CHECCO ZALONE Dio salvi i comici
Con il record di incassi del suo ultimo film, Checco Zalone resta il più amato dagli italiani. Perché? Sa osservare, e dire la verità
Questo Paese beghino, settario, moralista, pervaso da lotte al coltello in nome di una lobby o di un campanile, questo Paese senza memoria, sciagurato, autolesionista, superficiale, questo Paese soprattutto ignorante, ogni tanto viene illuminato dalla presenza salvifica di un re degli ignoranti. Successe con Totò, in qualche modo con Adriano Celentano e da qualche anno con l’arrivo nella nostre vite grigie del ciclone Zalone. Che cosa fa il Re degli Ignoranti? Dice la verità. Vi sembra poco? E lo fa usando il sistema culturalmente più sofisticato: dice la verità facendo finta di dire una cazzata. Che cosa faceva Totò? Si aggirava nella realtà e la «destrutturava» con una battuta. Trovandosi nello scompartimento di un vagone letto insieme a un «Onorevole», un politico trombone degli anni ’50, lo ascoltava, lo valutava poi domandava: «Ma lei è proprio Onorevole?». Il trombone lo confermava. Allora Totò lo spingeva via esclamando sdegnato: «Ma mi faccia il piacere!». Totò metteva in dubbio le cariche, i privilegi, lo status dell’Italietta finta e ipocrita. Per lui un vero onorevole non poteva essere così. E con una battuta lo rendeva ridicolo. Acclamato, con una risata omerica, dal pubblico in sala, dal popolo, che condivideva quel pensiero apparentemente rozzo perché diceva la verità.
Checco Zalone usa lo stesso procedimento narrativo. Ho scelto un’espressione colta perché Zalone è coltissimo. Forse in maniera istintiva, certamente in maniera autentica. Zalone narra i nostri tempi con la grazia che appartiene ai veri testimoni di un’epoca: quelli che prima di narrare sanno guardare. Zalone guarda. Ci guarda. E ci racconta. Senza mai criticarci, senza moralismi, senza doppi sensi, e anche questo lo fa in maniera sorprendente. Non ci critica pur criticandoci, non è moralista pur interpretando personaggi talvolta moralisti, non cade mai nel doppio senso anche se nel dialogo usa la scorrettezza di molti doppi sensi. Zalone è libero. È libero perché è un vero comico. Per lui le cose buffe sono buffe e basta, non hanno colore. Le vede e ce le spara addosso. Divertendosi e divertendoci. Dio salvi i comici perché non hanno padroni. Non rinnegano i loro esordi da «comicaroli», quando facevano buffonate giovanili e grezze. Anzi, se ne nutrono. Zalone non rinnega il suo cabaret, le sue canzonette sguaiate, le sue parodie, come Ugo Tognazzi (anche nei film colti) era sempre memore del «Tognazzi e Vianello», o Alberto Sordi del «compagnuccio della parrocchietta». Zalone è di quella pasta lì. Non si crede più importante di quello che è. Non si ricuce addosso l’abito bono da arricchito. Non vuole dimostrarci che è più intelligente di noi perché ha avuto successo. Zalone sta al posto suo. E ci sta benissimo. Perché non ama apparire. Non va mai da nessuna parte a dire la sua. La sua la dice quando fa un film. Non presenzia, non sfila sui tappeti rossi, è uno di noi. La forza straordinaria di Zalone è che sta sullo schermo ma il pubblico sa che è anche seduto in sala. Non voglio esagerare ma questo sdoppiamento succede solo ai grandissimi: Stanlio e Ollio, Charlot, Groucho Marx, Tati, Mister Bean, Fantozzi. Anche loro sono noi, come Zalone, perché si portano addosso le nostre miserie e le nostre debolezze facendole diventare buffe. Esorcizzandole con un dono di Dio: la risata. La risata che rimette a posto le ingiustizie della vita.
Su Checco Zalone scriveranno dei saggi, faranno dei simposi. Se ne impossesserà la cultura. E sarà una tragedia. Ma nulla di così tragico potrà affievolire l’unico giudizio vero, quello popolare: Zalone fa ridere. E tutto il resto è noia…