. Alle superiori un disastro: colpa dell’adolescenza».
Quando le chiediamo se i suoi anni del liceo siano lontanamente paragonabili a quelli dei personaggi di Euphoria – rimbambiti da un’iperesposizione online e narcotizzati da alcol e stupefacenti – spiega: «Euphoria è una serie drammatica: la droga è, sì, un’emergenza in alcuni istituti, ma non si può generalizzare. Nella mia scuola il problema era un altro: in chat circolavano le foto osé di alcuni studenti. Per il resto, la maggior parte degli spunti della serie deriva dall’esperienza personale di Sam Levinson, il regista. Esempio: nel primo episodio, Jules viene importunata da un ragazzo arrogante, lei per difendersi lo minaccia con un coltello. Qualcosa di simile è successo a Sam, una volta che si è presentato a un party vestito da donna. È anche per questo che capisce e descrive Jules così bene: lui stesso, nella sua vita, ha attraversato la fluidità».
Fluidità che sarebbe riduttivo interpretare solo come assenza di preferenze sessuali univoche; meglio intenderla come ribellione contro le definizioni che ingabbiano. Negli Stati Uniti, infatti, la generazione Z, di cui Hunter fa parte, non ama essere delimitata da un sostantivo che, descrivendo ciò che sei, cancella ciò che non sei. Donna significa che non sei uomo, omosessuale significa che ami esclusivamente le persone del tuo stesso sesso, attrice che fai solo quello, attivista che impieghi gran parte del tuo tempo a combattere per una causa specifica. Tutti epiteti che Hunter e molti dei suoi coetanei rifiutano, dando così una mano all’evoluzione del sogno americano: l’ideale della famiglia perfetta con padre di successo, madre casalinga, villetta a schiera, giardino, cane e Prozac di nascosto la mattina sta tramontando. Al suo posto, una visione più indefinita dove i ruoli tra uomini e donne sono intercambiabili. Più libera, dove i sentimenti sono variopinti e l’amore senza barriere. Meno ipocrita: come racconta Euphoria, le trasgressioni esistono, tanto vale parlarne. Schafer chiude: «Culturalmente, sta diventando più accettabile l’apertura verso la realtà, anche quando è scabrosa. C’è un movimento verso l’onesta. E la mia generazione ne è promotrice».
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Pagg. 82-83: blazer, 3.1 PHILLIP LIM. Make up James Kaliardos. Hair Ward.