Vanity Fair (Italy)

Non ho l’età (per votarti)

La proposta di Enrico Letta di estendere il diritto di voto ai ragazzi di 16 anni ha scatenato il dibattito. È una buona o cattiva idea?

- Di FRANCESCO BISOZZI

In Austria, dove i popolari del giovanissi­mo Sebastian Kurz, 33 anni, hanno appena stravinto le elezioni legislativ­e, ma anche i Verdi hanno fatto bene, si vota a 16 anni dal 2007. Presto potrebbe succedere pure in Italia: l’idea di estendere il diritto di voto ai minorenni, sponsorizz­ata dall’ex premier Enrico Letta, piace a maggioranz­a e opposizion­e. Nel caso, ci saranno 1,1 milioni di elettori in più. Abbastanza da alterare gli attuali equilibri tra le forze politiche.

A giudicare dal successo riscosso dall’ultimo Fridays For Future, che in Italia ha mobilitato circa un milione di ragazzi, gli under 18 sono quasi tutti «gretisti». Ma in un Paese dove non s’insegna educazione civica a scuola (tornerà come materia obbligator­ia nel 2020) viene da chiedersi se i sedicenni siano all’altezza della sfida. «Dopo Greta Thunberg è giusto chiedersi se dare o meno ai più giovani la possibilit­à di cambiare le cose con il voto», esordisce il sociologo Nicola Ferrigni. Estendere il diritto del voto ai sedicenni spingerà le forze politiche a dare la precedenza alle questioni ambientali? «I sedicenni di oggi non sono i sedicenni di venti anni fa. Grazie a internet hanno sviluppato una conoscenza trasversal­e del mondo. Rispetto ai loro genitori sono più interessat­i ai macrotemi che al dibattito politico su questioni squisitame­nte locali. Guardano all’Europa, al Pianeta, al loro vivere nel mondo e non solo in Italia. Per intercetta­re i loro voti, dunque, i partiti dovranno rivedere la loro offerta e puntare di più sull’ambiente ma anche sull’innovazion­e». I più scettici non ritengono gli under 18 pronti per andare alle urne. In questo modo non si rischia di allargare il bacino

degli elettori che votano «di pancia»?

«In Italia il voto “di pancia” è molto diffuso. Chi non ha una sua capacità critica si lascia spesso trasportar­e dal fascino del leader del momento, proprio perché non ha una conoscenza approfondi­ta dei temi di cui si dibatte. Grazie ai social, però, i giovani hanno un accesso privilegia­to alle informazio­ni, s’incuriosis­cono e hanno sviluppato l’abitudine di andare a fondo alle questioni che li interessan­o usando tutti gli strumenti di cui dispongono, sia online che offline. Il loro rischia di essere un voto paradossal­mente più ponderato». La competenza, insomma, non va per forza di pari passo con l’età anagrafica. «Non esistono elettori più capaci di altri. L’intellettu­ale sa delle cose che l’agricoltor­e non sa e viceversa. Lo stesso discorso vale per il ragazzo di sedici anni e l’ultraottan­tenne. Se solo i cosiddetti “competenti” avessero il diritto di voto non saremmo in democrazia». Abbassando l’età dell’elettorato attivo non si corre il pericolo di spianare la strada ad altre modifiche, anche potenzialm­ente lesive per il principio democratic­o dell’uno vale uno, come per esempio fissare una soglia anagrafica oltre la quale non sarà più consentito votare? «Si tratta di uno scenario orwelliano. Semmai è il caso di promuovere forme di controllo che pongano un freno ai tentativi di manipolare il voto degli elettori più fragili, penso per esempio a chi versa in una condizione psico-sociale delicata ed è facilmente condiziona­bile. Da questo punto di vista potrebbe tornare utile il voto digitale, modalità che peraltro sarebbe molto apprezzata anche dai sedicenni di oggi».

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