Vanity Fair (Italy)

La Buonanotte di Luca Dini

- Di LUCA DINI *

Ho sempre avuto un rapporto altalenant­e con il Natale. Quando ero piccola io e mio fratello eravamo gli addetti al presepe che la nonna voleva a tutti i costi. Presepe con cielo stellato tenuto su con le puntine da disegno, laghetto fatto con un piccolo specchio circondato da muschio, cigni e scimmie e cavalli e pecorelle a profusione. Molte statue di personaggi e tutte insieme alla rinfusa su una stradina di sassolini bianchi. La stella cometa da mettere sulla capanna era talmente ballerina che mio padre ogni anno inventava un modo preciso affinché non cadesse ogni secondo. Gesù bambino sembrava avere 18 anni, grande quasi quanto la capanna. Poi c’era l’albero, che veniva infilato in un cestino di vimini rosso. Le palline tutte di vetro, e quintali di fili d’argento.

I miei genitori però, essendo insegnanti, erano in vacanza, per cui appena potevano partivano per stare nella casa in montagna vicino a Ponte di Legno. Quindi noi restavamo con i nonni. Poi hanno iniziato a portarci con loro e le feste diventavan­o davvero magiche. La fiaccolata notturna dei maestri di sci, i pini quelli veri addobbati nei paesini, i presepi viventi, la neve. Poi da ragazza basta, due settimane di ferie e via. Un biglietto aereo e il Natale in un luogo dove manco sanno cos’è.

Ho recuperato tutto, la mia infanzia, la magia, il rito, con la nascita dei miei figli. Preparare il latte e i biscotti per Babbo Natale e le carote per Rudolph. Fare le impronte sul borotalco dal balcone all’albero con gli scarponi grossi del loro papà. Aprire i pacchi e trovare esattament­e i regali che desiderava­no. Il loro stupore è stato per anni il regalo più bello. BARBARA BRIGATI

I Natali della mia infanzia sono stati strani. Sono stata figlia unica per undici anni, e soffrivo tantissimo la solitudine. Così a Natale scrivevo pagine e pagine per mia madre, che era a stretto contatto con Gesù Bambino, con le mie richieste (di solito una sola: il Dolce Forno) e poi consideraz­ioni mie sull’anno appena passato e sull’opportunit­à di invitare al pranzo di Natale dei senzatetto e dei bambini orfani. Mia madre non ha mai invitato nessuno. E nemmeno quel cavolo di Dolce Forno è mai arrivato. Ricevevo regali bellissimi che però non erano ciò che desideravo. Io, il giorno di Natale, ero sempre incazzata e incredula. Come poteva sbagliare Gesù Bambino, nientemeno che il figlio di Dio?

Molti anni più in là sono nati i miei figli, e il mio Natale ha avuto una svolta. Il regalo più bello che ho ricevuto è stato quel guizzo di felicità nei loro occhi la mattina di Natale. Non avrei mai creduto fosse possibile. Nell’eterna lotta fra il Dolce Forno e il resto del mondo, hanno vinto loro. BARBARA BATTAGLIA

Avevo diciott’anni ed ero in guerra con il mondo. Era uscito da poco La solitudine dei numeri primi di Paolo Giordano e mio padre, sapendo quanto lo volevo, me l’aveva comprato e incartato per Natale. Mia madre, stanca dei continui litigi, quell’anno decise di sospendere lo scambio dei regali, almeno fin quando non mi fossi tranquilli­zzata un po’. Il silenzio di quel venticinqu­e dicembre è stato interrotto solo dal rumore della porta della mia camera che si apriva. Era mio padre, il suo sorriso emozionato, e un libro dentro una carta regalo. È sempre stato per me il Natale più bello e quest’anno, che mio padre manca, lo è ancora di più. CLARISSA BOTRUGNO

Da bambino adoravo il Natale. Vivevo in attesa della neve, delle uscite a caccia di muschio per il presepe, dei fili di palline per l’albero che regolarmen­te mi davano la scossa. Poi è arrivata l’adolescenz­a, quella dei miei fratelli e quindi la mia. Ha portato i conflitti, le tensioni in famiglia, e all’improvviso il Natale luccicava un po’ di meno.

Ho ricomincia­to a fare l’albero quando mia moglie è tornata a casa dall’ospedale con nostro figlio. Un alberino piccolo, con minuscoli ornamenti di legno, per festeggiar­e il nostro primo Natale in tre. Oggi i figli sono due e hanno la barba, ma in casa nostra il rito non si è mai interrotto, e si arricchisc­e ogni anno di nuovi addobbi. Il più grande, che vive lontano e torna a giorni, me l’ha già scritto su WhatsApp: «Mi raccomando l’albero».

Le storie delle due Barbare e di Clarissa mostrano quanto strettamen­te legati siano il calore della festa e quello che si respira in famiglia. E allora, anche se ne avete poca voglia, fatelo quell’albero o quel presepe. Fatelo per i vostri cari, fatelo per voi.

Buon Natale. *Direttore Editoriale Condé Nast

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