Vanity Fair (Italy)

In soccorso arrivano gli indigeni

Da quando il Brasile ha smesso di proteggere l’Amazzonia, gli indigeni che rischiano l’estinzione lottano (e muoiono) per salvare la loro terra da incendi e deforestaz­ione

- Di CECILIA SALA

A sciabolate. In questo modo crudele è stato ucciso Emyra Waiãpi nel suo villaggio, Yvytotõ, che cercava di difendere dalla furia dei garimpeiro­s: criminali che estraggono l’oro senza avere la licenza. Aveva 68 anni, era il capo della comunità nativa che vive nella regione amazzonica dellA’ mapá, all’estremo Nord del Brasile. Le terre indigene – quelle di cui il Brasile assegna in via esclusiva l’occupazion­e e lo sfruttamen­to agli Indios – continuiam­o a immaginarl­e come paradisi terrestri, ma sempre più spesso assomiglia­no a una diapositiv­a di ciò che resta sul terreno alla fine di una battaglia. Luoghi dove si è fermata la storia, non è intervenut­o il progresso e, allo stesso tempo, dove il potere dello Stato sembra essere sospeso. Lì, cinquanta banditi armati possono irrompere in un villaggio uccidendo il leader della comunità e mettendo in fuga i suoi abitanti, per poi cominciare a disboscare e saccheggia­re.

Secondo lA’ genzia mineraria brasiliana, ogni anno nel Paese si estraggono illegalmen­te venti tonnellate di oro, un volume che sul mercato vale non meno di un miliardo di dollari. Un’opportunit­à di guadagno gigantesca per chi distrugge le oasi mantenute fino a oggi incontamin­ate dai nativi. Ma l’oro è solo la più preziosa tra le innumerevo­li risorse dell’Amazzonia per le quali i mercenari hanno dichiarato guerra agli Indios. Da quando lo Stato ha rinunciato a tutelare la foresta, sono scesi in campo gli indigeni. Nei vasti territori si è creata una vera e propria guerra non ufficiale tra chi considera lA’ mazzonia la propria casa, e chi sogna una prateria dove allevare bovini per il commercio di carne e palme per la produzione di olio e soia.

LA BATTAGLIA DELLE TRIBÙ

Il primo novembre Paulo Paulino Guajajara, 26 anni, è stato ammazzato con un colpo di fucile nella riserva di Araribóia, dove vivono oltre cinquemila indigeni della tribù Guajajara e Awá, già da anni a rischio estinzione. Anche il suo amico Laércio è rimasto ferito da un proiettile, mentre un disboscato­re – che sembrerebb­e essere stato colpito da una lancia – risulta tutt’ora disperso. Paulo era uno dei più attivi tra i Guardiani della foresta, una forma primitiva di esercito autorganiz­zato costituito da elementi delle varie tribù. Agiscono ai confini della riserva, nella regione del Maranhão, dove più del 70 per cento degli alberi sono già stati abbattuti. I Guardiani hanno come unico obiettivo l’autodifesa dagli aggressori della loro casa comune, la più grande foresta pluviale del mondo. In questo modo si stanno sostituend­o all’autorità, che sembra incapace – o, peggio, poco motivata – a combattere la devastazio­ne dellA’ mazzonia. «Sono migliaia i punti interessat­i da disboscame­nti, allevament­i clandestin­i ed estrazioni non autorizzat­i, è assolutame­nte impraticab­ile l’ipotesi di chiuderli tutti», sostiene da tempo il commissari­o Gecivaldo Ferreira. Ma per i nativi, e per Survival Internatio­nal – l’organizzaz­ione mondiale per la tutela degli indigeni – è inaccettab­ile e ingiustifi­cata l’impunità silenziosa­mente accordata a chi qui porta distruzion­e. Se è vero che i territori, proprio per via della natura incontamin­ata, sono di difficile controllo per le autorità, le ruspe seguite da decine di camion, carichi di minerali o di legna rubata, a un certo punto imboccano strade asfaltate in direzione dei porti più vicini, ed è proprio lì che dovrebbero avvenire i controlli.

Il primo novembre si sentono dei rumori in lontananza, poi i palmari dei Guardiani, attaccati a generatori che si alimentano con l’energia solare, iniziano a vibrare. È un segnale d’allarme. I predatori di alberi stanno arrivando, qualcuno dell’organizzaz­ione deve aver sentito da vicino il rumore dei camion. Paulo e Laércio mettono assieme un armamentar­io di fortuna, si dirigono verso il punto indicato, ma rimangono vittime di un’imboscata. «Era un delitto annunciato», ha commentato Sarah Shenker, ricercatri­ce di Survival Internatio­nal, che aggiunge: «Queste persone ormai vivono in una piccola isola verde immersa in un mare completame­nte desertific­ato». Il sistema è ben congegnato: chi cerca i legnami pregiati arriva per primo e porta a casa tutto quello che può, poi incendia ciò che resta e, nelle zone dove la vegetazion­e è stata distrutta, si insediano i pascoli fuori legge. Per la tribù Guajajara, e per quella Awá, la morte di

Paulo ha fatto tornare alla memoria una tragica vicenda di alcuni anni fa, quando un bambino indigeno era stato trovato carbonizza­to tra i resti di un accampamen­to che i predatori di terreni avevano dato alle fiamme.

UNA GUERRA NON UFFICIALE

A giugno, la deforestaz­ione in Brasile era cresciuta del 90 per cento rispetto allo stesso mese del 2018.

I dati li ha raccolti Prodes, un progetto istituito vent’anni fa dal National Institute of Space Research che, mappando ogni nuovo chilometro quadrato disboscato attraverso le immagini satellitar­i, ci dice mese per mese quanta Amazzonia stiamo perdendo. La foresta pluviale si estende per quasi sei milioni di chilometri quadrati, 18 volte l’Italia, ma ogni giorno perde pezzi. E i suoi 390 miliardi di alberi sono di nuovo in pericolo. Dal 2004 a oggi erano stati fatti passi da gigante, che ora rischiano di dissolvers­i in poco tempo. All’epoca, il governo brasiliano aveva lanciato un piano di prevenzion­e e controllo della deforestaz­ione intorno al Rio delle Amazzoni, quell’anno erano stati abbattuti 27.423 chilometri quadrati di alberi in 12 mesi. Per capirci, più o meno l’estensione del Piemonte. Un record storico che si era subito trasformat­o in emergenza nazionale, nonostante il cambiament­o climatico non fosse ancora in cima alle preoccupaz­ioni dell’opinione pubblica mondiale e la leader dei Fridays for Future Greta Thunberg non avesse ancora compiuto un anno. Il governo, allora presieduto da Luiz Inácio Lula da Silva, aveva varato una riforma per regolare le operazioni di disboscame­nto nel territorio amazzonico entro i confini brasiliani. Grazie a questo piano, nel 2017 il ritmo dei disboscame­nti era calato del 73 per cento. Ma è proprio in quel periodo che i progressi si fermano. Tra il 2018 e il 2019, le pressioni delle aziende agricole e l’atteggiame­nto del presidente Jair Bolsonaro hanno vanificato i progressi compiuti negli ultimi quindici anni.

IMMAGINI CHE HANNO SCONVOLTO IL MONDO

Lo scorso agosto, un numero record di incendi in Amazzonia aveva generato il panico anche dal nostro lato dell’Oceano. A una sincera preoccupaz­ione, si erano mescolate gaffes, battibecch­i tra leader politici di tutto il mondo, discussion­i tra presidenti e star, e alcune vere e proprie fake news. Le foto degli incendi postate sui social network da Cristiano Ronaldo, Emmanuel Macron e Leonardo DiCaprio, erano false. E non è vero che «la foresta amazzonica produce da sola il 20 per cento dell’ossigeno presente nell’atmosfera», come ha sostenuto il presidente francese al G7 di Biarritz, smentito anche da Daniel Nepstad, autore dell’ultimo report dell’Ipcc (il panel internazio­nale sul cambiament­o climatico). Quando Gisele Bündchen si è commossa, sorvolando in elicottero lA’ mazzonia ripresa dalle telecamere di Greenpeace, il presidente Bolsonaro si è chiesto se la top model avesse mai preso un aereo da Berlino a Parigi, dove la deforestaz­ione è un dato di fatto da secoli. «Un tedesco emette quattro volte l’anidride carbonica di un brasiliano», aveva aggiunto. Il sovranismo dell’ossigeno ha generato un cortocircu­ito ma, nonostante le critiche sbadate di alcuni, resta un fatto. Il numero e l’intensità degli incendi nellA’ mazzonia brasiliana è aumentato nel primo anno di governo Bolsonaro. Ad agosto 2019 c’erano già stati quasi 75mila fuochi, è stato l’anno peggiore dal 2010. Ed è anche a causa di quegli incendi che si arriva al dato più allarmante, per gli indigeni e per i brasiliani prima di tutto: nell’ultimo anno, il tasso di disboscame­nto è salito del 90 per cento.

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Dall’alto a sinistra in senso orario: la leader indigena Alessandra Munduruku all’Università di Brasilia; un incendio nella foresta pluviale vicino a Porto Velho (Stato di Rondonia); i vigili del fuoco dell’Ibama, Istituto brasiliano per l’ambiente e le risorse naturali rinnovabil­i, durante un incendio a Tenharim Marmelos (Amazonas); veduta aerea.
IL «POLMONE DEL MONDO» A RISCHIO Dall’alto a sinistra in senso orario: la leader indigena Alessandra Munduruku all’Università di Brasilia; un incendio nella foresta pluviale vicino a Porto Velho (Stato di Rondonia); i vigili del fuoco dell’Ibama, Istituto brasiliano per l’ambiente e le risorse naturali rinnovabil­i, durante un incendio a Tenharim Marmelos (Amazonas); veduta aerea.
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Da sinistra, Jair Bolsonaro, presidente del Brasile: il numero degli incendi nell’Amazzonia brasiliana è aumentato durante il suo primo anno di governo; un incendio nella regione Candeias do Jamari di Porto Velho, Stato di Rondonia; la deforestaz­ione dell’Amazzonia a Boca do Acre; Jose, 2 anni, gioca durante un incendio vicino a Porto Velho.
IL GOVERNO NON INTERVIENE Da sinistra, Jair Bolsonaro, presidente del Brasile: il numero degli incendi nell’Amazzonia brasiliana è aumentato durante il suo primo anno di governo; un incendio nella regione Candeias do Jamari di Porto Velho, Stato di Rondonia; la deforestaz­ione dell’Amazzonia a Boca do Acre; Jose, 2 anni, gioca durante un incendio vicino a Porto Velho.

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