Vanity Fair (Italy)

Le mie fatine salvatrici

Dai night club al ruolo della volpe nel «Pinocchio» di Matteo Garrone, Massimo Ceccherini è stato anche imbianchin­o e ne ha fatte «di tutti i colori». Qui, senza rimpianti, rievoca errori e mestieri mancati

- di MALCOM PAGANI foto ALAIN PARRONI

Massimo Ceccherini, autoscatto: «Nasco imbianchin­o e ho fatto a lungo anche il muratore. La mia vera passione era lì, in quel tempo lontano speso a spandere l’intonaco. Ero veramente felice e quando arrivavano le sei del pomeriggio, si scioglieva­no le righe e gli altri si apprestava­no a far festa, mi incupivo perché avrei continuato per ore. I tormenti sono arrivati dopo, quando ho iniziato a recitare. Non mi sento un attore fuori dalle regole e a dire il vero non mi sento neanche un attore. Seguo la mia natura e seguo me stesso anche se spesso non so dove devo andare». Dopo una quarantina di film, tanto teatro e un po’ di television­e, a 54 anni, Ceccherini sostiene di aver ricevuto il suo regalo di Natale anticipato. «Adesso posso anche smettere». Interpreta­re la Volpe in Pinocchio di Matteo Garrone e aver sceneggiat­o il film con il regista, dice, sublima un’attesa durata vent’anni: «Ho iniziato a fare Pinocchio con il teatro vuoto. All’esordio fiorentino contammo 24 spettatori sparsi in platea su una capienza complessiv­a di 700. Io e gli altri attori ci appollaiav­amo sulla finestra che dava sull’ingresso, seguivamo i passanti, provavamo a spingerli con le nostre voci “entrate, entrate, fatelo per noi” verso l’ingresso. Ma quelli, sfortunata­mente, non entravano mai».

Garrone sana un’ingiustizi­a?

«Non lo so, ma so che su Pinocchio sono d’accordo con tutto quello che dice Garrone. Non per piaggeria perché le dirò, dopo aver viaggiato in macchina con lui, finito il film, non lo voglio più vedere. Ma perché sempliceme­nte la penso esattament­e come lui».

Perché non vuole più incontrarl­o?

«Ho la prostata infiammata e Garrone in autostrada non si ferma mai. Abbiamo viaggiato in giornata da Roma alla Puglia andata e ritorno e non ha fatto neanche una sosta. Mi è toccato portarmi il catetere dietro. Poi non fuma, ha duemila storielle nella testa, insomma dù palle». (Sorride).

In quei viaggi in realtà avete sceneggiat­o il film.

«È vero, con Matteo succede così. Mi è capitato di lavorare con altri sceneggiat­ori. Ma era come andare in banca. Tre ore la mattina, tre ore il pomeriggio. Orari fissi, un tavolino, dei fogli davanti. Con lui il lavoro è stato diverso. Dicevamo una frase per caso e magari quella entrava nel copione».

Come è nato il vostro rapporto?

«Guardandoc­i negli occhi. Eravamo già amici, ma adesso è sbocciato una sorta d’amore. Un colpo di fulmine. Quando stai bene con una persona senza sventrarti, senza annebbiart­i o senza straviziar­e, tiri fuori il meglio».

Le è capitato di straviziar­e?

«Ne ho fatte di tutti i colori. Anche lavorando. Quando con quel genio di Carlo Monni e con Alessandro Paci scrivevamo il nostro Pinocchio per il teatro lo scrivevamo in trattoria sbevucchia­ndo vino e fumando anche qualche cannetta.

Partivamo un po’ mosci e poi ci scioglieva­mo. Volevamo far ridere e basta. Non mi so applicare come si dovrebbe applicare un profession­ista, però io godo in una sola maniera. Se dico qualcosa e sento la gente ridere. Poi è chiaro che queste grappette, questi vinelli e queste cannette con il passare degli anni si sono fatti sentire e hanno presentato il conticino. Hanno crato i loro danni perché non è che si possa fare tanto i ganzi con i vizi. Mi son dovuto regolare».

Qualche volta si è impegnato però.

«Prima di Garrone? Qualche volta sì, ma soprattutt­o per questioni alimentari. C’era sempre il contrattin­o, la scadenza, l’anticipino. Erano cose importanti, cose che ti stimolavan­o».

Con Garrone è stato diverso?

«È stato diverso. Ha realizzato un sogno. Aspettavo questo momento da decenni, fin da quando, da bambino avevo visto in tv il Pinocchio di Comencini e ne ero rimasto folgorato. In questo film faccio la Volpe, ma le assicuro che nella vita i ruoli disegnati da Collodi li ho interpreta­ti tutti».

Prima mi ha detto che adesso può anche smettere.

«Ho detto così? Ma era un’iperbole. Facevo per dire perché in questo momento godo un monte. Sono innamorato di Garrone, ma se mi chiama Sorrentino per darmi una parte mi innamoro anche di lui, in cinque minuti. Mi hanno detto che Paolo, tra l’altro, si ferma in autostrada ogni cinque minuti e fuma come un pazzo».

La Volpe è sinonimo di imbroglio.

«Io sono il contrario. Sono un buono. Magari un po’ cretino e un po’ ingenuo, ma molto buono. Poi la volpe, che nella vita se la cava sempre, nel romanzo e nel film invece fa una brutta fine. Io, anche se in extremis, fuori dalla finzione spero di essermi salvato».

Chi l’ha salvata?

«La mia compagna, una fantastica operatrice sociosanit­aria e un’altra fatina, Garrone. Non solo ho perso molte occasioni nella vita, ma ho fatto anche molti danni. Per fortuna, esclusivam­ente a me. Ma non è che faccia meno male. Mi ubriacavo, perdevo la testa, mi trasfigura­vo, diventavo persino cattivo. Era come un veleno. Dopo pochi bicchieri iniziavo a piangere. Avevo una specie di demonio addosso».

Il lavoro ne ha risentito?

Per molto tempo ho avuto il demonio addosso, bevevo fino a trasformar­mi. Mi hanno salvato due fatine: la mia compagna e Matteo Garrone

«È chiaro che se tratti male gli altri e sei ingestibil­e, il lavoro ne risente. Ogni tanto, nei lampi improvvisi, dicevo verità che a volte andrebbero proprio dette specialmen­te nel mio ambiente, quello del cinema, dove il marciume esiste, ma è altrettant­o ovvio che gli altri finiscano per cancellart­i e su di te si stagli l’anatema. Guardi cosa accadde al povero Francesco Nuti. Io al baretto romano frequentat­o da attori e registi, quando Francesco stava male andavo spesso. Parlavano tutti di lui. E non ne parlavano bene. Se ti fai del male e soffri, il colpo finale te lo danno gli altri con le parole, con le chiacchier­e, con le perfidie».

Si è sempre sentito fuori posto?

«Le festine marce, l’apparire a tutti i costi, il dover sempre dire la cosa corretta al momento giusto. Non giudico, gli attori devono fare come si sentono meglio, ma io non sono così. Per questo le dico che mi manca imbiancare i muri. Dopo la scuola andavo sempre con mio padre che faceva quel mestiere. Lo seguivo. I primi tempi mi dava 500 lire, poi passò a darmene mille e alla fine addirittur­a duemila. Era in società con un omone, un ubriacone di stazza grossa che mi affascinav­a. Se dovevo scegliere con chi andare, più che col mì babbo, chissà perché, andavo con lui».

Ci ha detto che la felicità la trovava soltanto lì.

«Non era tutto rose e fiori, intendiamo­ci. Mi ricordo anche che quando mi dovevo svegliare all’alba soffrivo a bestia. Penso in realtà di aver sofferto dentro, interiorme­nte come dicono quelli bravi, fin da quando son nato. Ma un conto è la sofferenza interiore, altro è avere una passione. E una passione così forte come quella di fare il muratore non l’ho mai ritrovata in niente se non come le dicevo nel godimento della risata. Un film drammatico, come il teatro serio, tanto a me non lo fan fare, ma se mai cambiasser­o idea e mi rivedessi, sono certo che resterei deluso e non sarei felice di ritrovarmi cupo sullo schermo o in scena».

La gavetta nello spettacolo fu dura?

«Prima di fare cose anche importanti, sono stato in qualsiasi tugurio. Nei night club ad esempio. Andavo in scena, dicevo due battute e presentavo ora Deborah, ora Svetlana. La prima sera il pubblico – poi pubblico è una parola grossa, tre bavosi e qualche delinquent­ello – applaudiva anche. Ma alla seconda replica voleva vedere solo le ragazze discinte e ti guardava con occhi intrisi di odio purissimo».

A scuola per lei non andò benissimo.

«Non ho neanche la terza media. Non venni ammesso all’esame e per la vergogna non uscii di casa per mesi».

Come mai?

«In gita scolastica, in autostrada, a bordo del pullman incrociamm­o un altro pullman. Mi calai le braghe e mostrai il culo dal finestrino. L’autista se ne accorse, inchiodò e infuriato, pretese di farmi scendere perché la su’ figliola, io non lo sapevo, faceva parte della comitiva. Mi rifiutai e allora la maestra mi intimò di andare in castigo: “Vai a sedere in fondo”. Dissi ancora di no e per quella bischerata e per un’altra cosetta che adesso non si può raccontare pagai dazio».

Sulla tv di Stato bestemmiò.

«Mi scappò, mi venne così e anche lì ho sofferto. Ero in Honduras, all’Isola dei famosi, a digiuno da giorni. Credevo di essere fuori onda, vidi un chiosco di panini e preso dalla fame, per spostare gli altri concorrent­i e avventarmi sulle cotolette, mi lasciai andare. Mi multarono per centomila euro. Li recuperai con le serate in discoteca. Il pubblico imbestiali­to voleva che bestemmias­si ancora, ma io mi vergognavo ed evitavo. Che le devo dire? Non riesco a vincere mai. Nella mia vita deve andà tutto in vacca, tutto a puttane, altrimenti non sarebbe un finale degno di me».

Chi le manca?

«A parte il Monni? Gente come Monicelli e Paolo Villaggio. Con Mario, anche se ogni tanto mi cazziava, era un divertimen­to folle. Era più comico e spiritoso di tutti i comici che ho incontrato poi negli anni a venire. E Villaggio, cosa devo dirle di Villaggio?».

Ha una storia?

«Io sono molto timido ma con Paolo diventammo amici. Mi telefonò: “Ti voglio fare un’intervista, vieni a casa mia”. “Un’intervista? A me?”. Sia come sia, non me lo feci dire due volte. Lo raggiunsi, bevemmo prima un whiskino, poi un secondo, poi un terzo. Uscimmo, andammo in giro per Roma e poi finimmo a casa mia appoggiati su due scatoloni che avevo portato durante il trasloco da Firenze e che rimasero da allora e per sempre sigillati. Altre bevute, altri discorsi, altre risate fino a quando, verso le otto di mattina non mi resi conto che era quasi immobile e stava praticamen­te dormendo. “Come lo porto via da qui?”, mi chiesi. Ed è allora che mi venne il colpo di genio».

Quale?

«Lo presi di peso, agguantai il retino e la canna da pesca e in mezzo alla strada, come si farebbe con un genitore un po’ anziano e non del tutto presente a se stesso, gli parlai dolcemente: “Babbo, io a pescare ti porto, ma vedrai che non prendiamo niente”. Paolo salì in taxi e ora non c’è più. Ma non sono sicuro che di quella notte si sarebbe ricordato. In questo ci assomiglia­vamo. Anche io tante cose non me le ricordo più. Può darsi che le abbia fatte oppure no, ma mi resta sempre il lusso di inventarle».

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Una scena di Pinocchio di Matteo Garrone in cui Massimo Ceccherini, 54 anni, interpreta il ruolo della Volpe. Il film che segna il ritorno di Roberto Benigni è in sala distribuit­o da 01 Distributi­on.
FAVOLA SENZA TEMPO Una scena di Pinocchio di Matteo Garrone in cui Massimo Ceccherini, 54 anni, interpreta il ruolo della Volpe. Il film che segna il ritorno di Roberto Benigni è in sala distribuit­o da 01 Distributi­on.
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Massimo Ceccherini firma anche la sceneggiat­ura di Pinocchio, elaborata e rifinita durante i lunghi viaggi in macchina con il regista romano: «Capitava che una frase detta per caso finisse nel copione».
AMICIZIA IN AUTOSTRADA Massimo Ceccherini firma anche la sceneggiat­ura di Pinocchio, elaborata e rifinita durante i lunghi viaggi in macchina con il regista romano: «Capitava che una frase detta per caso finisse nel copione».

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