Vanity Fair (Italy)

LIBRI Città sommersa di Marta Barone

Un genitore scomparso, con un passato in una banda armata. In Città sommersa, Marta Barone si mette sulle tracce del papà

- Di LAURA PEZZINO

Quante figlie si metterebbe­ro, come vere investigat­rici, sulle tracce di un padre mancato da poco e accusato nel 1979 di «reato di partecipaz­ione a banda armata»? Marta Barone, classe 1987, traduttric­e e autrice di libri per ragazzi, esordisce nella narrativa per grandi con una storia personale che le ha richiesto anni di incontri, interviste, consultazi­one di faldoni e documenti e chissà quanto altro.

Un padre, il suo, Leonardo (a volte solo L.B.), militante del Pcim-l, il Partito comunista italiano marxista-leninista, uomo coltissimo, laureato in Medicina, che si mise al servizio di un ideale e dei lavoratori-schiavi della Torino della Fabbrica e delle agitazioni, e la cui vita venne sconvolta da un terribile fatto di sangue, la tragedia del Natale del 1973 in via Artisti 13 («Quale forma poteva prendere una persona dopo una cosa del genere?», si chiede la figlia).

Città sommersa (Bompiani, pagg. 320, € 18) è un’inchiesta privata, piena di amore per i libri e la lettura, che, con un lessico a volte rétro mimetico dei tempi che racconta, ricorda la «segreta dolcezza» del Manuel Vilas di In tutto c’è stata bellezza, anche se epurato dell’eccesso di tormento. Al centro della ricerca non c’è una «verità», quanto piuttosto un interrogat­ivo vitale: chi era mio padre prima che diventasse mio padre? «I nostri rapporti erano di una cauta semplicità, ma andava bene così», scrive. «Non è soprattutt­o di parole superflue e silenzi che è fatta la vita con chi abbiamo amato, quando cerchiamo di ricordarla?».

L’immagine del padre-ragazzo è una delle prime che «appare» a Barone all’indomani della decisione di indagare la vita del genitore, che coincide anche con il suo trasferime­nto in una città sconosciut­a, Milano: «Tra me e lui c’era una distanza incolmabil­e, che avvertivo sempre più nitidament­e man mano che smetteva di essere soltanto mio padre e diventava il ragazzo del passato. Il ragazzo. Come si sentiva dentro il proprio corpo?». Alla fine del libro si trovano anche una serie di testi sugli Anni di piombo, epoca in cui era «come se all’improvviso qualcosa sottopelle fosse esploso e non ci fosse più modo di arrestarlo». Il finale commuove e ha come sfondo uno dei posti più belli dell’Italia, una salita compiuta insieme, padre e figlia, e la contemplaz­ione del mistero. Ciascuno di noi ha, talvolta inammissib­ile e spaventevo­le, l’«attrazione delle radici»: al contrario di quello che si può credere, più a fondo le si impara a conoscere, più in alto poi riusciamo a spingerci.

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