FEMMINICIDIO
Storia di una vittima
Una mamma e cinque bambine italiane, in Spagna, fanno l’autostop. Sono in sei, impossibile salire insieme su un’unica auto, si dividono. Le tre figlie più grandi, di 14, 13 e 12 anni, vengono fatte salire sulla prima vettura che si accosta. La mamma concorda con l’autista dove lasciarle: lei le seguirà, con le due più piccole, sulla prossima macchina che si fermerà.
Come stessimo sbirciando una seduta psicanalitica – perché quella di 12 anni è Pippa Bacca – è al minuto 29 che si capisce il documentario Mi sono innamorato di Pippa Bacca di Simone Manetti, che racconta la performance Bride on Tour dell’artista milanese Giuseppina Pasqualino di Marineo. Sappiamo come è finita quella storia: partita da Milano l’8 marzo 2008 con l’amica Silvia Moro per raggiungere Gerusalemme, vestita con un abito bianco da sposa, Pippa voleva attraversare 11 Paesi che avevano vissuto la guerra di recente, in autostop, dall’ex Jugoslavia alla Siria, dal Libano a Israele, per portare un messaggio di pace, ma era finita stuprata e uccisa da un uomo che le aveva offerto un passaggio, il 31 marzo, alle porte di Istanbul.
Un’impresa più che azzardata per l’opinione pubblica, che undici anni fa bollò Pippa come un’ingenua. Oggi però questo documentario risale all’origine di questa ultima performance. Fortemente voluta da Pippa perché fatta dei tre elementi in cui era a suo agio: il «travestimento», che era l’essenza delle sue svariate personalità, la poesia del gesto, che era la sua quotidiana ricerca artistica, e l’autostop, che era «il» modo di viaggiare che conosceva sin dall’infanzia, e senza filtri (Silvia, l’amica, non era con lei quel 31 marzo: si erano divise proprio perché lei non si fidava di tutti).
L’automobilista spagnolo – racconta la madre di Pippa –, per fare un favore, aveva portato più avanti le tre bambine. Quindi, quando lei, con le due più piccole, era arrivata al punto d’incontro stabilito, non le aveva trovate. «Panico», dice, e non aggiunge altro. Abbiamo un brivido. Poi ci diciamo che no, lo sappiamo, è finita bene. Quella volta.