Vanity Fair (Italy)

SUSY LAUDE

La quiete dopo la tempesta

- di LAVINIA FARNESE foto FABRIZIO CESTARI

Il lago di Garda visto dalla casa di Salò di Susy Laude è una distesa blu chiusa tra i suoi monti e paesini che appena la luce cambia si fa celeste di luccichii, e se arrivano delle nuvole diventa nero pece, opaco da spavento. Lei, seduta al tavolo della cucina, riempie il vuoto di tutto quel bianco intorno lasciato da una madre scomparsa troppo presto unendo, come esistenza impone, voli e cadute, tragedia e commedia. E sembra di stare nella scena finale dei Giorni dell’abbandono, quando Margherita Buy realizza che la paura forse, o almeno a tratti, scompare se pensiamo che in fondo altro non siamo che «passare della morte nel rumore confuso della vita, gioie insieme a fitte di dolore, cuore che invecchia e ringiovani­sce all’improvviso». Occhi di ragazza, ultimi anni dal destino sgarbato. Con una mamma «bella come Mariangela Melato» che si ammala di tumore al cervello e muore, un papà che prima di invecchiar­e di colpo e senza scampo anche lui, prova a rubarle in tribunale questa casa in cui siamo e in cui ora lei si è trasferita con il compagno, Dino Abbrescia, conosciuto nel 2008 su un set in cui lei – per la parte – era già vestita da sposa, e lui l’ha squadrata e con lo sguardo pieno le ha detto: «Ma lo sai che io con te un figlio ce lo farei?». E così è stato. Niko è nato il 4 maggio del 2009 ed è a pochi passi da noi che gioca su un grande tappeto e va convinto a fare i compiti. È un pomeriggio insieme raro e come tanti. Con dei film che stanno per uscire (Appena un minuto di Francesco Mandelli, Se mi vuoi bene di Fausto Brizzi, Gli uomini d’oro di Vincenzo Alfieri) e la giostra di nuovi che girerà, dentro una sensazione di riparo «dopo avere perso tutti». «Questo è il mio nido, il mio tornare e ricucirmi dopo un esilio. Negli anni ’20 e ’30 venivano a curarsi in questi luoghi di DA’ nnunzio dove sono cresciuta sulla spiaggia del Rimbalzell­o: si racconta lui ci andasse a lanciare i sassi nell’acqua». Anche noi andiamo per associazio­ni: attraversi­amo un bosco. «AllA’ ccademia d’arte drammatica, a Roma, portai proprio La pioggia nel pineto, in onore delle mie radici».

Senza, siamo poca cosa. Che cos’è un’eredità?

«C’è quella dei gesti, dei valori, dell’amore e del sangue: di mia madre. Quella delle cause: di mio padre. Si separarono dopo 30 anni di matrimonio perché lui, che qui vendeva barche, cliché dei cliché finì con la sua giovane segretaria. Mia madre da signora naïf e speciale qual era uscì da quella porta. Lui, così, prese ad abitare qui con lei. Quando è morta mi arriva una raccomanda­ta. E scopro che voleva portarglie­la via del tutto con convocazio­ni in tribunale a cui lei non riusciva a presentars­i perché si stava curando, perché stava morendo. Ho preso io la causa in mano, e dimostrand­o ambulanze e chemiotera­pie l’ho vinta».

Si riconciliò mai con suo padre?

«In clinica, prima del suo funerale: parkinson e alzheimer l’avevano reso ormai irriconosc­ibile. Gli ho preso le mani: “Ma ti rendi conto di quello che hai fatto?”. Mi rispose chiaro: “Quando uno è un verme, devi lasciarlo come un verme”».

Che cosa l’ha fatta innamorare invece di Dino?

«Alla fine della serie, mi ero appena lasciata con il mio ex, stava morendo il mio migliore amico, pesavo 46 chili. Mi telefonò: “Pensi di volere rimanere sul divano a piangere o esci con me a prendere una boccata d’aria?”. Andammo a vedere Gomorra al Greenwich di Testaccio. Pensai: “Basta, il tempo è un bastardo, tocca goderselo, se me la chiede gliela do subito”. Io, che avevo avuto solo due fidanzati. Salgo sul motorino, metto il casco, saluto, tre metri e torno indietro: “Posso venire da te a fare l’amore?”. “Mi sa che hai più bisogno di coccole”. Un mese e decidiamo di fare un bimbo».

Com’è stato, quand’è venuto al mondo?

«Gli ho scritto sempre, fin da quando l’avevo in pancia. Perché così facevo anche con mio padre, bambina. Gli lasciavo una lettera sul cuscino, la sera. E lui mi rispondeva al mattino dopo. Con Niko, Dino mi regalò un camper. Andammo in giro per l’Italia da nord a sud e ritorno, nei suoi primi quattro mesi di vita. Non voleva m’ingannasse il falso mito che una montata lattea possa bloccare una donna».

Fermarsi è una parola difficile.

«E noi non lo facciamo mai. Scendiamo spesso in Puglia, dove c’è mia suocera, nonna Rosa, passato da sarta, che vive con la pensione del marito, e ogni volta mi porta nella Rosangela boutique, la più chic di Valenzano, costringen­domi al capo più bello: lo pagherà piano piano poi, a rate».

Ci vivrebbe mai, lì?

«Vengo da qui: ho gli occhi verdi come il lago. Ci nuoto dentro tenendoli aperti. Al mare invece bruciano, li chiudo».

Vi sposerete mai davvero?

«Dino me l’ha chiesto la prima volta che ero incinta al reparto cessi e bidet del brico. Scherzi a parte, credo che il matrimonio sia un culto importante nella propria storia personale. Ma ogni volta che lo immagino, mi sovviene il prato verde con le 350 rose bianche intorno alla bara di legno grezzo di mia madre, Que reste-t-il de nos amours? di Stacey Kent che va di sottofondo, il Sonetto 116 di Shakespear­e che leggemmo in quella occasione, la sua carezza da cui mi scansai, adolescent­e, e che chissà che darei ora per riavere. E allora penso che sono ancora troppo vicini i funerali per dare una festa. Anche se d’amore».

 ??  ?? A TUTTO SCHERMO Susy Laude, 43 anni. L’attrice è al cinema con Appena un minuto di Francesco Mandelli, dal 17 ottobre lo sarà con Se mi vuoi bene di Fausto Brizzi, e dal 7 novembre con Gli uomini dÕoro di Vincenzo Alfieri.
A TUTTO SCHERMO Susy Laude, 43 anni. L’attrice è al cinema con Appena un minuto di Francesco Mandelli, dal 17 ottobre lo sarà con Se mi vuoi bene di Fausto Brizzi, e dal 7 novembre con Gli uomini dÕoro di Vincenzo Alfieri.
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Dino Abbrescia e Susy Laude, compagni di vita e sul lavoro, girano spesso film insieme. Quando lei lo presentò in famiglia, il nonno lombardo esclamò: «Almeno ha il cognome del Nord».
DOPPIO BINARIO Dino Abbrescia e Susy Laude, compagni di vita e sul lavoro, girano spesso film insieme. Quando lei lo presentò in famiglia, il nonno lombardo esclamò: «Almeno ha il cognome del Nord».

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