30 anni di cinema italiano
In Balliamo sul mondo, Ligabue canta «Facciamo Fandango», casa di produzione cinematografica che oggi festeggia il suo compleanno. Con tanti amici. Ecco chi c’era
«Venti sono pochi, quaranta sono tanti, adesso è il momento giusto». Questo – ricorderete – era L’ultimo bacio di Gabriele Muccino e, nella lunga notte in cui Fandango ha festeggiato i suoi 30 anni, è diventato come una sorta di «mantra», nel significato che ne dà la Treccani: «Pensiero che ha valore strumentale». Così, il party della casa di produzione e distribuzione al Monk di Roma (Vanity Fair era main partner), tra una partita di calcio balilla e memorie di set proiettati in loop sugli schermi intorno (da Caos calmo con Nanni Moretti alla Giusta distanza di Carlo Mazzacurati, allo Spazio bianco con Margherita Buy), diventa presto una madeleine di Proust dove nostalgia e orgoglio corrono negli occhi di chi c’è. In quelli fieri del padrone dei giochi, Domenico Procacci, che dice: «I 30 anni di Fandango sono una marea
di regali che mi hanno fatto e faccio». In quelli dai toni rochi di Luciano Ligabue mentre si dà alla sua Ho perso le parole; in quelli, lucidi nel buio, di Kasia Smutniak seduta sui cassoni del sottopalco mentre si commuove per «Meraviglioso» di Giuliano Sangiorgi; in quelli, uguali al padre, di Sophie Taricone, mentre si preoccupa della lotteria per l’associazione a lui dedicata, la Pietro Taricone
Onlus. E tutti diventiamo una famiglia, la grande famiglia del cinema, che si vuole bene e che prende la vita come gira, e gli insegnamenti piccoli e giganti dei film, sparsi qui e lì come Mine vaganti: «Cambia te, invece di aspettare i cambiamenti»; «Non bisogna aver paura di lasciare perché tutto quello che conta non ci lascia mai»; «Progetti per il futuro: non sottovalutare le conseguenze dell’amore».