Vanity Fair (Italy)

DARIA BIGNARDI

Identità rivelate

- di DARIA BIGNARDI ORA DARIA —

Che cos’hanno in comune un rapper cresciuto alla periferia di Milano e una star di Hollywood ormai quasi ottantenne lo racconta una fotografia. La scorsa settimana se ne è andato Terry O’Neill, l’autore del ritratto che meglio racconta come il successo possa far sentire insensati e addirittur­a depressi. È quella foto meraviglio­sa scattata all’attrice Faye Dunaway il giorno dopo la sua vittoria dell’Oscar per il film Quinto potere, nel 1976. Faye Dunaway è in un albergo di Hollywood, accasciata sulla sedia della colazione, a bordo piscina, avvolta in una vestaglia di seta. I quotidiani che scrivono del suo premio sono buttati a terra tutto intorno a lei, bellissima ma stanca e triste. Sul tavolino della colazione sono appoggiati un accendino, il tabacco e la statuetta dorata dell’Oscar. Terry O’Neill, che è stato anche l’autore del famoso scatto dei Beatles ad Abbey Road e di moltissimi ritratti alle più grandi celebrità degli anni della Swinging London, era uno che aveva occhio. Ed era anche autoironic­o, come tutti i grandi. In un’intervista a Enrico Franceschi­ni di Repubblica disse che a riuscire a raccontare in quel ritratto Faye Dunaway proprio nel momento in cui lei si rendeva conto che «era diventata una star e una milionaria, ma nel suo volto si leggeva un’ombra di malinconia per tutta la fatica precedente, gli sforzi non riconosciu­ti, l’insensatez­za di sapere di essere la stessa persona di prima eppure di valere di colpo molto di più» aveva aiutato il fatto di aver dormito con lei la sera prima. Si erano infatti appena fidanzati, e si sarebbero sposati dopo sei anni (per divorziare dopo tre).

Nelle interviste che faccio all’Assedio ritrovo spesso lo stesso sentimento − di insensatez­za − negli artisti più sensibili. Magari sono i più fragili, sicurament­e i più profondi. Il rapper Marracash mi ha raccontato che dopo il grande successo del penultimo disco, Status, è stato male per tre anni. Che si sentiva solo e depresso e in quegli anni ha incontrato anche una ragazza − lui credeva lo amasse mentre si trattava di una persona con un grave disturbo narcisisti­co − che gli ha dato il colpo di grazia. Allora ha chiesto aiuto a uno psicologo e alla fine è riemerso e ora ha pubblicato un disco bellissimo, che sta avendo ancora più successo dei precedenti. Un disco che si intitola Persona e parla proprio dello sdoppiamen­to tra la persona e il personaggi­o, e di come possa essere doloroso avere la profonda necessità di essere e non solo di sembrare. Alla fine si parla sempre di identità, un tema centrale per ognuno di noi, famoso o non famoso. Sia che cerchiamo di affermare noi stessi litigando sui social, sia che soffriamo se non ci riconoscia­mo in quello che gli altri pensano di noi o addirittur­a nel nostro corpo, il bisogno di riconoscer­si in un’identità sentita è uno dei più grandi temi della contempora­neità. Per questo quel che rende unico un ritratto, che sia una fotografia o un’intervista, è sempre uno scarto, un disvelamen­to.

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