Vanity Fair (Italy)

I congedi di paternità

- luca ventura

Mike Brady, presidente di un’azienda di prodotti da forno ai confini del Bronx, non ama fare domande: se vuoi un lavoro hai solo da compilare un modulo con nome e contatti. Appena si apre una posizione, chi è in cima

alla lista viene assunto come apprendist­a. Alla Greyston Bakery di New York si fa così da quasi 40 anni. Fondata nel 1982 da un maestro zen (quello di non giudicare è uno dei capisaldi della filosofia buddista), oggi ha un giro di affari di 20 milioni di dollari. Brady, che risparmia più di 4 mila dollari per persona in costi legati a controlli del background, lo chiama «open hiring», e vuole trasformar­e il metodo in un movimento. Come lui, del resto, molti sono i datori che negli Usa hanno iniziato a ripensare le politiche di reclutamen­to della forza lavoro, quella non-specializz­ata ma non solo. «Anche in Italia i dati dimostrano come il titolo di studio sia condizione necessaria ma sempre meno sufficient­e per trovare lavoro», conferma Alessandro Rosina, docente di Demografia e Statistica sociale alla Cattolica di Milano: «Conta proporsi, essere intraprend­enti e adattarsi, riconoscen­do gli aspetti positivi del mestiere e portando il proprio contributo». A patto che, avverte Rosina, «l’azienda non recluti persone poco qualificat­e per offrire contratti al ribasso, ma le metta nelle condizioni di dare il meglio di sé, di dimostrare quanto valgono e di sentirsi valorizzat­e».

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