Vanity Fair (Italy)

MARCO BOCCI

Attore, scrittore e regista

- di MARINA CAPPA foto MATTIA ZOPPELLARO servizio MARTINA ANTINORI

Molte cose sono cambiate da quando, una decina d’anni fa, reduce dal grande successo del Romanzo criminale televisivo, Marco Bocci era alle prese con una forte dipendenza. Dal cioccolato, e dai «sei cornetti alla Nutella che mi facevo ogni mattina, per poi smaltirli correndo come un pazzo». Adesso Marco ha 41 anni, è sposato con Laura Chiatti, ha due bambini – Enea e Pablo, 4 anni e mezzo e 3 – e non fa più solo l’attore: ha pubblicato un libro e, da quel romanzo, ha girato un film come regista, A Tor Bella Monaca non piove mai, al cinema dal 28 novembre.

Nonostante questi cambiament­i, però, lui appare sempre lo stesso: gentile e curioso, pronto a fare domande e non solo a dare risposte. Anche fisicament­e l’aspetto è quello di allora, con in più la barba, un orecchino da pirata che termina con una croce, un ciondolo a forma di kalashniko­v: amore e guerra indossati insieme, ma senza significat­i simbolici, se non il fatto che entrambi i gioielli sono doni di Laura.

È vero che sul set abbracciav­a tutti?

«Sì, elettricis­ti, macchinist­i, direttori della fotografia… Era l’entusiasmo».

Lei è molto fisico?

«Faccio fatica a stare fermo e, quando ho i picchi di adrenalina, devo sfogarmi con una sorta di calore umano: abbraccio e non mi tiro indietro al contatto».

Corre sempre?

«Ultimament­e non ho tempo né forze. Ma la testa non si ferma mai e, in questo turbine, il corpo deve trovare uno sfogo, quindi divento ipercineti­co, sono sempre un po’ scattoso».

Difficile starle dietro, in famiglia?

«Laura e io siamo opposti. Lei è totalmente estroversa, dice quello che pensa a tutti, una delle sue caratteris­tiche più belle. Io sono molto chiuso, fatico a parlare con chi non conosco bene, mi perdo nelle mie pippe mentali. Per fortuna lei sa tirarmi fuori dalle fosse di paranoie».

Quali paranoie?

«Quando ho un’idea, ci perdo dietro nottate, rimugino. E poi tendo a immedesima­rmi negli altri, il che può sembrare autolesion­ista».

Per un regista è importante entrare nella testa degli altri.

«Sì, ogni interprete ha un suo modo di lavorare. La mia paura per il debutto da regista era che quegli attori (Libero De Rienzo, Andrea Sartoretti, Antonia Liskova, Giorgio Colangeli, ndr) lavorano già da anni. Però si sono lasciati guidare, mi hanno messo a disposizio­ne le loro emozioni».

Il film è tratto dal suo romanzo: storia di due fratelli fra criminalit­à e bisogno di normalità nella periferia romana di Tor Bella Monaca. Il libro ha una dedica: «Agli sfruttati malpagati e frustrati che non smettono mai di lottare». È una dichiarazi­one politica?

«È qualcosa di reale. Tutto il romanzo nasce da un’ingiustizi­a subita dalla mia famiglia».

Racconti.

«Mio padre era artigiano e ha dedicato la vita a pagare il mutuo per comprarsi il locale in cui lavorava. Poi, come tanti altri nelle sue condizioni, ha deciso di affittarlo: era la sua pensione. Ma se arriva un inquilino che non ti paga l’affitto e che tu non riesci a sfrattare?».

È quello che è successo a suo padre?

«A lui e a tanti altri. Io stavo per farmi giustizia da solo. Mi sembrava una iniquità troppo grossa».

E poi?

«Ho capito che non era quella la mia natura. Per sfogarmi ho cominciato a scrivere il romanzo e ho messo il protagonis­ta nella condizione di compiere quella sciocchezz­a che io sono riuscito a evitare».

Che cosa significa «A Tor Bella Monaca non piove mai»?

«A Roma quando c’è la polizia si dice: “Piove...Piove…”. Il protagonis­ta del libro invece, quando ne ha bisogno, non trova mai un poliziotto».

Lei viene dall’Umbria, conosce bene quella periferia?

«Ci ho vissuto alcuni mesi, in periodi diversi. Ma, in generale, volevo parlare del pregiudizi­o verso una periferia che è sì protagonis­ta di tanti arresti, sparatorie, spaccio, ma è anche fatta di persone oneste, che si fanno il culo. E di zone assolutame­nte vivibili».

Adesso è tornato a vivere in Umbria: perché?

«Sono nato e cresciuto lì, come mia moglie. Siamo abituati a una realtà molto diversa da quella della città. In due minuti accompagno i bambini all’asilo, in tre faccio colazione al bar, in quattro sono a casa a lavorare. Fossi a Roma, in quattro minuti neanche all’auto arriverei».

Com’è la sua giornata?

«Cambia. Ora, per esempio, sto finendo il secondo romanzo: dopo l’asilo, mi chiudo in camera e comincio a scrivere con la musica a palla».

Scrive con la musica a palla?

«Dipende dalla parte del libro a cui lavoro. Questo è ambientato fra il 1999 e il 2001, faccio un mix fra Claudio Baglioni e gli Wham! È una storia drammatica. Però non ce l’ho ancora chiara».

Quando comincia, non sa che cosa succederà?

«All’inizio no. Proprio perché ho cominciato a scrivere per il bisogno di sfogare in maniera non fisica quel senso di ingiustizi­a che sentivo addosso».

In questo momento ha qualcosa da sfogare?

«No, è sempliceme­nte il piacere di scrivere, come facevo da bambino con racconti e poesie. Per me è un divertimen­to, non un bisogno letterario. Sono uno a cui piace inventare storie di fantasia, ma con elementi che mi riguardano, emozioni di cui sento la necessità di parlare. È anche un modo di dedicarmi tempo, scavare dentro di me. C’è chi si ammazza la mattina di addominali e poi sta meglio. Io, se appena sveglio scrivo venti pagine che metto nel cassetto, poi sto bene. Sono come sogni a occhi aperti che annoto, per non perderli».

E i sogni veri?

«Non li ricordo. A parte uno, porca miseriacci­a. C’era mio nonno, diceva che dovevamo correre a vedere nella Sala 3 il film delle 18.25. Mi sveglio la notte e mi segno i numeri 18-25-3 e la P di Pietro, mio nonno. Al mattino, mi dimentico. Il giorno dopo vado a controllar­e: erano usciti!».

La ruota della fortuna... Come la malattia che l’anno scorso l’ha ridotta in coma, un herpes che si è esteso al cervello.

«Faccio fatica a parlarne perché non ricordo nulla. Ho provato a farmi raccontare ma ho visto troppa sofferenza in chi mi era vicino e non ho insistito. Però posso dire che, se non fosse stato per Laura, che era lì presente e ha avuto una forza della madonna, probabilme­nte sarei crepato».

È vero che dopo cambia il modo di vivere?

«Per certi aspetti certo: sei giovane e ti credi indistrutt­ibile, poi ti arriva un segnale totalmente inaspettat­o e capisci che non lo sei, cominci a farti mille paranoie. Io ho sempre saputo bene la differenza fra vita reale e lavoro, ma sono diventato ancora più integralis­ta. Devi vivere ogni istante dedicando tutto alla famiglia, ai bambini. Quella è la priorità, al superfluo puoi rinunciare».

Ha rifiutato proposte «superflue» di lavoro?

«Alcune che magari prima, in preda all’entusiasmo, analizzavo in modo diverso. Però nel frattempo ho anche girato da protagonis­ta Calibro 9, sequel 40 anni dopo di Milano calibro 9, e a gennaio torno sul set».

Visto che indossa due doni di Laura, mi dice lei che cosa ama regalare a sua moglie?

«Domanda pericolosa… Lei ancora mi rinfaccia il telescopio che le ho regalato. Mi sembrava romantico, ma abbiamo perso nottate intere a cercare di identifica­re le stelle... senza riuscirci».

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Dopo aver recitato in oltre 30 tra film e serie tv, Marco Bocci, 41 anni (Bocciolini all’anagrafe), è passato dall’altra parte della macchina da presa. Il 28 novembre esce A Tor Bella Monaca non piove mai, film da lui diretto e tratto dal suo omonimo romanzo.
DEBUTTI Dopo aver recitato in oltre 30 tra film e serie tv, Marco Bocci, 41 anni (Bocciolini all’anagrafe), è passato dall’altra parte della macchina da presa. Il 28 novembre esce A Tor Bella Monaca non piove mai, film da lui diretto e tratto dal suo omonimo romanzo.
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Diretto da Marco Bocci e interpreta­to da Libero De Rienzo, A Tor Bella Monaca non piove mai è un film, anche, di denuncia sociale.
BASTA INGIUSTIZI­E! Diretto da Marco Bocci e interpreta­to da Libero De Rienzo, A Tor Bella Monaca non piove mai è un film, anche, di denuncia sociale.
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