Vanity Fair (Italy)

LEONARDO PAZZAGLI

Nella fiction Pezzi unici

- di LAVINIA FARNESE foto MARIELLA PRINCIPE

Certi incidenti finiscono che vanno perfino benedetti. Perché a Leonardo Pazzagli forse oggi non si aprirebber­o queste fossette sul viso che lo illuminano tutto, se da piccolo, promessa del calcio, non fosse inciampato: un brutto infortunio, e un sogno all’apparenza infranto. Niente più campo verde e porte, l’odore che fa l’erba mista alla terra quando entri in scivolata sul pallone, e ti rialzi sporco e un po’ ammaccato e ferito come dopo un’impresa.

«Avevo solo 17 anni, il mito di Roberto Baggio e il desiderio di diventare lui. Una botta, dura. Per la prima volta ho sentito il vuoto, una paura profonda. Fu durante una visita seguita, quando un medico mi disse: “Ragazzo, hai pure un bel problema alla schiena: di giocare da profession­ista te lo scordi, sai?”. E io rimasi, anche lì, un po’ ammaccato e ferito, ma come dopo un brutto incontro di boxe».

Infanzia a Colle di Val d’Elsa, un paesino in provincia di Siena, a salvarlo da quel primo dolore fu un laboratori­o teatrale amatoriale in cui si è buttato a capofitto quando la scuola era un campare di rendita e parlantina. Seguì il Centro Sperimenta­le di Roma, un esordio gentile da attore in un film sul bullismo, Un bacio di Ivan Cotroneo («La sensibilit­à è una dote primaria per un regista, piccoli re del loro impero che è il set, e io ho avuto la fortuna di iniziare con un maestro dei maestri, in questo»), e una consapevol­ezza arrivata molto presto: «Iniziai a pensare di dovere forse smettere di maledire quell’incidente, e piuttosto di doverlo ringraziar­e. Mi ha aperto a un mondo interiore che altrimenti mi sarebbe stato forse negato, e a una vita stupenda, che mi corrispond­e di più». Mica uno scherzo. Figlio di insegnanti (lei di materie umanistich­e, lui di matematica), «mia mamma vinse un concorso per l’estero che ero ancora un bambino – avrò avuto otto anni – e siamo partiti per due anni e mezzo tra Brasile e Canada. Tornando da quell’esperienza, ne avevo già avuto un assaggio: che i confini del mondo non si chiudono mai dove pensiamo. Così, concluse le superiori, oltre a iscrivermi all’università – laurea triennale in Lettere Moderne, magistrale in Storia – partii per Londra, per farmi scioccare dalla metropoli, e poi per studiare ancora recitazion­e mi trasferii a Roma, appunto, dove ero già stato da minorenne pieno di incognite a incontrare un agente per chiedergli: “Come si fa la comparsa in un film?”. E sentirmi rispondere: “E perché la comparsa e non un ruolo?”. Mi consigliar­ono un coach. Che mi convinse: non potevo rinunciare a questo focolaio che avevo dentro solo per paura dell’incertezza».

Passioni: «Camminare. L’estate è dei trekking in montagna, immersi nella natura. Leggere romanzi, la poesia. I canti di Leopardi. I crime di Don Winslow. I grandi classici, da Tolstoj a Dostoevski­j. Interrogar­si sull’esistenza di Dio, se è giusto perché fa soffrire i senza una colpa?». Credere. «No, il mio lato spirituale non ha ancora trovato un canale». Amori. «Ci sono, anzi, forse meglio sarebbe dire “c’è”. Da parecchio. A questa età, vicino ai 30, se stai con una persona, per me, è “quella persona”». Da cosa lo si capisce. «Perché lo sento, e se mi immagino una famiglia, la immagino con lei, e se mi immagino di avere a fianco una persona anziana, quando sarò anziano, è lei, perché grandissim­a è la comunicazi­one tra noi: con nessun altro riesco a parlare di qualsiasi cosa così come mi succede con lei, e vale la pena di proteggerl­a, questa rarità in cui non esiste rabbia». Dove invece sì? «In Pezzi unici, per esempio, la serie di Cinzia Th Torrini con Sergio Castellitt­o (in prima serata la domenica su Raiuno, ndr) in cui faccio un ragazzo toscano ospitato in una casa famiglia per cui vivere è difficile. Sono un frustrato, con papà morto giovane e mamma entrata nella spirale più negativa che c’è, dipendente dal crac. Sono quasi annientato da un disturbo psichiatri­co esplosivo intermitte­nte, controllo difficilme­nte le mie reazioni, racchiudo ogni mia energia nei pugni che lancio rischiando sempre che finisca peggio di com’è cominciata. Grazie a Lapo però ho potuto incontrare una parte mancante di me: ho imparato la voce della rabbia, che non tutto va sempre preso in modo dialettico e morbido. E quanto gli anni possano essere furenti. Cattivi».

Che rapporto ha con i suoi, di anni. «Non mi bastano mai, come nella commedia scientific­a La freccia del tempo, in cui sono al fianco di Lino Guanciale. Ho paura se penso che più passano, e più mi avvicino alla morte, ma mi esalto se invece li guardo arricchirm­i, nell’aumentare». Quando lo fanno di più? «Nel confronto. Sono stato a lungo un nerd della politica, con i miei amici facevamo l’alba sulle maratone di Mentana. E nella dimensione del viaggio. Ricordo una volta in Patagonia con i miei. Partimmo in macchina, lunghe traversate, due mesi in mezzo a paesaggi immensi. E li guardavo, erano lì, a due passi da me, nella Terra del Fuoco infinita. Cambiare, e rimanere. Riportarmi “a casa” dentro un sorriso dalla paura dell’ignoto, di ciò che non controllo. Sempre più innamorati. Gli volevo assomiglia­re tantissimo».

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Leonardo Pazzagli, 27 anni. È in tv su Raiuno la domenica in prima serata nella fiction Pezzi unici, di Cinzia Th Torrini.
RECITAZION­E, LETTERATUR­A (E TREKKING) Leonardo Pazzagli, 27 anni. È in tv su Raiuno la domenica in prima serata nella fiction Pezzi unici, di Cinzia Th Torrini.
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Pezzi unici, di Cinzia Th Torrini, va in onda su Raiuno in prima serata la domenica in 12 puntate a coppie. La trama ricostruis­ce la morte di un ragazzo. Nel cast, Sergio Castellitt­o e Giorgio Panariello.
GIALLO IN TOSCANA Pezzi unici, di Cinzia Th Torrini, va in onda su Raiuno in prima serata la domenica in 12 puntate a coppie. La trama ricostruis­ce la morte di un ragazzo. Nel cast, Sergio Castellitt­o e Giorgio Panariello.

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