RED CARPET Parla il coiffeur delle dive
Da anni lavora per i Festival del cinema, sui set dei film italiani e dietro le quinte delle sfilate: un guru dell’hairstyling svela i segreti delle star e il nuovo «vento» che tira
«Chi tocca i capelli di una donna, credo debba augurarsi d’essere – prima di ogni altra cosa – un buon confessore. Ho sempre “ascoltato” ogni testa che mi è passata per le mani». Il coiffeur delle dive Roberto DA’ ntonio, ambassador Dyson per l’Italia, prende tutto in giro e sul serio. «La mattina sveglia alle sei – che il vantaggio ci vuole, ti salva – e non lascio gli arnesi finché non ho finito: è la mia vita».
La sua «massima»?
«Spesso i parrucchieri pensano che la loro forza sia nei ferri: è l’esatto contrario. Una volta mi ritrovai in Tunisia, nel deserto, senza corrente, alle prese con un servizio fotografico che prevedeva 60 cambi di acconciatura: m’ingegnai facendo del grasso con un po’ di crema e acqua, poi asciugammo i ricci al sole».
Che cosa conta nella vita?
«Essere perbene: il rispetto, la corrispondenza, l’equilibrio. Che insieme fanno l’unicità. No a stravolgimenti e uniformità. Quello che ci ha dato la natura, lo dobbiamo conservare. Fino a cinque anni fa, sui red carpet dei Festival del cinema non riconoscevi una Nicole Kidman da una Meryl Streep. Erano bambole una uguale all’altra».
La più indimenticata?
«Forse Tina Turner: non sapevo dovessi pettinare proprio lei. Bussai alla porta dell’hotel in cui era, a Firenze, mi aprì in pigiama di seta a righe. Mi sono inginocchiato. Vanessa Redgrave, che tirò fuori un foulard con dentro le spazzole. O Jane Birkin: aveva uno spettacolo al Teatro Sistina di Roma, sul cui palco tra gli inchini orchestrali disse “Sono arrivata da Parigi come una piccola Cenerentola e un vostro mago qui mi ha tramutato in principessa”».
Di italiane?
«Sabrina Ferilli, che di tanto in tanto alza lo sguardo: “Che me stai a combinà?”. Valeria Golino, una volta passammo da nero pece a biondo platino senza riposo. Valeria Bruni Tedeschi: ci arrivavano i bozzetti di come la voleva Paolo Virzì, dal set della Pazza gioia».
Cosa sente di avere di «magico»?
«Ho imparato dagli sbagli, più che dai maestri. Ad assecondare quel che siamo, e dunque i capelli che abbiamo. L’omosessualità poi mi ha dato il buongusto. E il fatto che ogni giorno mi alzi con l’ansia di non farcela di quand’ero bambino».