Vanity Fair (Italy)

Le Piccole donne, secondo me

Si è sempre sentita come l’anticonfor­mista delle sorelle March. La regista Greta Gerwig rilegge Piccole donne e ci regala una versione ipermodern­a del più classico dei romanzi

- di ENRICA BROCARDO foto NICOLAS GUERIN

Greta Gerwig ha gli occhi stanchi del genitore insonne e le mani di una bambina. Piccole, la pelle liscissima, lo smalto con i brillantin­i. Indossa un vestito nero con piccoli motivi floreali lungo ai piedi e allacciato al collo. Una versione leggera dei tuniconi nei quali si è infagottat­a sul set di Piccole donne per nascondere la gravidanza. «È vero, non lo sapeva nessuno. Ma non è stata una vera e propria decisione. Quando abbiamo iniziato le riprese ero ancora in quella fase in cui, per cautela, non ne parli fuori dalla famiglia. E, poi, mi sono detta: “Andiamo avanti così fino alla fine”». Il bambino, Harold, è nato a marzo, giusto poche ore dopo la fine del montaggio del film. «Un tempismo perfetto. Da grande, forse, farà anche lui cinema».

Comunque quasi certamente andrà agli Oscar 2020, e così la Gerwig ha già lasciato un piccolo segno nella storia: per la prima volta una coppia nella vita, lei e il compagno Noah Baumbach, potrebbe trovarsi in competizio­ne. Quanto diretta si saprà il 13 gennaio, quando verranno annunciate le nomination e si scoprirà se entrambi sono candidati nella categoria miglior film o miglior regia. O tutte e due. Per Storia di un matrimonio lui, e per Piccole donne lei. Il film, che in Italia esce il 9 gennaio, è la quinta versione cinematogr­afica del romanzo di Louisa May Alcott. A interpreta­re Meg, la più grande, c’è Emma Watson, mentre Saoirse Ronan è Jo, l’alter ego dell’autrice. La parte di Amy è stata affidata a Florence Pugh e quella di Beth a Eliza Scanlen. La madre, Marmee, ha il volto di Laura Dern e, infine, c’è Timothée Chalamet nel ruolo di Laurie, il giovane e benestante vicino di casa che è da sempre innamorato di Jo ma che finirà per sposare Amy. Con il romanzo di Louisa May Alcott, la Gerwig ci è cresciuta. E, dopo questo film, è ancor di più il libro della sua vita.

Da bambina che cosa l’affascinav­a di questa storia?

«Era come se le sorelle March facessero parte della mia famiglia, come se i loro ricordi fossero anche i miei. Ma quando mi è capitato di rileggerlo da adulta sono rimasta folgorata. Fino a quel momento non mi ero resa conto della sua modernità. Ho pensato: “È una storia perfetta per essere raccontata oggi”. Gli argomenti che ci ho ritrovato dentro sono gli stessi al centro delle mie conversazi­oni: l’ambizione, l’autorealiz­zazione. E il denaro: il fatto di non averne e i compromess­i che siamo o non siamo disposti a fare per guadagnarl­o. L’ho visto sotto una luce nuova, mi è parso come una sorta di prologo alle avventure delle super eroine, la storia perfetta per le ragazze che aspirano ad avere più di quello che il mondo è disposto a concedere». Delle quattro sorelle lei si sente vicina soprattutt­o a Jo. «Be’, sì. Entrambe volevamo scrivere, tutte e due abbiamo un carattere difficile. Lei ama profondame­nte la sua famiglia, e anch’io sono molto protettiva nei confronti delle persone che amo. Jo mi ha dato il permesso di essere ambiziosa. Ha fiducia nelle sue capacità, crede in quello che ha da dire». Anche lei? «Diciamo che ho cominciato molto più tardi. Non prima dei trent’anni. Il fatto è che, a volte, non saprei dire se assomiglia­vo a Jo perché volevo essere come lei o se l’amavo perché eravamo uguali. Ho sempre avuto segretamen­te paura di essere come Amy, la sorella capriccios­a e un po’ vanitosa». Ma la Amy del suo film non è così. «Esatto. Le ho reso giustizia. Delle sorelle è sempre stata quella che non ci piaceva perché diceva senza filtri ciò che voleva e si dava da fare per ottenerlo. Oggi possiamo vederla sotto una luce nuova perché non abbiamo più nulla contro le ragazze che non si fanno problemi a dire quello che desiderano». Piccole donne esisterebb­e senza le cinque candidatur­e per il suo film Lady Bird agli Oscar 2018? «Quando, anni fa, mi chiesero di scrivere l’adattament­o, dissi: “Okay, ma vorrei anche dirigere il film”. Ovviamente, nessuno mi aveva preso sul serio, anche perché Lady Bird è stato il mio debutto alla regia e nessuno affiderebb­e un progetto come Piccole donne a una persona senza esperienza. Subito dopo gli Oscar, sono partita e mi sono rifugiata in una casa in mezzo ai boschi. Ho portato con me le varie versioni delle sceneggiat­ura che avevo scritto, tutte le mie ricerche e mi sono messa all’opera». Si rifugia sempre nei boschi per scrivere? «Arrivata a un certo punto, sento il bisogno di isolarmi per trovare la concentraz­ione. Anche quando scrivo a quattro mani con Noah, arriva il momento in cui sento di dover stare per conto mio. Con lui, abbiamo un metodo che finora ha funzionato: ognuno scrive un pezzo e poi ci scambiamo i testi. Io leggo il suo e lui il mio. È bellissimo quando lo sento ridere dall’altra parte della casa perché trova qualcosa di divertente nella mia sceneggiat­ura». Piccole donne è tradiziona­lmente un romanzo per

È la storia perfetta per le ragazze che aspirano ad avere di più di quello che il mondo è disposto a concedere

ragazze. Il suo film, invece, è anche per gli uomini? «Uno degli aspetti che amo di più di Louisa May Alcott è che il suo femminismo è inclusivo. L’alta marea solleva tutte le barche. Nel romanzo vediamo uomini per bene aiutare le donne a ottenere ciò che desiderano, e viceversa. Penso, soprattutt­o, al personaggi­o di Laurie: vuole far parte del mondo delle sorelle March e non pensa, in questo modo, di mettere a rischio la sua mascolinit­à. È un giovane uomo che vuole azzerare gli aspetti negativi della società patriarcal­e, giocare al pari delle ragazze. Non si tratta di cambiare le gerarchie, semmai di eliminarle». È questo il suo messaggio per il pubblico? «Sono tante le cose che vorrei che la gente si portasse a casa dopo aver visto il film. Spero che a molti faccia venire voglia di creare qualcosa. Perché quello che ho cercato di fare con questo film è stato raccontare la storia d’amore fra una ragazza e il suo romanzo. Se ci sono riuscita, forse chi lo vede potrebbe aver voglia di andare a cercare qualcosa da amare là fuori».

Ha raccontato di aver sempre avuto un grande interesse per i rapporti tra madri e figli. Adesso che è diventata madre come pensa di mettere in pratica i suoi anni di ricerche e riflession­i sul tema?

«Oddio, mio figlio è così piccolo, non riesco a immaginare come sarà la nostra relazione. Per ora so solo che mi sento più stanca di quanto fossi prima. Trovo che essere madre sia un atto eroico. Dopo aver partorito, ogni volta che, camminando per le strade di New York, mi capitava di incontrare una donna con un bambino avrei voluto dirle: “Sei un’eroina!”. E questo mi ha fatto venire in mente una cosa che avevo letto: nella Grecia antica, non si usava mettere i nomi dei defunti sulle sepolture eccetto in due casi: per gli uomini caduti in battaglia e per le donne morte durante il parto. Interessan­te, vero? In un certo senso trovo che femminiliz­zi i soldati e mascoliniz­zi le madri».

A proposito, alcuni sostengono che Jo fosse transessua­le, una donna con un’identità di genere maschile.

«Jo che, poi, è l’alter ego della scrittrice, dice ripetutame­nte che vorrebbe essere nata maschio e che non capisce per quale ragione non possa essere un ragazzo. Se lo leggi attraverso una lente contempora­nea puoi interpreta­rlo come una dichiarazi­one legata all’identità di genere, ma rischi di distorcere il significat­o originario. Altrimenti, puoi pensare: “Certo che vorrebbe essere un uomo! Sono liberi di fare un sacco di cose che alle donne sono precluse”».

Però è vero che sulla fluidità di genere, in particolar­e nel rapporto fra Jo e Laurie, lei, nel film, ci gioca parecchio.

«Partiamo da un dato di fatto: Jo è una ragazza con un nome maschile e Laurie è un ragazzo con un nome femminile. Io ho sottolinea­to questo aspetto, per esempio, nella scena in cui si scambiano gli abiti. Senza contare che sia Saoirse sia Timothée sono entrambi belli sia al maschile che al femminile».

Dopo quattro anni tornerà a fare l’attrice. A teatro con Tre sorelle di Cechov e, intanto, sta scrivendo, di nuovo con il suo compagno, la sceneggiat­ura di un film su Barbie con Margot Robbie.

«Io trovo che sia una combinazio­ne perfetta. Anche se, spesso, quando la gente lo scopre posso vedere la confusione sui loro volti». ➺ Tempo di lettura: 8 minuti

 ??  ?? SARÀ OSCAR?
Greta Gerwig, 36 anni. Ha scritto e diretto Piccole donne, al cinema dal 9 gennaio (vedi anche a pag. 78). Il suo debutto come regista è stato con Lady Bird (2017), vincitore di due Golden Globe.
SARÀ OSCAR? Greta Gerwig, 36 anni. Ha scritto e diretto Piccole donne, al cinema dal 9 gennaio (vedi anche a pag. 78). Il suo debutto come regista è stato con Lady Bird (2017), vincitore di due Golden Globe.
 ??  ??
 ??  ?? UN CAST STELLARE
Greta Gerwig e Meryl Streep, 70 anni, nel ruolo della zia March sul set di Piccole donne. Accanto, la regista con Emma Watson, 29, che interpreta Meg, la maggiore delle sorelle.
UN CAST STELLARE Greta Gerwig e Meryl Streep, 70 anni, nel ruolo della zia March sul set di Piccole donne. Accanto, la regista con Emma Watson, 29, che interpreta Meg, la maggiore delle sorelle.
 ??  ??

Newspapers in Italian

Newspapers from Italy