Quel gioiello di «Missandei»
L’attrice inglese Nathalie Emmanuel è tra le muse ispiratrici di un brand di gioielleria che, come lei, ha affrontato una sfida: come si evolve quando si è già al top?
Ci sono momenti nella vita in cui tutto va alla grande. Sul lavoro hai fatto il botto, la gente ti riconosce per strada, il conto in banca cresce, hai stuoli di fan adoranti e anche i più scettici, quelli che al liceo non avrebbero scommesso un centesimo su di te, ammettono che sei al top. A quel punto cosa fai? Ti rilassi e te la godi finché dura, oppure ti metti in discussione e ricominci daccapo? Nathalie Emmanuel questa domanda se l’è fatta eccome, quando si è trattato di decidere come affrontare la fine del Trono di Spade, la serie tv dove lei interpretava il ruolo di Missandei e che ha toccato picchi d’ascolto da capogiro (oltre 13 milioni di spettatori solo con il finale dell’ultima stagione negli Stati Uniti). Trentenne, inglese di nascita ma con i genitori di origini caraibiche, Nathalie si è posta il problema, per molti versi simile a quello di Pandora, il marchio danese specializzato in gioielli rifiniti a mano che l’ha voluta tra le sei muse ispiratrici di un restyling epocale, firmato dai direttori creativi Francesco Terzo e A. Filippo Ficarelli, e presentato a Downtown Los Angeles con uno street party nell’area più cool della città. Il brand lo aveva fondato nel 1982 a Copenhagen l’orafo Per Enevoldsen insieme alla moglie Winnie. Nel 1989 avevano posto le basi della produzione in Thailandia, dove oggi sono attivi due stabilimenti strategici e progettati rispettando i criteri di social responsability. Poi il boom, nel 2000, quando debutta Pandora Moments, il bracciale con charm da combinare in modo del tutto personale. Il pubblico impazzisce, ognuno può creare una propria storia da indossare, inizia la caccia ai charm più particolari, animata ancora oggi da collezionisti agguerritissimi. Insomma tutto fantastico e al contempo il momento giusto per mettersi in discussione, per evolvere senza tradirsi. Proprio come Nathalie.
Le piacciono i cambiamenti?
«Di base sono una persona che fa resistenza alle novità: amo avere una routine, ma nel tempo ho capito che i mutamenti portano sempre grandi cose. Ho imparato ad accettarli e mi dico che, se avvengono, è perché c’è una ragione che magari io in quel momento non so riconoscere. In fondo, non sarei mai arrivata dove sono, se non avessi scardinato le mie abitudini».
Quanto è difficile evolvere partendo da una condizione di successo come la sua?
«Quando sono approdata al Trono di Spade ero in un momento di down. Non avevo lavorato per un po’ e di conseguenza avevo perso fiducia nelle mie capacità, mi stavo massacrando. Ognuno di noi ha la responsabilità di credere in se stesso, ma aiuta quando qualcuno nel mondo riconosce il tuo valore, e in quel momento il cambiamento era ciò che mi serviva. La fine è stata molto diversa, perché razionalmente lo sapevo che non poteva durare per sempre, eppure all’ultimo ciak ho pianto a dirotto. Era la fine di un capitolo così significativo della mia vita, non solo a livello professionale. Perché durante quei sette anni di lavoro sono diventata la donna di oggi».
E cioè?
«Sono una persona che sa quello che vuole ma anche quello che non vuole. E la vita si semplifica quando acquisisci questa consapevolezza, perché la trasmetti a chi ti circonda. Per esempio so che come attrice accetterò ogni parte che mi porterà al di là di limiti e barriere. E che non mi lascerò ingabbiare dall’ossessione per il successo di molti miei colleghi. Voglio tenere i piedi per terra e non farmi togliere la gioia di fare il mio mestiere, solo per rincorrere una fama per forza di cose destinata a non durare».