Vanity Fair (Italy)

EVA RICCOBONO

La mia arma comincia per «A»

- di FERDINANDO COTUGNO foto MATTEO CECCARINI

«Io non sono come niente a parte me», dice Eva Riccobono, con la forza che hanno le frasi che potresti usare come brevissime autobiogra­fie. È una battuta di Coltelli nelle galline, lo spettacolo col quale è in scena al Teatro Franco Parenti di Milano, regia di Andrée Ruth Shammah. Interpreta una giovane donna senza nome, una contadina stretta tra due uomini più vecchi, fragili e presuntuos­i, ai quali si ribella imparando tutte le parole che non conosce. Nata a Palermo, Riccobono è diventata negli anni 2000 una delle modelle più richieste al mondo. Poi la decisione di svoltare: oggi è un’attrice che non somiglia a niente a parte se stessa. Ha lavorato con Carlo Verdone, Marco Ponti, Renato De Maria, nel 2013 è stata madrina della Mostra del Cinema di Venezia. È legata al dj Matteo Ceccarini e hanno un figlio, Leo, nato nel 2014.

Partiamo dalla Giovane Donna: come si è legata a lei?

«Quasi tutte le donne sono state una Giovane Donna. Andrée, la regista, mi ha raccontato che quando lavorava al Piccolo con Strehler e spiegava le cose ai tecnici, c’era sempre quello sguardo di sufficienz­a, che diceva: cosa ne sa questa?».

A lei capita?

«Tutti i giorni, come a tutte. Tiro fuori un argomento spirituale e c’è quello sguardo, dico che so guidare bene e c’è quello sguardo. Poi io ho anche il pregiudizi­o della modella. Mi dicono: “Volevo farti i compliment­i, non pensavo fossi così brava”. Guarda che potevi anche solo fare i compliment­i...».

Immagino siano spesso uomini.

«Gli uomini credono sempre di sapere di più. Da ragazza avevo un fidanzato più grande, gli dicevo: con gli altri mi batteva il cuore. E lui: quella roba lì non accadrà più, non lo sai perché sei piccola, te lo spiego io. E ovviamente aveva torto».

Quella frase: «Io non sono come niente a parte me». La pronuncia come fosse davvero sua.

«Mi hanno sempre voluta cambiare, mi dicevano: non sei una primadonna, non sei abbastanza diva. Mi veniva il dubbio che avessero ragione. Oggi mi viene detto ancora, ma io sono questa, sono alla mano, socievole e parlo con tutti».

Quale parola la fa sentire potente?

«Posso dirne una banale?».

Certo.

«Va bene: amore. Guardo mio figlio e provo amore. Ho sempre scelto l’amore, la famiglia, stare con Leo i primi tre anni, stare con un compagno per quindici anni, scendendo a compromess­i, perché è quello che facciamo tutti. Sono in una fase romantica, vado a teatro in metro e ieri ho visto una famiglia straniera, mamma, papà, due figli, lei ha coccolato il bimbo in un modo così bello che volevo accarezzar­la e dirle: brava».

Una parola che ricorre nelle sue interviste è bellezza.

«Qualunque cosa io faccia, mi viene chiesto: ma tu? La tua bellezza? Siete voi giornalist­i, il modo in cui chiedete le cose, come usate le risposte. Rileggo e non mi ritrovo, faccio interviste istintive, mi affido e ci rimango male. Non voglio risultare ingrata, la bellezza è un dono, ma mi ritrovo sempre a giustifica­rmi, come se venissero sminuiti impegno e talento. Non mi ci voglio appoggiare, perché sfiorisce, tutte invecchiam­o».

Com’era la moda degli anni 2000?

«Ne ho un bel ricordo, c’erano le top model, non le influencer. Avevo colleghe di una figaggine mai più vista. C’era gioia nel backstage, i fotografi mi dicono: da quando non ci siete voi, non ci si diverte. Si rideva e cantava invece di fare selfie».

Che ruoli desidera al cinema nei prossimi anni?

«Io mi sento un personaggi­o comico, faccio sempre battute, ho un talento nel far ridere, faccio associazio­ni divertenti di cui sono orgogliosa. Livello: Una pallottola spuntata».

Su GQ ha scritto della sfida al maschilism­o nel crescere suo figlio. Ci riesce?

«Bisogna farsi rispettare come madre, è la prima figura femminile che incontra. Non dire solo sì, sapersi dosare, mantenere autorità e credibilit­à. Insegno a trattare la fragilità, a non essere prepotente. Poi sono semi, quando avrà diciotto anni saprò se ha funzionato o se è diventato una testa di cazzo».

Intervista­i Matteo qualche anno fa e mi raccontava di ascoltare musica in continuazi­one.

«Ho sempre detto che Matteo ha fatto la colonna sonora della mia vita. A volte sono stanca, gli dico: Mattè o vai in studio o metti le cuffie. Però prepara le compilatio­n per i viaggi, i nostri ricordi sono tutti musicali. Quando Leo entra nello studio, si mette a ballare, entro e ballo anche io».

C’è una canzone in particolar­e?

«Warning Sign dei Coldplay. Ci eravamo appena conosciuti, non avevamo alcuna speranza di una relazione duratura, ci dicemmo: non è una cosa seria, facciamo solo una vacanza. Mi fa sorridere pensare che da quel viaggio a Saint-Tropez, su una decappotta­bile vintage, senza meta, ascoltando quella canzone, sia poi venuto nostro figlio. Era la prima volta che stavo con un uomo senza pensare che fosse l’uomo della mia vita ed è diventato l’uomo della mia vita».

Parla di lui come «marito», ma non siete sposati.

«Negli anni ho iniziato a dire marito. Quindici anni di relazione sono un matrimonio. Non saprei neanche come dire. Fidanzato? Adolescenz­iale. Compagno? Comunista. Per sentirlo un marito mica devo sposarlo veramente. Matteo è mio marito e io sono sua moglie. Poi magari un giorno andremo in Comune e lo faremo davvero».

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Eva Riccobono, 36 anni. Top model e attrice, ora è in scena con Coltelli nelle galline, diretta da Andrée Ruth Shammah, al Teatro Franco Parenti di Milano fino al 20 ottobre.
DALLA PASSERELLA AL PALCOSCENI­CO Eva Riccobono, 36 anni. Top model e attrice, ora è in scena con Coltelli nelle galline, diretta da Andrée Ruth Shammah, al Teatro Franco Parenti di Milano fino al 20 ottobre.
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Riccobono con Maurizio Donadoni in Coltelli nelle galline di David Harrower, dove interpreta Giovane Donna.
CONTADINA COMBATTIVA Riccobono con Maurizio Donadoni in Coltelli nelle galline di David Harrower, dove interpreta Giovane Donna.

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