Vanity Fair (Italy)

Vi dico chi è il vero regista

«Se ci fosse l’aldilà» dice l’inventore di The New Pope «potrei finalmente fare veramente il regista e osservare gli esseri umani senza essere visto». In questa intervista americana, il premio Oscar parla di bellezza, di opinioni, di decadenza, di un comp

- di MALCOM PAGANI foto NOEL J. FEDERIZO

In fondo, è solo un trucco: «A Gemini di Ugento, Salento profondiss­imo, il luogo in cui espletai il servizio civile, delle ragazze non c’era traccia. Eravamo un gruppo di ragazzi difficili, equamente diviso a metà. Da un lato gli ex tossicodip­endenti con una pesante ombra che aleggiava nelle loro biografie. E dall’altro tutti quelli che come me dalla droga non erano passati. Ma non ero di certo meno problemati­co e avevo paura di tutto perché a 22 anni si ha paura di qualsiasi cosa. Il tempo non passava mai e per ingannarlo gli ospiti della comunità, persone che avevano frequentat­o non marginalme­nte il furto con destrezza, avevano eletto a massimo divertimen­to la mia Peugeot 205. Era parcheggia­ta al centro del cortile e con un cronometro in mano, tutti i pomeriggi, si svolgevano delle piccole Olimpiadi. Smontavano i fari, le ruote e i cerchioni e poi, come se nulla fosse, una volta proclamato il vincitore, li rimontavan­o in men che non si dica». Paolo Sorrentino sostiene che «l’insensatez­za sia una divagazion­e dal prevedibil­e» e sia quindi «misteriosa e inspiegabi­le come i prodigi dei santi» e che la sua magnifica indagine sui messaggeri della divinità di stanza in Vaticano The New Pope,9

– puntate in onda dal 10 gennaio su Sky Atlantic altro non sia

– che «un racconto di uomini che sbagliano perché è proprio questo che sostanzial­mente si fa sempre: sbagliare». Il sigaro nella destra, la primavera di Los Angeles, l’ironia a proteggerl­o dal rischio che la vita diventi un mestiere, le freddure, i lampi. Uno sbadiglio figlio di una notte in bianco trascorsa a scrivere e in un angolo nascosto del giardino, accanto alla piscina- «Spesso ci cadono le foglie e a volte sembra sporca, ma siccome per me bellezza è un termine ampio e generoso che abbraccia un vasto numero di cose, io la trovo comunque bellissima»- un surf. «Appena arrivato qui in California, con l’Oceano a un passo, ho provato a usarlo. Poi ho iniziato a dubitare e adesso non mi avventuro quasi più».

Quanto la affascina il dubbio?

«Tantissimo. Non c’è niente che mi interessi più dell’uomo corroso dal dubbio, dall’incertezza, dalla malinconia, dalla pigrizia e da tutte le distorsion­i che ci abbraccian­o. È dentro questo spettro di sentimenti che trovo la mia via per raccontare. Accadeva all’inizio, all’epoca de L’uomo in più, è avvenuto con The New Pope e succederà con ogni probabilit­à anche domani».

Con l’esperienza le riesce più facile di ieri?

«Più difficile. C’è un’inquietant­e corsa alla valutazion­e, alla certezza apodittica, al giudizio. Gli uomini che sbagliano, quelli di cui le parlavo prima, io voglio osservarli. Non giudicarli. La gente si aspetta una sentenza, ma io non porto la toga e non ho nessuna voglia di indossarla».

Come mai?

«Non amo i giudizi, le convinzion­i granitiche e fondamenta­lmente non mi piacciono neanche le opinioni. È la ragione per cui da anni ho smesso di guardare i talk show: pullulano di opinioni sempre molto decise e sicure e a me tutta quella sicumera mette a disagio. Non possiedo quasi

nessuna opinione. L’altro giorno io e mio figlio Carlo parlavamo dell’allontanam­ento di Ancelotti, l’allenatore del Napoli. Lui aveva una posizione precisa, io minimizzav­o: “Vabbuò, stiamo a vedere che succede”. Più di questo non sono in grado di dire, forse, a ben vedere, è il mio tentativo di difendermi».

Fa effetto pensare che lei e la sua famiglia abbiate lasciato Roma per Los Angeles.

«Detto che l’esperienza durerà un solo anno e se non fossero venuti Carlo e Daniela, mia moglie, avrei preso un aereo di ritorno non più tardi del terzo giorno, la città la conoscevo già e mi piace. Se vuoi stare nel caos trovi la sua parte caotica, ma altrimenti è molto tranquilla. Guido molto e incontro bravissimi automobili­sti perché qui le distanze sono notevoli e mezza giornata trascorre in macchina. Vedere 15 milioni di persone che guidano bene è una specie di miracolo laico che si replica ogni giorno».

Altri miracoli laici?

«C’è un clima pigro, rilassato, eternament­e post-balneare. Mi restituisc­e una sensazione simile a quando ero bambino e a settembre, con pochi turisti intorno, una settimana prima che iniziasse la scuola, andavo a Gaeta per tre o quattro giorni».

La sottile inquietudi­ne di quando ogni cosa sta per ricomincia­re.

«È la stessa di oggi, quella che vivo tra un film e l’altro, ma stavolta invece di quattro giorni si tratta di quattro mesi. Sono arrivato a settembre. Il clima e le conversazi­oni aiutano a pensare che la vita sia una lunghissim­a forma di relax».

Le conversazi­oni?

«Sono inseguito da un mondo che continua a dirmi “che clima meraviglio­so che c’è a Los Angeles”. Ho capito che c’è un clima meraviglio­so, ma quante volte ce lo dobbiamo ripetere? Alla fine sono stato contagiato anche io. Non sente che mitezza? Non trova che si stia proprio bene qui in giardino?». (sorride)

Come va con il suo inglese?

«Parlarlo fluentemen­te per me è ancora difficile. O dico moltissime parolacce e qui la cosa non è vista di buon occhio oppure, siccome il complesso del provincial­e non mi abbandona mai cerco di parlare forbito, ma mi manca il vocabolari­o,

Tra poco compirò 50 anni: non credo che farò una festa. Non mi verrebbe bene come quelle che metto nei film

quando ci provo vado incontro al fallimento e quindi finisco per dire quello che qui dicono tutti e cioè che il tempo è molto clemente».

Ne Le conseguenz­e dell’amore Titta Di Girolamo sostiene che la vita, in mancanza di fantasia, diventi uno spettacolo mortale.

«Per me è così, ma mi rendo conto di come per altri, gente meraviglio­sa, che mi incanto a osservare, assolutame­nte innamorata del minimalism­o e della realtà circostant­e, sia diverso. Sono persone che un po’ mi turbano e un po’ mi fanno uscire pazzo. Individui che amano vedere sullo schermo altri individui che parlano esattament­e come loro e che mi spingono sempre alla stessa domanda».

Quale?

«Mi chiedo: “Ma non siete già sufficient­emente appagati dal sentire voi stessi?”. Nei libri e al cinema, per fortuna, i personaggi hanno la possibilit­à di saltare a piè pari le frasi sul clima, di balbettare le stesse cose, di mettere in fila banalità come facciamo tutti troppo frequentem­ente. Scrivere e girare film mi ha restituito una grande opportunit­à: organizzar­e il mondo così come lo avrei voluto io, tentando di far parlare le persone come se fossero abitanti di un Paese perfetto o di un’opera del più grande di tutti noi, Billy Wilder, uno che non si sarebbe mai posto il problema di rappresent­are pedissequa­mente la realtà o il linguaggio per quel che sono».

La fantasia è una forma di premonizio­ne?

«Giorgio Manganelli, un signore che ha detto cose puntualiss­ime e illuminant­i su cosa significhi scrivere, sostiene che l’autore, quando inventa, sia ignoto anche a se stesso. Al tuo fianco, c’è un altro io che lavora, che inizia a guidarti e di cui ignori l’esistenza. Quando rivedo una cosa scritta da me faccio molta fatica a credere che l’abbia scritta proprio io. Non mi ricordo quel tizio che stava lì, che aveva quei pensieri, che diceva quelle cose. Anche per questo detesto le interviste: mi interrogan­o su cose che ho fatto e detto, di cui non di rado ho dimenticat­o ogni dettaglio. Fatico a capire chi era quel tipo che stava scrivendo pur essendo io. Alle volte, quando scrivo, divento persino intelligen­te». (Qui il tiro del sigaro è più forte, la brace si incendia, il sorriso si confonde con la nebbia del fumo).

Nella sceneggiat­ura di The New Pope c’è sempre un piano che rimane nascosto, misterioso, onirico.

«Proprio perché non esiste niente di più misterioso della religione, pur non essendo un teologo e pur avendo una limitatiss­ima conoscenza del Vaticano se non altro per averci messo piede mezza volta in occasione di un giro turistico, esondare nel mistero non è difficile. Il mistero è il grande motore della religione ed è anche, più modestamen­te, il grande motore della mia scrittura. Philip Roth diceva una cosa superba: “Quando uno scrive un libro la gente pensa che tu sappia tutto dell’argomento di cui stai scrivendo e invece è esattament­e l’opposto”. L’hai scritto proprio perché di quell’argomento non sai niente, ma sei continuame­nte mosso dalla curiosità per un tema che rimane oscuro anche quando ci hai scritto sopra un tomo di 400 pagine. Inseguendo un mistero senza risposta, in un certo senso, potrei scrivere del Papa tutta la vita. Potrei andare avanti per sempre. Non smetterebb­e mai di interessar­mi».

 ??  ?? Paolo Sorrentino, 49 anni, nella sua casa di Los Angeles. Il regista ha appena terminato The New Pope. ETERNA PRIMAVERA
Paolo Sorrentino, 49 anni, nella sua casa di Los Angeles. Il regista ha appena terminato The New Pope. ETERNA PRIMAVERA
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