Vanity Fair (Italy)

DÈSIRÈE COGNETTI

Un libro per mio fratello

- di SILVIA NUCINI foto ALESSANDRO ALBERT

Ha conosciuto l’abbandono, la povertà, la solitudine e la violenza. E ha fatto pace con tutto. Ma Dèsirèe Cognetti sente che per chiudere davvero i conti con il passato ha bisogno di riabbracci­are suo fratello Zakaria. E per ritrovarlo ha scritto un libro

La dispensa del corso di scrittura lo annoverava tra i più importanti consigli destinati agli aspiranti autori: «Quando scrivi, pensa a una persona», suggeriva il manuale. Per Dèsirèe, che quei fascicoli settimanal­i li comprava perché si era messa in testa una cosa precisa, il consiglio era quasi superfluo: sapeva da tempo che avrebbe scritto solo per Zakaria.

Le vite di Dèsirèe e di Zakaria si erano incrociate solo per 8 mesi, i primissimi della vita di lui. Avevano condiviso un monolocale della periferia di Torino e la sua aria pesante. Ma soprattutt­o avevano condiviso una mamma, Flavia. Erano, anzi sono, fratelli.

Quando Zakaria era nato, erano già undici anni che Dèsirèe si portava sulle spalle il fardello di una famiglia difficile: la mamma con quei segni sulle braccia, sempre strana, assente, violenta. Il papà gentile, ma anche lui con il vizio della droga e del bere, mai un lavoro che durasse, il carcere. Dopo un primo, breve, tempo felice, erano iniziati i traslochi: a casa dei nonni paterni quando i genitori erano in prigione nello stesso momento e, da lì, le mandavano solo cartoline; poi a vivere con il papà finalmente libero, poi coi nonni materni, la prima comunità con gli altri «bambini fuori dal tempo» «persone piccole e sen– za età che sviluppano l’ossessione di sopravvive­re alle ore», le definisce Dèsirèe l’affido a una famiglia, il ritorno in –, casa con la mamma e le botte ogni sera, il nuovo compagno spacciator­e e predatore, e il suo unico merito: aver dato la vita a Zakaria.

A metterla così, tutta in fila, la vita di Dèsirèe Cognetti, ora trentacinq­ue anni e un lavoro come barista in una birreria di Torino, sembra inventata. «Crescendo, e ripensando­ci, anche io mi sono detta che assomiglia­va a un romanzo. Un romanzo che non conosceva nessuno, perché non ho mai avuto il coraggio di raccontarl­o per intero, nemmeno alle persone che ho amato e mi hanno amata: mi sembrava troppo, per chiunque. Neanche io avevo la forza di ripensare a tutto. Ma ogni cosa era lì, già scritta nel cervello. Non avevo bisogno di rileggere un diario per ricordare. Del resto un diario non lo ho mai avuto: c’erano troppi segreti da tenere con il mondo, una prova scritta delle cose che nessuno doveva sapere non poteva esistere».

Il momento in cui ha deciso di rimettere insieme i ricordi è arrivato con l’idea del libro e l’idea del libro ha seguito un desiderio che ha accompagna­to per vent’anni Dèsirèe: ritrovare Zakaria, il bambino che, anche lei bambina, aveva tanto immaginato farle compagnia e poi, quando era arrivato, aveva nutrito, cambiato, accudito al posto della loro mamma. Fino al giorno dell’overdose più sbagliata delle altre, quando, dopo la morte di Flavia, erano stati separati: di nuovo in comunità lei, in adozione lui.

«Ho scritto Una storia che parla di te per cercarlo. Un libro mi sembra un modo rispettoso per arrivare, se avrò fortuna, a lui. Se vorrà potrà leggerlo tutto, e sapere. Oppure potrà chiuderlo per poi riaprirlo più avanti. O mai più. Per me è importante che lui sappia che io lo sto cercando e che dopo essere stata sua sorella per caso, per otto mesi, adesso vorrei esserlo per scelta, per sempre».

Otto mesi, su trentacinq­ue anni di vita, sono una frazione minima del tempo. «Ma Zakaria è l’ultimo legame che ho con nostra mamma, per questo vorrei tanto ritrovarlo». Per chi cresce, come si dice di quelli come Dèsirèe, «fuori famiglia», famiglia è un concetto particolar­e. «Non c’entra il sangue, c’entrano fiducia, affetto e rispetto. Dare dei ruoli e dei nomi è un limite. Senza nulla togliere ai miei genitori biologici che, anche se non ci sono più, lo rimarranno per sempre, io di mamme e papà ora ne ho almeno quattro. E, prima di Zakaria, ho pensato di essere sorella di Yagor, il cane dei tempi felici; di Mattia, il figlio della coppia che mi ha avuta in affido, e poi di molte altre persone che mi hanno camminato accanto. Però Zakaria è stato la prima persona che non mi ha fatto sentire più sola».

Quando hai una famiglia difficile non sai che cosa dire agli altri bambini, provi vergogna, devi mentire oppure tacere. I loro problemi, e le loro giornate, non sono i tuoi; così va a finire che non parli più con nessuno. «Si pensa sempre che chi vive una difficoltà manifesti il suo disagio in modo violento. Ma non è vero. Io per esempio ero tranquilla, silenziosa. Così, nessuno si è mai accorto di niente. Solo un’insegnante delle medie sospettò qualcosa e per questo convocò l’assistente sociale che mi aveva in carico. La quale disse che andava tutto bene, che non aveva tempo da perdere».

Dare dei ruoli e dei nomi è un limite. Io ho almeno quattro genitori e mi sono sentita sorella anche del mio cane

Flavia era furba, intelligen­te: agli incontri programmat­i con i servizi sociali si presentava al meglio, per poter continuare a fare quello che faceva. «A nessuno mai è venuto in mente di fare una visita a sorpresa nel nostro monolocale, una casa dove sapevano viveva una donna che loro immaginava­no solo come ex eroinomane e una bambina. Mi chiedo come sia potuto accadere. Io, dal canto mio, delle botte non raccontavo a nessuno. Avevo paura che nessuno mi credesse e che il mio tentativo inascoltat­o la facesse arrabbiare ancora di più. E poi, come tutte le vittime sanno, non volevo tradire la sua fiducia: mi diceva di non dire niente. Ma soprattutt­o credo di avere taciuto per proteggerl­a, perché era mia madre».

Di situazioni come la sua, nelle case famiglia, Dèsirèe ne ha intuite tante, ma di quelli come lei non si parla mai, come se la brutalità, la solitudine e le dipendenze fossero cose di un altro tempo e di altri mondi. «E invece è successo a Torino, negli anni Novanta». Dice che ha scritto questo libro non solo per cercare Zakaria, ma anche perché chi lo legge sappia che, anche se a un primo sguardo non li vede nessuno, ci sono tanti bambini come lo è stata lei. Per lo stesso motivo è diventata membro dell’associazio­ne Agevolando, che ha lo scopo di aiutare i ragazzi che crescono fuori famiglia nel loro percorso di autonomia sui tre fronti più difficili: casa, lavoro e relazioni. «È bello confrontar­si con chi ha condiviso le stesse esperienze, fa sentire meno strani e diversi».

Con il suo diploma di tecnico dei servizi sociali − preso non per caso − Dèsirèe non ha fatto molta strada nel lavoro: dovrebbe aggiungerc­i una laurea, ma per ora l’orizzonte non va oltre il bar in cui lavora. Dice, però, che aver scoperto la scrittura è stata una bella sorpresa ed è contenta di non essersi arresa quando, cinque anni fa, ha cominciato a mandare il suo manoscritt­o alle case editrici e le ritornavan­o indietro solo proposte di autopubbli­cazione, acquisto delle copie: truffe insomma. Ma la cosa di cui è più contenta è il suo percorso personale, una strada tortuosa in cui l’accettazio­ne di quello che è stato e il perdono non sono stati così immediati, né facili.

«Sono riuscita a uscire dall’incredulit­à e dalla rabbia quando ho cominciato a vedere Flavia non come mia madre, ma come una donna e un essere umano che in fondo era stato lasciato solo con le sue fragilità. Io sono sicura che certe cose non le avrei mai fatte a mia figlia, ma ho anche capito, e accettato, il fatto che si possa essere diversi. E dopo tutto questo, l’ho lasciata andare, lontana da me. È stato da quel momento che la mia vita è cambiata. Lei è andata via e io sono diventata una donna libera di credere che la vita è bella, che delle persone ci si può fidare. Anche di raccontare la verità e di sperare nell’abbraccio di mio fratello».

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Dèsirèe Cognetti, 35 anni, nella sua casa di Torino. Lavora come barista in una birreria e ha da poco pubblicato il suo primo libro, Una storia che parla di te (DeA Planeta), in cui racconta la sua infanzia difficile a causa delle dipendenze di entrambi i suoi genitori e dei problemi economici.
ESORDIENTE Dèsirèe Cognetti, 35 anni, nella sua casa di Torino. Lavora come barista in una birreria e ha da poco pubblicato il suo primo libro, Una storia che parla di te (DeA Planeta), in cui racconta la sua infanzia difficile a causa delle dipendenze di entrambi i suoi genitori e dei problemi economici.
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Una storia che parla di te di Dèsirèe Cognetti (DeA Planeta, pagg. 240, € 16). È il racconto dell’infanzia dell’autrice, cresciuta con due genitori tossicodip­endenti e in diverse casefamigl­ia.
UNA VITA DIFFICILE Una storia che parla di te di Dèsirèe Cognetti (DeA Planeta, pagg. 240, € 16). È il racconto dell’infanzia dell’autrice, cresciuta con due genitori tossicodip­endenti e in diverse casefamigl­ia.
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