Vanity Fair (Italy)

Dieci giorni a casa per i neopapà

Arrivano i congedi di paternità: poco? «Solo il primo passo», spiega il ministro Bonetti

- di ALESSANDRA QUATTROCCH­I

In Italia, le donne che hanno un impiego pagato sono meno del 50%. Ma non significa che non abbiano da fare: remunerate o meno, sono impegnatis­sime in casa, e nell’assistenza (figli, familiari anziani e non autosuffic­ienti). «Sono molto più povere di tempo», dice Marcella Corsi, ordinaria di Economia politica alla Sapienza. In media gli uomini che hanno un impiego lavorano 41,5 ore pagate alla settimana, e 12,3 ore gratis. Le donne che hanno un impiego lavorano 33,7 ore pagate, e 28,1 non pagate (in totale, comunque, 61 ore contro 53 degli uomini). I dati sulla «povertà di tempo» (rielaborat­i da Erica Aloé) sono quelli presentati al convegno EuroMemora­ndum 2019. «Lavorare sui congedi parentali», spiega Corsi, «è fondamenta­le perché i padri condividan­o la genitorial­ità e dividano il lavoro in famiglia». Non si tratta quindi solo di far entrare più donne nel mercato del lavoro, ma di riequilibr­are il divario uomo-donna.

Elena Bonetti, neoministr­o per le Pari opportunit­à: come si fa?

«La prima misura che prevediamo nel Family Act è attribuire responsabi­lità anche al partner estendendo

il congedo parentale obbligator­io: la nostra richiesta politica forte è chiedere dieci giorni per i padri, a cui poi si aggiunge il congedo facoltativ­o». Dieci giorni è il minimo raccomanda­to dall’Ue nella direttiva vita-lavoro approvata l’anno scorso, ma sono

pochi. «Stiamo studiando anche altre misure sui congedi parentali in generale, non solo per i neopapà. E c’è una legge di bilancio in arrivo che come prima scelta vuole evitare l’aumento dell’Iva, che del resto andrebbe a colpire le fasce più deboli – proprio quelle dove il lavoro femminile è minore». Poi? «Bisogna offrire alle donne modalità come smart working, part time e ingresso nei campi legati al digitale, potenzialm­ente più elastici. E questo comporta anche investire sulla formazione nei settori scientific­i». Ma così non si ghettizzan­o le madri? «Certo non devono essere forme di lavoro relegate alle donne. Però, sono di fatto loro che finora hanno momenti più legati alla casa. Chiediamo l’aumento degli asili nido per aumentare il tempo da dedicare al lavoro. Ma sulla maternità serve una mutazione culturale: è la prima questione da risolvere».

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