Sorella morte
Qualche giorno fa, vedendo nella prima puntata della trasmissione Le Iene il video in cui Nadia Toffa parlava della sua malattia e della morte che sapeva non essere lontana, ho pensato che quel video aveva un gran merito: quello di portare in televisione un tema solitamente rimosso come quello della morte.
Nadia diceva: «Non è importante quanto si vive, ma come si vive».
Aggiungerei che non è importante solo quando si muore, ma anche come si muore.
Quello della morte è davvero l’ultimo tabù. Parlarne in televisione, parlarne come ha fatto Nadia, sorridendo, senza retorica, ci ricorda che la morte non è l’opposto della vita, ma fa parte della vita. Nella storia dell’umanità, la morte ha sempre avuto un posto d’onore nella vita delle persone, anche per chi non ha conforti religiosi: è solo da una manciata di decenni che si cerca di rimuoverla, nasconderla, ospedalizzarla. Eppure, e qui voltiamo pagina rispetto alla testimonianza di Nadia − che avrebbe dovuto e voluto vivere molto più a lungo −, morire con dignità, morire vicini ai propri affetti, morire senza dolore, dovrebbe essere un nostro diritto. Tutti dobbiamo morire ed è meno triste pensarlo se si ragiona con Epicuro sul fatto che una volta morto non puoi soffrire per la tua morte. Dispiace soprattutto per chi resta e sente la nostra mancanza, ma morire con dignità è di consolazione sia per chi va che per chi rimane: una delle bellissime cose che ha detto in quel video Nadia Toffa è stata «mi dispiace più per mia madre che per me».
La sua testimonianza, il suo coraggio di condividere un evento tanto personale, forse può fare sentire meno estranea un’esperienza che prima o poi spetta a tutti, e far avvicinare a una consapevolezza, quella che la morte sia sacra quanto la vita, e che come la vita vada vissuta secondo le proprie convinzioni e le proprie scelte.
I giudici della Corte costituzionale che hanno assolto Marco Cappato per aver accompagnato in Svizzera dj Fabo che aveva deciso di morire hanno chiesto al Parlamento di legiferare presto sul suicidio assistito. «In attesa di un’indispensabile intervento del legislatore», non hanno ritenuto punibile «chi agevola l’esecuzione del proposito di suicidio di un paziente tenuto in vita da trattamenti di sostegno vitale e affetto da una patologia irreversibile».
Non possiamo decidere come nascere, ma dovremmo avere il diritto di decidere come morire e di poter rifiutare una condizione di dolore, qualora ci fosse insopportabile, senza dover ricorrere a metodi violenti o illegali o senza doverci affidare alla pietà e alla coscienza di un medico. Che poi anche i medici devono essere liberi di agire secondo coscienza: tutti dovrebbero esserlo.
Sorella morte, come la chiamò con dolcezza San Francesco nel Cantico delle Creature, spesso si presenta quando vuole e non ci si può discutere: ma quando si può dovremmo avere il diritto di farlo.