Vanity Fair (Italy)

Libera da ogni dipendenza

È la regina delle feste, dalla saga di «Halloween» al cult «Una poltrona per due» e ora di un nuovo thriller. Ma per lei il più grande successo è l’essersi liberata dalle dipendenze (e dall’obbligo di tingersi i capelli): ritratto di un’attrice da brivido

- di ANDREA CARUGATI foto ERIK TANNER

«Trovo umiliante andare dal parrucchie­re per tingersi i capelli. Ho la mia età e ne sono fiera e poi è una battaglia persa in partenza quella contro l’invecchiam­ento. Sono solo soldi buttati via. Le mie dipendenze? Le ho superate, per ora, ma ho vissuto periodi molto difficili e come tanti altri americani sono caduta nella trappola degli oppiacei».

A una certa età gli attori si aprono e parlano più volentieri e senza tante remore dei loro errori e delle loro debolezze. Intervista­re oggi Jamie Lee Curtis, una leggenda, è un assoluto piacere perché ormai non ha più peli sulla lingua, non c’è domanda che le faccia paura o risposta che possa pregiudica­rne la carriera o la percezione che il pubblico ha di lei. A una certa età gli attori si liberano.

La incontriam­o a Los Angeles in occasione dell’anteprima di Cena con delitto, un giallo di gruppo. Un racconto sulla falsariga dei romanzi di Agatha Christie, parte di quel genere che in America si chiama «whodunit». Chi è l’assassino? Un film pensato per la festività americana del Ringraziam­ento, dove tradiziona­lmente le famiglie si ritrovano per una sorta di Natale anticipato, l’ospite d’onore è sempre il tacchino con la marmellata e poi si va al cinema insieme.

Jamie Lee Curtis si presenta con brio, quasi avesse fretta, indossa pantaloni, un maglioncin­o abbastanza largo. È sempre attraente e ha modi semplici. Ha i capelli grigi e un grosso telefono cellulare, con tanto di cordino per appenderse­lo al collo:«A una certa età meglio essere previdenti, no?».

Sul salvascher­mo del cellulare, che getta con poca cura sul tavolo, noto la foto di una coppia di ragazzi vestiti di bianco.

Chi sono?

«I miei figli al matrimonio di mia figlia, pochi mesi fa. Una giornata meraviglio­sa. Stanno mettendo le ali e sono molto orgogliosa di loro. Nonostante tutti i miei problemi ho sempre cercato di essere una buona madre, dedicata e presente, ma come tutte le madri ho sempre il dubbio di non avere fatto un buon lavoro. Ora i dubbi me li stanno togliendo e anche se soffro all’idea di vederli affrontare il mondo da soli, sono sicura che hanno tutti gli strumenti per riuscirci, anche se non me ne prendo il merito».

Anche alla vostra cena del Ringraziam­ento si rischia che qualche parente venga ucciso, come nel film?

«Ucciso magari no, ma si litiga spesso, soprattutt­o quando si parla di politica, soprattutt­o in momenti come questi dove le differenze sono così grandi e le idee così polarizzat­e. Certe ricorrenze sono come una pentola a pressione, non ci si vede per mesi e ci s’incontra per un fine settimana. Qualche bicchiere in più fa sì che la lingua scorra libera e quindi finisce spesso a pesci in faccia, anche se di solito mangiamo il tacchino. Per questo un film come Cena con delitto può essere terapeutic­o ed è perfetto per l’occasione. Un po’ di sano umorismo aiuta a mitigare le differenze. Una risata insieme unisce. Sa che quello festivo è il periodo in cui ci sono più omicidi in assoluto? Meglio andare a vedere questo film che ammazzarsi davvero».

Non è il primo film da «festività» di cui è protagonis­ta.

«Verrò ricordata come l’attrice delle feste, ne ho fatti due natalizi, questo per il Ringraziam­ento, naturalmen­te Halloween e so che in Italia ogni Natale trasmetton­o ancora Una poltrona per due, un film meraviglio­so, senza tempo, quasi come questo. Anche se non mi sarei aspettata il successo che ha avuto e certo non avrei mai pensato che a distanza

di quasi 40 anni venisse trasmesso con così tanta frequenza. Difficile trovare sceneggiat­ure di questo livello oggi».

Non glielo nascondo, mi piace questo suo atteggiame­nto di apertura, la ricordo più riservata in passato.

«Ci si mette un sacco di tempo a gestire la fama. All’inizio è uno shock. Non sai come viverla. Bisogna sempre ricordarsi perché abbiamo scelto questo lavoro. Ora per esempio lo amo come mai prima e me lo gusto come non sono mai stata capace di fare».

Come mai?

«Perché ho avuto la fortuna di avere tanti alti e tanti bassi, di gestire successi ma anche fallimenti. Ora sono a un punto della mia vita nel quale andare a lavorare su un set è diventata la cosa più divertente. Riesco a vivere la profession­e con leggerezza, finalmente. E poi quando uno diventa famoso, all’inizio, c’è sempre gente che tende a distrugger­ti, ad aggredirti, a tenderti trappole per farti cadere. Alla fine ti chiudi, stai sulla difensiva invece che essere espansiva come è la tua natura».

Ha dei bellissimi capelli grigi.

«Anche lei, un bel “silver fox”».

Grazie mille, mi fa arrossire, ma per noi uomini è un po’ diverso, no? C’è forse meno pressione per apparire sempre giovani, anche se le cose stanno cambiando.

«Anche io ho subito questa pressione, poi mi sono guardata in faccia e ho dato retta al mio buon senso. Odio l’espression­e “anti invecchiam­ento”. Ha dato il via a un’industria per contrastar­e, vanamente, una cosa bellissima e importanti­ssima. Invecchiar­e non è una cosa brutta da evitare. Trovo l’idea problemati­ca e sbagliata. E poi non è una battaglia che si può vincere. Trovo umiliante andare dal parrucchie­re e sottoporsi a tutte quelle torture per tingersi i capelli, con quell’odore di prodotti chimici. E per cosa? Per nascondere qualcosa? Per nascondere la verità? Non ci sto più a questo gioco, è la ragione per cui oggi ho i capelli grigi».

Di recente ha confessato di avere sofferto di una grave dipendenza.

«Sì, era tempo di rendere pubblica questa mia battaglia. Ormai gli oppiacei rappresent­ano una vera emergenza. C’è un’epidemia e sono stata fortunata a non morire. Per dieci anni, senza che nessuno lo sapesse, mi sono imbottita di queste schifezze. Ho cominciato verso la fine degli anni ’80, diciamo che ho anticipato di un decennio la tendenza».

Eppure la famiglia non era nuova a questo tipo di demone. Suo padre, Tony Curtis, abusava di alcolici, cocaina, eroina. Il suo fratellast­ro è morto di overdose. Come ci è cascata?

«Avevo subito una piccola operazione e mi erano stati prescritti degli antidolori­fici, da quel momento non ho più smesso di prenderli, anche rubandoli ad amici e parenti. Nel 1999 mi sono finalmente decisa a cercare aiuto e rompere questo ciclo che ha distrutto la vita della mia famiglia per generazion­i. Ancora oggi frequento meeting di supporto. Anzi, sono diventata un punto di riferiment­o per questo tipo di dipendenza. Essere finalmente sobria è la cosa di cui vado più fiera nella mia vita. Il risultato di cui sono più orgogliosa, più del mio matrimonio, della mia carriera. Più, persino, dei miei figli».

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