Sexy per dovere, nerd per piacere
Non fatevi ingannare dal fisico da macho: l’ex Superman ha un animo da gamer. Ed è stata proprio la passione per i videogiochi a farlo combattere, letteralmente, per il ruolo di protagonista di The Witcher, la serie fantasy pronta a fare concorrenza al Trono di Spade
Henry arriva con il cane, un bestione bianco e nero che scodinzola, mi annusa e si fa accarezzare prima di sedersi tranquillo e adorante ai piedi del padrone. Ha il pelo folto e lucido dell’animale amato e ben nutrito. Si chiama Kal, dal vero nome di Superman sul pianeta Krypton. È un Akita americano e, nelle caratteristiche della razza, si legge: «Docile, reattivo, dignitoso, indipendente, attento, amichevole, protettivo, coraggioso». Lui e il padrone si assomigliano anche fisicamente: due molossi. Se è vera la legge per la quale il quadrupede rispecchia il carattere dell’umano, questo è un bel biglietto da visita per Henry Cavill, 36 anni, tosto e massiccio come i suoi ruoli impongono, sorriso franco e gentile, stretta di mano possente.
Che altro c’era da aspettarsi da uno che è stato Clark
Kent nell’Uomo d’acciaio, poi l’uomo-pipistrello in Batman contro Superman e Justice League? Che ha recitato accanto a Tom Cruise in Mission: Impossible - Fallout? E che appare costantemente nei primi posti nelle classifiche degli uomini più sexy del mondo?
Eccolo qui Henry: questa volta ha prestato i bicipiti guizzanti e gli occhioni azzurri a Geralt di Rivia, l’eroe di The Witcher, serie prodotta da Netflix che si annuncia come possibile rimpiazzo nel cuore degli orfani del Trono di Spade.
In verità, le due saghe hanno poco in comune, se non l’ambientazione fantasy. The Witcher (azione, amore, un lato dark, un po’ di magia, tratti di umorismo) si basa sugli otto romanzoni del polacco Andrzej Sapkowski, ispiratori a loro volta di famosi videogiochi (il più diffuso è The Witcher 3: Wild Hunt), che hanno venduto 33 milioni di copie nel mondo. La trama: l’epopea di una famiglia e del suo destino. L’ambientazione: un mondo immaginario dal sapore medievale che si chiama «Il Continente», devastato da guerre e contrapposizioni politiche e popolato da elfi, mostri e altre creature pericolose. Geralt di Rivia è un witcher, cioè un cacciatore di mostri, una sorta di mutante con due spade, poteri soprannaturali e una forza sovrumana, che potenzia bevendo particolari pozioni (da cui i capelli bianchi). Il suo destino si intreccerà con quello di una potente strega (Yennefer di Vengerberg, alias Anya Chalotra) e di una giovane principessa (Cirilla, Freya Allan). Tutti e tre i personaggi principali sono orfani: tra i temi forti della serie, infatti, ci sono la solitudine, la perdita e la ricerca di una famiglia cui appartenere. Lo stesso non si può dire di Henry: quarto di cinque fratelli, tutti super sportivi e super fisicati.
È la prima volta che mi capita di incontrare un attore con cane al seguito. «Lo porto con me ogni volta che posso», spiega. Oggi gli viene facile, visto che ci incontriamo a Londra, città in cui Cavill vive. Nonostante l’aspetto da ragazzone americano cresciuto a latte e omogeneizzati, infatti, l’attore è inglese, come si deduce dal suo tipico humour britannico.
Che cosa lÕha affascinata del ruolo di Geralt?
«Soprattutto il suo umorismo. Io non so se mi definirei una persona divertente. Sicuramente sono ironico. Il mio
Per il ruolo di Geralt non ho voluto controfigure: credo che il pubblico si emozioni di più sapendo che è l’attore a fare certe acrobazie
sarcasmo asciutto è simile a quello del personaggio. Ho provato a donarglielo. Vediamo se ci sono riuscito».
Quando appare nella prima scena, sembra un mutante progettato solo per uccidere.
«Il suo intento morale è quello di incarnare i valori del “cavaliere bianco”: lotta per un ideale anche se, sul piano pratico, a volte le sue azioni hanno conseguenze non proprio ideali».
È sempre stato un fan del fantasy?
«Fin da ragazzo. Quello che trovo unico della saga di Sapkowski è che ognuno può essere l’eroe della propria storia. Anche i cattivi».
Sono stati 207 gli attori provinati per questo ruolo. Ma si dice che, per Geralt, avessero scelto lei fin dall’inizio. È vero che ha chiesto lei di avere la parte?
«Sì. Quando ho saputo che Netflix avrebbe fatto una serie di The Witcher, ogni giorno chiamavo per sapere se c’erano novità. Mi ripetevano sempre che non c’era ancora una sceneggiatura, quindi non potevano darmi una risposta. In questo modo, però, il mio desiderio di partecipare era chiaro».
Conosceva già il personaggio?
«Sono un appassionato di videogiochi e conoscevo bene il mondo di The Witcher 3: ho sempre pensato che sarebbe stato perfetto per farci un film. Ho anche letto i libri, e li ho adorati».
Preferisce i libri, il videogioco o la serie tv?
«Non sono paragonabili. Nel libro hai il lusso dello spazio: pagine e pagine di descrizioni per un singolo personaggio o una singola scena. Per esempio, occorrono tre romanzi perché appaiano i tre protagonisti. Nella serie è tutto più immediato: Geralt, Yennefer e Cirilla arrivano già nel primo episodio. In ogni caso, spero di non deludere i fan del videogioco: forse non sono il personaggio che loro avevano in mente, anche se ho sempre avuto una sorta di stretta connessione con Geralt. A parte il fatto che lui uccide un sacco di gente. Ma forse anch’io, chi può dirlo?».
In un certo senso, quindi, era destinato a questo ruolo.
«La cosa buffa del destino è che è facile predirlo a posteriori, quando qualcosa è già accaduto».
Come si è preparato per la parte?
«Ore e ore passate a giocare (ride, ndr)».
Non ha esattamente il fisico del videogamer che, nell’immaginario comune, è un ragazzotto in tuta sempre davanti allo schermo, immerso in un antro scuro tra patatine e lattine di bibite gassate.
«Non ho niente contro le tute. Ma il mio computer è in un angolo del salotto, quindi non è propriamente una postazione da gamer».
Che tipo di allenamento ha dovuto affrontare, invece, per le scene di azione?
«Rispetto a Superman, dove la maggioranza dei combattimenti erano corpo a corpo, in The Witcher è centrale l’uso delle armi. La preparazione è stata molto difficile: i tempi erano stretti e non potevamo girare in parallelo perché io recitavo in tutte le scene di azione. A parte la battaglia del primo episodio, a cui abbiamo lavorato per tre settimane, anche la domenica, per il resto, la sera prima di girare una scena di azione, mi mandavano le istruzioni sul telefonino: magari un video a cui ispirarmi».
Come mai non ha usato una controfigura?
«Mi sento più a mio agio senza. In questo caso, in particolare, conoscevo troppo bene il personaggio: non volevo che l’integrità di Geralt venisse incrinata da uno stuntman. E poi, per il pubblico, è più emozionante guardare un film sapendo che è l’attore a fare certe acrobazie».
Qualche tempo fa ha dichiarato che, in questo periodo, si sente al massimo della forma.
«È vero. Ho un trainer che mi spinge al limite. Con lui sono migliorato parecchio».
C’è margine di miglioramento perfino per «Superman»?
«Certo: anche se uno guardandomi da di fuori non è in grado di dirlo, io so come misurare il mio livello di fitness. Per esempio, ogni anno corro una maratona per una Onlus e ogni anno faccio meno fatica. Vuol dire che miglioro, che sono più in forma».
Che cosa mangia quando non bada alla dieta?
«Pizza, hamburger e sushi, che non fa ingrassare».
Tornando a The Witcher, la saga è un dark fantasy, dove il diverso fa paura e viene emarginato. Racconta un mondo xenofobo, sessista, qualcuno lo ha definito persino colonialista. Pensa che questa serie tv sia attuale perché rispecchia il clima in cui viviamo?
«Ognuno ci può vedere quello che vuole. Ogni spettatore ha la sua risposta».