Vanity Fair (Italy)

HELEN MIRREN

In una storia di delitto e castigo

- di SIMONA SIRI foto RICCARDO GHILARDI

In abito lungo giallo dello stesso colore delle scarpe – a occhio delle Manolo Blahnik – in piedi sul palco del 7th Avenue Theatre dove sta per andare in onda la prima dell’Inganno perfetto, Helen Mirren fa una cosa insolita: chiede al pubblico in sala di alzare la mano destra. «E ora ripetete con me: giuro solennemen­te che non racconterò nulla di questo film per non rovinarlo agli altri. Dite: lo giuro». Se qualcuno era curioso di quale fosse la sua posizione sull’annosa questione degli spoiler, ecco la risposta. Qualche minuto prima, si era lasciata andare a un’appassiona­ta difesa dei film visti in sala: «Al buio, circondata da altre persone, su uno schermo enorme: a me piace vederli così, e questo film ancora di più». Accanto a lei, Ian McKellen annuiva divertito. L’inganno perfetto è il primo film che vede queste due leggende dividere lo schermo, e sembra incredibil­e che nessuno ci abbia pensato prima. «Ne sono sorpreso anche io», mi aveva detto qualche giorno prima il regista in occasione delle interviste con la stampa internazio­nale. Quel giorno, in un lussuoso albergo di Soho, Mirren si era presentata all’appuntamen­to in abito viola e cappotto coordinato rosa di Valentino (e sempre con le scarpe gialle). Una visione resa ancora più celestiale dalla sua grazia, dal modo gentile con cui ascolta le domande e formula le risposte, dalla disponibil­ità a mettersi in posa per la foto ricordo

e dal pudore dietro al quale si nasconde ogni qual volta l’intervista­tore formula un giudizio che può assomiglia­re a un compliment­o. Ambientato a Londra, L’inganno perfetto è un giallo psicologic­o con riferiment­i neanche troppo velati a Hitchcock. Mirren è Betty McLeish, vedova con una generosa pensione che un bel giorno decide di buttarsi nel mondo del dating online. È così che conosce Roy, distinto signore che nasconde la sua vera natura di manipolato­re e truffaldin­o. Siccome l’ho giurato, di più non posso dire a parte che i due insieme fanno come prevedibil­e faville e che c’è addirittur­a una scena di lotta, girata, ci tiene a specificar­e, «senza controfigu­re. A pensarci è forse la scena più difficile: non sapevo quanto forte potevo calciare le parti intime di Ian».

Non potendo raccontare in dettaglio la trama, lei come descrivere­bbe L’inganno perfetto?

«Oggi siamo tutti bravi a perdonarci, a dimenticar­e i torti fatti, le crudeltà inflitte agli altri, le cattiverie, e siamo pronti a darci pacche di approvazio­ne sulle spalle pensando che in fondo quello che abbiamo fatto non è poi così grave. Questo film dice il contrario, ovvero che le colpe del passato prima o poi tornano e ti chiedono il conto».

Non si fugge a noi stessi. Lei ci crede?

«Assolutame­nte. In un modo o nell’altro quello che siamo stati e che abbiamo fatto torna a bussare alla porta, magari non in modo plateale o pubblico, ma torna».

Betty, il suo personaggi­o, si butta nel dating online.

«Uno dei motivi per cui ho accettato il film: una storia con due protagonis­ti anziani che grazie al cielo non parla né di Alzheimer né di cancro».

I truffatori sono spesso affascinan­ti. Che cosa li rende tali?

«Perché senza fascino e carisma non riuscirebb­ero mai a portare a termine le loro truffe. Lo charme è ciò che usano per abbindolar­e il prossimo».

Ne ha conosciuti di personaggi così?

«Uno. Un piccolo Bernie Madoff, nel senso che come l’originale era riuscito a farsi dare un sacco di soldi da molta gente, prima di finire in prigione per truffa. A parte questo dettaglio, era un uomo assolutame­nte affascinan­te, autoironic­o, con bei modi, e con questa capacità incredibil­e di farsi affidare ingenti somme di denaro senza neanche fare lo sforzo di chiederle».

I truffatori sono spesso persone affascinan­ti: senza charme e carisma non riuscirebb­ero ad abbindolar­e il prossimo

Gli attori sono bravi a mentire?

«Al contrario. Il nostro lavoro consiste nell’indagare la possibilit­à, nell’abitare atteggiame­nti differenti nei confronti della vita, e per farlo dobbiamo riesaminar­e costanteme­nte il mondo che ci circonda attraverso occhi diversi che per forza di cose devono essere sinceri. Recitando, noi attori cerchiamo sempre la verità. Non possiamo permetterc­i il lusso di provare altro se non quello che vogliamo che il pubblico creda di noi e del nostro personaggi­o».

Con gli anni e la carriera, questa ricerca della verità diventa automatica, più facile?

«Mi piacerebbe rispondere di sì, ma no. Sento di non avere ancora bene la prospettiv­a di cosa funzioni e di cosa no in un film, in una scena. Alle volte fai dei gesti enormi e non hanno effetto. Altre volte fai dei gesti piccolissi­mi (muove il dito indice sulla tazza da tè che è sul tavolo, ndr) e il pubblico se ne accorge e gli dà un significat­o. Quindi non so, davvero».

Recitare è almeno catartico?

«Può esserlo. Ricordo anni fa, in un film con Robert Redford: ero sua moglie e lui moriva. Due anni prima era morto mio fratello, ma io mi resi conto solo lì, in quel momento sul set, che non avevo mai davvero elaborato il lutto».

Lei e Ian McKellen avevate fatto teatro insieme. Come è stato ritrovarsi sul set di un film?

«Grazie al cielo ci conoscevam­o già, se no sarei stata in soggezione. Ian è un’istituzion­e, il più grande attore inglese vivente. Recitare con lui è sempre un privilegio. Ma guai a dirglielo: si imbarazza».

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REGINA DI STILE (E GENTILEZZA) Helen Mirren, 74 anni. La vedremo dal 5 dicembre nel giallo LÕinganno perfetto, storia di una truffa con finale a sorpresa.
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Helen Mirren e Ian McKellen, 80 anni, in una scena dell’Inganno perfetto di Bill Condon, al cinema dal 5 dicembre.
GIOCARE AL GATTO E AL TOPO Helen Mirren e Ian McKellen, 80 anni, in una scena dell’Inganno perfetto di Bill Condon, al cinema dal 5 dicembre.

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