Pufferbacco, che memoria!
Questa mattina la sveglia è esplosa alle 5.00 e io, per mettermi subito in moto, ho acceso la tv. Un’invasione di telegiornali, approfondimenti finanziari: la borsa e i titoli in ribasso, ftse, mib, spread, btp, bund, bitcoin ed è subito mal di testa. Le tempie sono già sature e io non me lo posso proprio permettere: mi aspettano dieci ore sul set e la testa deve restare con me. All’improvviso, dopo un brusco testacoda con il telecomando, cambio canale e dei piccoli esserini con cappellino bianco e la pelle blu che vivono dentro dei funghetti saltellano per il loro villaggio mentre un cattivone e la sua gatta li vogliono acciuffare.
Ore 6.00 Italia 1, sono ipnotizzata dai Puffi come una zanzara dalla luce della tv, la mia memoria torna per erudirmi. Me lo dice sempre mia madre che le cose importanti della vita non si dimenticano, sostiene che sia come tornare ad andare in bici dopo tanto tempo, basterà risalire e ricominciare a pedalare che sembrerà di non essere mai scesa. Puffbacco! È puffamente puffo!
Sono assuefatta, una puntata se n’è andata e tutte le altre mille nel mio cerebro archivio parte destra sono in onda solo per me dentro il mio schermo limbico, sono piccola da grande. Mi ricordo tutto: le puffbacche, Quattrocchi e il suo «Che è meglio!», Puffo forzuto, il Grande puffo, Puffetta, «Glielo puffo che avete puffato!» e, ancora, «La la lalalala la la la lala», Gargamella e la minaccia del suo «Me la pagherete, puffi!» in coppia con la malvagia gatta Birba.
Ore 6.30, stordita ma puffante, percorro velocemente le scale del mio albergo perché sono in ritardo e devo andare al lavoro. Il mio runner Andrea non fa in tempo a dire niente che io gli urlo: «Puffiamo Andre!». Lui, che eccede in gentilezza ed eleganza, non dice nulla oppure, ipotesi non meno attendibile, strizzando leggermente gli occhi finge di aver capito male. Il silenzio, nella sua macchina rossa, viene interrotto dalla mia voce che intona: «I puffi sanno che ogni arbusto (puffaffero) è speciale e un giorno fiorirà (puffaffero)...».
Sorride preoccupato Andrea, lui non puffa... ehm... non canta.
Il mio emisfero destro durante il viaggio sfodera tutto il suo sapere. Arrivano: «Ciobin boing boing boing, ma com’è carino e buffo. Ciobin boing boing boing», «Dolce signora Minù, dolce Minù ferma mai non stai», Paul e Nina e... «Tu gli Snorky incontrerai se segui me, dai dai!».
Andrea non parla più, è turbato. Lo capisco. Sono incazzata anche io con la mia memoria: è bastato un puffo blu per sciorinare una preparazione da tesi di laurea discussa e superata con 110 e lode. Dove sono tutti i libri letti? L’assonometria cavaliera? L’Iliade? L’Eneide? Wislawa Szymborska? Pascoli? Ungaretti? La filologia romanza? L’inglese parlato fluentemente? Poche e faticosissime tracce in recupero con scavi aperti ormai da anni. Nulla a che vedere con quella manciata di secondi davanti alla puntata La puffesta di Pasqua dei miei amici puffi.
La tensione in macchina è palpabile, Andrea non parla da venti minuti, io guardo l’orizzonte con una punta di amarezza in più.
Caro Andrea e cari tutti, rassegnatevi: quando arriverà la nostra ora, tra cento, mille anni, non avrete molto da scegliere. Mentre cercheremo la parola giusta da dire ai nostri cari, l’ultima prima di consegnarci al cielo o alla terra, il rischio che correremo sarà quello di pronunciare senza esitazioni: «PUFFBACC...HE!» e addio per sempre.