Vanity Fair (Italy)

FELICE LIMOSANI

Profession­e: digital storytelle­r

- di RAFFAELE PANIZZA foto MASSIMO SESTINI

Felice Limosani ha fatto la quinta elementare, quindi le scuole medie serali, e poi ha passato il resto della vita a inventarsi la vita. L’ha proprio proiettata sul muro della mente e l’ha inseguita. L’ha progettata come una macchina scenica e l’ha osservata girare. Fino a diventare prima il digital storytelle­r più richiesto dai brand, creatore d’installazi­oni e videoproie­zioni in grado di allargare le frontiere di una nuova forma di coinvolgim­ento e persuasion­e detta «art marketing emozionale». E adesso, nella maturità artistica, impegnato in una serie di progetti dedicati alla valorizzaz­ione spettacola­re della cultura italiana. «Mi ritengo fondamenta­lmente uno sperimenta­tore, un innovatore allo sbaraglio». Sua l’installazi­one Magnificen­t in scena a Palazzo Vecchio a Firenze, storia del Rinascimen­to proiettata sui muri della Sala DA’ rme con le opere che prendono vita accompagna­te dalla voce narrante di Andrea Bocelli. E di sua invenzione le immagini che verranno proiettate nel Duomo di Matera il 15 dicembre, a conclusion­e dell’anno come Capitale Europea della Cultura.

«Le vede queste immagini?», dice, porgendo un visore per la realtà virtuale e annunciand­o un nuovo progetto dedicato

a Dante Alighieri. «Grazie a questo apparecchi­o voglio portare l’arte nelle carceri, negli ospedali, nelle scuole. Ovunque ci sia privazione del suo godimento».

Dalla sua espressivi­tà la parola «provocazio­ne» sembra bandita. Perché?

«Perché è uno strumento consolidat­o per catturare l’attenzione, il mondo ne abbonda e non m’interessa. Preferisco catturare il ricordo, che è una forma d’ingresso nella coscienza più profondo. Il ricordo sedimenta, diventa germoglio, e poi si trasmette».

Come funziona il suo cervello?

«Come un mixer musicale, che smonta e rimonta con atteggiame­nto combinator­io per ottenere un risultato emozionale, nel segno dell’interdisci­plinarità. Questa è la mia vocazione. Tolgo la camicia di forza ai linguaggi e li lascio liberi di incrociars­i. Sono cresciuto a Foggia, in mezzo alle donne, e ragiono al femminile, con pragmatism­o, voglia di avvolgere ed emotività».

A un certo punto è stato dj nelle località vip d’Italia. Come è successo?

«Volevo fare il musicista, poi mia sorella Arcangela mi portò a vedere La febbre del sabato sera ed ebbi l’illuminazi­one. Comprai due giradischi e iniziai a organizzar­e delle feste, dove mi notò Arnaldo Santoro, autore di Quelli della notte, e mi nominò direttore artistico della Taverna del Gufo dove suonavano Pino Daniele e Gegè Telesforo: avevo sedici anni. Un giorno comprai mille lire di gettoni e andai al centro Sip di Foggia, in piazza Cavour: telefonai a Panarea dove venni scritturat­o come disc jockey al Raya. Suonavo davanti a quattro persone e a un cane, Janek, che dormiva in mezzo alla pista, ma il giorno dopo arrivavano in decine a chiedermi le cassette. Capii che il mio pubblico erano le barche in rada, la gente sui terrazzi delle ville. Dal 1982 al 1999 ho vissuto così, d’estate a Panarea e d’inverno a Cortina. Di notte lavoravo e di giorno leggevo saggi di storia e sociologia, e rafforzavo la mia cultura».

Poi è arrivato il periodo delle invenzioni.

«Fondai una startup che venne acquistata da Nokia, creavo delle app che funzionava­no come una sorta di tavolozza di colori in cui ciascuno poteva intingere il pennello e raccontare una storia, associando musica, parole e colori. Ai tempi non c’era neppure Google, ed era un progetto pionierist­ico. Istintivam­ente intuii quanto la tecnologia avrebbe pervaso il futuro, e quanto la nostra conoscenza sarebbe stata mediata da uno schermo».

Come è diventato direttore artistico di Luisaviaro­ma, storico concept store di Firenze?

«Incontrai per caso Andrea Panconesi e decidemmo di trasformar­e l’esperienza di vendita. La sera svuotavo il negozio e ospitavamo cultura, mostre, i concerti di Giorgia e di Malika Ayane. Inventammo la prima bottiglia “vestita” da uno stilista, Elio Fiorucci. E su commission­e dei brand di moda trasformav­o le vetrine in sculture cinetiche, lavorando coi campi magnetici, la meccanica, l’acqua, i video. Ho convinto le griffe a fondare un nuovo mecenatism­o, a distinguer­e tra convincime­nto e coinvolgim­ento, un po’ come faceva Leonardo da Vinci con le sue macchine effimere, che facevano scaturire emozione e racconto. Poi, insieme al sociologo Francesco Morace, ho codificato questo paradigma che associa arte, comunicazi­one, intratteni­mento e commercio, e l’abbiamo chiamato “digital storytelli­ng”».

Un linguaggio con cui ha esposto al Louvre e ad Art Basel. Perché non le basta più?

«Perché ormai s’è consolidat­o e viene offerto come prodotto e servizio, mentre dentro di me è cresciuta sempre di più la vocazione umanistica. Sono partito col Rinascimen­to e ora sarà la volta dell’installazi­one Pensieri illuminati nella cattedrale di Matera, un’installazi­one musicale creata insieme alla direttrice d’orchestra Beatrice Venezi. Raccoglier­ò riflession­i sulla vita in quindici chiese d’Italia e attraverso un programma di grafica le trasformer­ò in pixel, proiettand­ole su quindici musicisti vestiti di bianco. Poi nel 2021 sarà la volta di Dante Alighieri: attraverso la realtà virtuale, con l’appoggio di Beatrice Ferragamo e dell’assessore Tommaso Sacchi, immergerò il pubblico nella vita del sommo poeta attraverso le incisioni di Gustave Doré, nella Basilica di Santa Croce a Firenze. Vorrei che la tecnologia avesse lo stesso effetto che ebbe la television­e negli anni Cinquanta, quando insegnò l’italiano agli italiani. Il patrimonio artistico deve diventare un dialetto nazionale, parlato finalmente da tutti».

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Felice Limosani, 52 anni, si definisce artista dello storytelli­ng digitale. Le sue installazi­oni multidisci­plinari occupano luoghi storici e città d’arte, come Matera e Firenze.
AD ARTE Felice Limosani, 52 anni, si definisce artista dello storytelli­ng digitale. Le sue installazi­oni multidisci­plinari occupano luoghi storici e città d’arte, come Matera e Firenze.

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