PAOLA TURCI & MAFALDA
Destini incrociati
Non potrebbero sembrare più diverse Paola Turci e Mafalda, a iniziare dai loro 30 anni di differenza. In realtà, oltre ad avere condiviso il palco a Roma e a New York, le due cantanti provano le stesse emozioni, paure, speranze. Una sintonia di anime che nasce dal talento, dall’amore per la musica e dalla «sorellanza» tra donne
Una è nata e cresciuta a Roma ascoltando Mina e Ornella Vanoni. L’altra è cresciuta a Londra con i dischi degli Strokes. Una ha fatto il primo Sanremo nel 1986. L’altra, all’epoca, non era ancora nata. Una è figlia della borghesia romana, classe media e scuole pubbliche. L’altra ha un padre che di nome fa Prince Kyril di Bulgaria e una madre, Rosario Nadal, che è stata musa di Valentino. Paola Turci e Mafalda (nome d’arte di Mafalda Cecilia di Bulgaria) non potrebbero essere più diverse. Nel mondo della musica, dove le magie succedono perché non ci sono logiche e si procede per emozioni, capita però che due donne di generazioni diverse possano condividere molto più di un palco. «Sono nata nel 1994», dice la più giovane. Paola si ferma un attimo: agosto 1993 è la data dell’incidente che avrebbe potuto costarle la vita. Quando Mafalda è nata, lei era già nella sua seconda esistenza.
Il primo incontro tra queste anime similmente inquiete avviene a Milano. Grazie ad amici comuni Paola ha già sentito le canzoni della collega e le chiede di aprire il concerto allA’ uditorium di Roma, lo scorso maggio, data d’inizio del Viva da Morire Tour che dal 12 novembre, a Torino, ricomincia nei teatri. «Mi rivedo in lei. Anche io ho iniziato a fare cose importanti presto, ma non avevo nessuno che mi dicesse: vai, fai, prova, buttati. Sono sempre stata sola, ho imparato facendo. All’inizio, quando suonavo, il fonico mi teneva la chitarra bassa: ci sono voluti anni perché trovassi il coraggio di dirgli di alzarmela». «Paola è la versione italiana di Cat Power, uno dei miei idoli», dice Mafalda.
Il secondo incontro è a New York per un evento organizzato da Michael Kors durante la settimana dalla moda. Paola sale sul palco del McKittrick Hotel da sola, con la chitarra in mano, per un concerto acustico. Davanti a un pubblico quasi esclusivamente di americani canta Mina, Modugno e un suo successo, Volo così. A lato del palco Mafalda, reduce dalla sua esibizione, la osserva, prima di cantare insieme Hallelujah di Jeff Buckley. Il giorno dopo è il compleanno di Paola. Cinquantacinque anni di cui è ferocemente orgogliosa. Vedendole insieme è d’obbligo pensare a quanto sia stata complicata la carriera dell’una, per motivi personali e generazionali, e quanto sembri facile quella di chi inizia oggi. «Ci sono più opportunità, è indubbio», ammette Mafalda. «Ma c’è più concorrenza. I social media danno l’impressione del successo veloce, quando dietro c’è un lavoro di anni. Ho studiato musica a Boston, canto da quando avevo 14 anni, ho intrapreso questa strada in modo serio. Mia mamma mi ha detto: se vuoi farlo, allora fallo bene».
«Oggi riconoscere il talento è difficile», dice Paola. «Ci sono migliaia di cantanti, file di persone che si presentano ai talent, ma trovare un artista che ti sorprenda è difficile. Chi lo fa è perché ha una storia». Il pensiero va alla sua. Se dico sofferenza, a che cosa pensa? Mi aspetto mi risponda dell’incidente, invece no. «Per me la sofferenza è sempre quella del cuore, le relazioni sentimentali o le amicizie finite male. Mi piace amare e quando mi succede mi sento come se non avessi imparato niente dal passato. Mi piace sapere che mi innamorerò di nuovo, mi piace quel tipo di speranza, pur non essendo una romanticona, anzi, detesto le cose zuccherose, non mi piacciono neanche le commedie romantiche». Mafalda annuisce: i problemi di cuore attraversano le generazioni. Chiedo a Paola se si sente mentore, insegnante, sorella maggiore? «Mi piacerebbe trasmettere l’entusiasmo e la passione, quella sensazione che la musica è tutto, che non c’è altro che ti faccia stare bene. A 20 anni ero così. Non avevo altre aspirazioni, non vedevo altre strade. I miei genitori cercarono in tutti i modi di farmi fare altro. Mia mamma mi disse: ti do due anni. In otto mesi ero a Sanremo. Ero innamorata della musica. Potevo morire di fame, ma tutto quello che volevo era suonare». E oggi? «A 55 anni vorrei passare le giornate sulla chitarra, ma ammetto che non è così. Non sono un’insegnante, sono una a cui sono successe delle cose e che ha avuto la fortuna di raccontarle. Sono una che ci ha messo un po’ ma ha raggiunto l’autostima e adesso dico: è la cosa più importante». L’altra cosa che in questo momento della vita le sta a cuore è la sorellanza, aiutare altre donne a essere consapevoli, magari con meno paure di quelle vissute dalla sua generazione. «Per noi è stato difficile. C’era paura anche solo a uscire di casa. Da ragazzina lavoravo in un locale a Roma, uscivo di casa alle undici di sera per tornare alle tre di notte. Mi è successo di essere seguita, spaventata. La paura mi è passata solo pochi anni fa». Chiedo a Mafalda come si vede tra 30 anni e mi dice come Paola. Giro la domanda a lei. «Chissà com’è quando sei consapevole di avere poco tempo davanti. Ogni tanto ci penso. E penso anche che ho già fatto tanto, ma non riesco neanche a dire che sono vecchia, perché non lo sento. Tutto quello che mi auguro per gli 80 anni è di riuscire ad alzarmi agilmente dalla sedia».
➺ Tempo di lettura: 7 minuti