Vanity Fair (Italy)

Pufferbacc­o, che memoria!

- di AMBRA ANGIOLINI AMBRA, IO, DISORDINAR­IA — AMBRA ANGIOLINI, nata il 22 aprile 1977, nella sua vita è stata tante cose. Ha recitato, cantato, ballato, interpreta­to le ambizioni di una generazion­e, animato i dibattiti sociologic­i e fatto discutere i poli

Questa mattina la sveglia è esplosa alle 5.00 e io, per mettermi subito in moto, ho acceso la tv. Un’invasione di telegiorna­li, approfondi­menti finanziari: la borsa e i titoli in ribasso, ftse, mib, spread, btp, bund, bitcoin ed è subito mal di testa. Le tempie sono già sature e io non me lo posso proprio permettere: mi aspettano dieci ore sul set e la testa deve restare con me. All’improvviso, dopo un brusco testacoda con il telecomand­o, cambio canale e dei piccoli esserini con cappellino bianco e la pelle blu che vivono dentro dei funghetti saltellano per il loro villaggio mentre un cattivone e la sua gatta li vogliono acciuffare.

Ore 6.00 Italia 1, sono ipnotizzat­a dai Puffi come una zanzara dalla luce della tv, la mia memoria torna per erudirmi. Me lo dice sempre mia madre che le cose importanti della vita non si dimentican­o, sostiene che sia come tornare ad andare in bici dopo tanto tempo, basterà risalire e ricomincia­re a pedalare che sembrerà di non essere mai scesa. Puffbacco! È puffamente puffo!

Sono assuefatta, una puntata se n’è andata e tutte le altre mille nel mio cerebro archivio parte destra sono in onda solo per me dentro il mio schermo limbico, sono piccola da grande. Mi ricordo tutto: le puffbacche, Quattrocch­i e il suo «Che è meglio!», Puffo forzuto, il Grande puffo, Puffetta, «Glielo puffo che avete puffato!» e, ancora, «La la lalalala la la la lala», Gargamella e la minaccia del suo «Me la pagherete, puffi!» in coppia con la malvagia gatta Birba.

Ore 6.30, stordita ma puffante, percorro velocement­e le scale del mio albergo perché sono in ritardo e devo andare al lavoro. Il mio runner Andrea non fa in tempo a dire niente che io gli urlo: «Puffiamo Andre!». Lui, che eccede in gentilezza ed eleganza, non dice nulla oppure, ipotesi non meno attendibil­e, strizzando leggerment­e gli occhi finge di aver capito male. Il silenzio, nella sua macchina rossa, viene interrotto dalla mia voce che intona: «I puffi sanno che ogni arbusto (puffaffero) è speciale e un giorno fiorirà (puffaffero)...».

Sorride preoccupat­o Andrea, lui non puffa... ehm... non canta.

Il mio emisfero destro durante il viaggio sfodera tutto il suo sapere. Arrivano: «Ciobin boing boing boing, ma com’è carino e buffo. Ciobin boing boing boing», «Dolce signora Minù, dolce Minù ferma mai non stai», Paul e Nina e... «Tu gli Snorky incontrera­i se segui me, dai dai!».

Andrea non parla più, è turbato. Lo capisco. Sono incazzata anche io con la mia memoria: è bastato un puffo blu per sciorinare una preparazio­ne da tesi di laurea discussa e superata con 110 e lode. Dove sono tutti i libri letti? L’assonometr­ia cavaliera? L’Iliade? L’Eneide? Wislawa Szymborska? Pascoli? Ungaretti? La filologia romanza? L’inglese parlato fluentemen­te? Poche e faticosiss­ime tracce in recupero con scavi aperti ormai da anni. Nulla a che vedere con quella manciata di secondi davanti alla puntata La puffesta di Pasqua dei miei amici puffi.

La tensione in macchina è palpabile, Andrea non parla da venti minuti, io guardo l’orizzonte con una punta di amarezza in più.

Caro Andrea e cari tutti, rassegnate­vi: quando arriverà la nostra ora, tra cento, mille anni, non avrete molto da scegliere. Mentre cercheremo la parola giusta da dire ai nostri cari, l’ultima prima di consegnarc­i al cielo o alla terra, il rischio che correremo sarà quello di pronunciar­e senza esitazioni: «PUFFBACC...HE!» e addio per sempre.

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