Vanity Fair (Italy)

JUDY SONO IO

Renée Zellweger si trasforma per incarnare la diva Garland in un film che racconta gli ultimi e terribili mesi della sua vita

- Di SIMONA SIRI

È il 1968 e Judy Garland – icona di Hollywood da quando era bambina – è una donna piena di debiti e problemi, un’artista lontana dalle scene da tempo, una madre in lotta per i figli. Per non perdere la casa decide di accettare una serie di concerti a Londra, al Talk of the Town, un famoso nightclub.

Saranno le sue ultime esibizioni: sei mesi dopo, nel giugno del 1969, Garland muore per overdose di barbituric­i. Nelle sale dal 16 gennaio, Judy, pur con molti flashback, racconta questi ultimi mesi a Londra, la caduta più che l’ascesa. A dare voce, volto e disperazio­ne al personaggi­o è Renée Zellweger (sopra) che come aveva già fatto in Chicago canta e balla in modo egregio – e lo fa per davvero, non come Rami Malek in Bohemian Rhapsody – tanto che ha anche registrato la colonna sonora (contiene pure un duetto con Rufus Wainwright – anche lui fan da sempre della Garland – sulle note di Have Yourself A Merry Little Christmas). «Come tanti sono cresciuta amandola, ma anche dandola per scontata», ci dice Zellweger. «Solo dopo averla interpreta­ta mi sono reso conto di quanta sofferenza avesse patito: più che un’icona, è stata un’eroina. Se siamo qui a raccontare la sua storia 50 anni dopo la sua scomparsa una ragione c’è: una con il suo mix di personalit­à e bellezza, umiltà, grazia ed empatia nasce una volta ogni mille anni».

Nel film c’è anche Over The Rainbow, la canzone del Mago di Oz che Zellweger interpreta in modo disperato, sola sul palcosceni­co: «Ero terrorizza­ta, ma in qualche modo sentivo che quella sera Judy era lì con me».

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