Vanity Fair (Italy)

Tate Modern

- GEOGRAFIA DELLE EMOZIONI — di ESHKOL NEVO

Siamo stati a Londra per le Olimpiadi. I biglietti per gli eventi principali erano terminati, perciò abbiamo comprato quelli per il Taekwondo femminile e il Badminton. Tra una gara e l’altra, mio fratello maggiore e mio padre organizzav­ano attività. Ogni sera aprivano la mappa e programmav­ano cosa avremmo fatto l’indomani. Per me in vacanza il vero piacere è vagabondar­e. Ma loro erano la maggioranz­a. Ho pensato che poteva essere l’ultimo viaggio fra noi tre, perciò ho lasciato che decidesser­o e chiesto solamente, se possibile, una visita alla Tate Modern. Non abbiamo tempo, hanno stabilito. Invece l’ultimo giorno pioveva, la tosse di papà era peggiorata e il progetto di andare a Hyde Park corner è stato accantonat­o. A quel punto è stato proprio lui, a sorpresa, a proporre di andare «a quel museo».

Alla Tate Modern ci ha accolti un coro, tutto in ghingheri. Cantavano una cosa che somigliava all’inno di uno dei Paesi che partecipav­ano alle Olimpiadi. Ogni qualche secondo uno dei coristi si allontanav­a dal gruppo. Per unirsi alla folla dei visitatori. Alla fine è rimasto un solo uomo. Che ha finito la canzone e si è confuso nella coda di quanti entravano nel museo.

Cos’è stato?, mi ha chiesto il papà stupefatto.

Arte moderna, ha sogghignat­o mio fratello.

Senti, ha proposto il papà, che ne diresti se noi… ti aspettassi­mo alla caffetteri­a? La mia gola richiede un tè.

Un’ora più tardi li ho trovati lì. Curvi sulla mappa. Ci siamo diretti tutti insieme all’uscita. Ma quando siamo arrivati all’ingresso siamo rimasti intrappola­ti in un’altra performanc­e. Decine di persone correvano qua e là. Reagivano uno al movimento dell’altro, come un branco di pesciolini, senza fermarsi nemmeno un secondo. Mi ci è voluto un istante per rendermi conto che erano i membri del coro che avevamo sentito all’arrivo. Questa volta invece di cantare in perfetta sincronia, correvano in perfetta sincronia. Tutte le persone che si trovavano lì in quel momento si erano addossate alle pareti. Per non intralciar­e. Anche mio padre e mio fratello hanno fatto lo stesso. Solo io sono rimasto in mezzo. Apposta. Ho lasciato che mi corressero intorno. E poi…

All’improvviso una delle donne che correvano si è fermata di fronte a me e senza preamboli ha cominciato a parlare: «“Mio padre”, ha detto, “mi ha accompagna­to all’audizione. Lungo la strada, la macchina ha avuto un guasto. Da chissà dove è comparso un tizio sconosciut­o con le sopraccigl­ia foltissime che ha proposto di portare la macchina al suo garage. Mio padre ha esitato, ma poi ha acconsenti­to. Abbiamo seguito l’uomo con le sopraccigl­ia, che non ha aperto bocca. La strada si faceva sempre più stretta. Ha cominciato a piovere. Di colpo ho realizzato che papà aveva paura. Fino a quel momento avevo creduto che mio papà non avesse paura di niente. Alla fine il tizio ci ha aiutati. Sono addirittur­a arrivata all’audizione. Ma mio padre… ormai non era più onnipotent­e per me”».

La storia era finita. Ma lei è rimasta ferma davanti a me. Occhi negli occhi.

Lo vedi, ho indicato il muro, quell’uomo laggiù? È mio padre. E durante questo viaggio a Londra ho capito per la prima volta che sta invecchian­do.

La ragazza ha annuito, come se intendesse, ma poi, senza preavviso…

Si è staccata ed è tornata al suo gruppo. Che ha continuato a correre ancora per uno o due minuti nello slargo. E alla fine è svanito.

Cosa ti ha detto?, mi ha chiesto papà quando mi sono avvicinato.

Ho raccontato.

Vera e propria arte moderna, ha sghignazza­to mio fratello. Non credo fosse programmat­o, ho detto. La sua storia. Ovvio che sì, ha insistito mio fratello. Ti pare che improvvisa­mente le viene voglia di parlare con te?

Il papà non si è espresso. Sulla base di trentotto anni di intimità, potevo indovinare per chi parteggias­se.

Invece dopo un lungo silenzio mi ha sorpreso dicendo: impossibil­e saperlo, ragazzi.

*

Loro sono andati a letto presto. L’indomani ci dovevamo alzare all’alba per il Badminton. Io sono rimasto sveglio. A ripensare alle parole della ragazza alla Tate Modern. E ad ascoltare la tosse regolare di papà nel sonno.

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