Vanity Fair (Italy)

FEDERICO MARCHETTI Il fondatore di Yoox

Da ragazzo le ha pensate tutte, dagli gnu alle piadine. Poi, vent’anni fa, si è concretizz­ata la folle idea che gli ha cambiato la vita: Yoox. Oggi, mentre si prepara a celebrarne l’anniversar­io, supera la Brexit con un progetto-ponte e amico speciale, il

- Di SILVIA BOMBINO foto DAVID NEEDLEMAN

Scrivendo «Federico Marchetti» nella stringa di Google, i primi tre risultati sono dedicati al suo omonimo, più giovane, portiere del Genoa. «Non mi sono mai googlato, e non seguo il calcio», risponde quasi distratto Federico Marchetti-imprendito­re, il visionario che nel 2000 si è inventato un sito di e-commerce di capi di abbigliame­nto, Yoox, ora Ynet, fusione di Yoox e Net-A-porter. Poi si illumina: «Però se mi cerca dallA’ merica… Il primo sono io». In effetti Marchetti, partito da Ravenna, oggi amministra un’azienda distribuit­a in 8 Paesi, su una superficie logistica di 100 campi da calcio, non uno. Altri record: oltre 3 milioni e mezzo di clienti in 180 Paesi, 12 milioni di foto all’anno, la linea 8 by YOOX creata con l’intelligen­za artificial­e, una joint venture con Alibaba per il mercato cinese appena siglata. Non solo. A casa sua passano a trovarlo Tilda Swinton e James Ivory, con Bill Gates condivide la passione per Fellini («Sapeva tutto su Amarcord, mentre il fondatore di una famosa app di social media di cui non dirò il nome mi ha detto: “quello della Vita è bella?”»), di recente ha cenato con Demi Moore, trovandola molto piacevole. «Ma non so se questo elenco ha qualche significat­o», sorride Marchetti. Lei mantiene un basso profilo, ma in Italia è un pioniere: nel 2000 Internet era arrivato in Italia da pochi anni, lei è riuscito a farsi finanziare dal venture capitalist Elserino Piol, che aveva già aiutato Renato Soru con Tiscali. «Esatto». In quel momento storico i telefonini erano a forma di cabina telefonica, l’e-commerce da noi non esisteva, e oltreocean­o Amazon vendeva libri. Come le è venuta l’idea? «Ho sempre voluto fare l’imprendito­re. Quindi ho pensato a tantissime idee da quando ero teenager: se non le ho realizzate era perché o erano troppo avanti o troppo crazy». Faccia qualche esempio. «Sul lato crazyness, volevo a un certo punto risolvere il problema della fame in Africa facendo la mozzarella dagli gnu, perché ho scoperto che appartenev­ano alla stessa famiglia dei bufali. Ma c’era un problema: non si riescono a mungere, sono wild beast, animali selvaggi. Mi sono fermato». Altre idee? «Sono stato tra i primissimi ad avere il cellulare. Ero all’università, suscitavo una certa curiosità. Mi dicevo: se è così grosso, non può anche essere una macchina fotografic­a? Ma non ero un ingegnere che poteva prototipar­e questo prodotto: mi vedevo alla Nokia, in Finlandia (all’epoca il più grande produttore di telefonia mobile, ndr) a proporre l’idea, mi avrebbero detto: “Buona, ma possiamo realizzarl­a da soli”». Finita l’università Bocconi lei va a lavorare alla Lehman Brothers a Milano. Perché si è dato alla finanza? «Sapevo che sarei andato a fare una dura palestra: e sono stati in effetti tre anni super-formativi. Lo rifarei. Però poi mi sono iscritto a un master alla Columbia, a New York, per tornare a fare progetti: mentre studiavo avevo ideato un business plan su un concetto di fast food, con però all’interno slow food: una via di mezzo tra La piadineria e Eataly». «Hai più pensato a quel progetto di esportare la piadina romagnola?», cantava Samuele Bersani nel 1994. «Avevo pensato proprio a una catena con cibo di qualità, made in Italy. Ma ho lasciato perdere». Suo padre era magazzinie­re in Fiat, sua madre maestra e impiegata alla Sip. Deve essere stato faticoso all’inizio mantenerla a Milano e in un’università privata. «Vero, ma sono stato sempre molto bravo a scuola, e ho vinto molte borse di studio. Poi vivevo in un monolocale in affitto sui Navigli, con il bagno sulla ringhiera, e un divano letto in condivisio­ne con un’altra persona». Anni ruggenti? «Mi sono divertito. Era la fine degli anni ’80, c’era il mito di Yuppies, avevamo fondato il fan club di Christian De Sica: lo abbiamo invitato alle nostre feste, una cosa autoironic­a. Facemmo le magliette con le frasi del film, ne vendemmo tantissime a Natale: il merchant che era in me si vedeva già». Dopo la Columbia perché non è rimasto in America? «Tutti i miei compagni andavano a lavorare in grandi banche. Io volevo fare un altro percorso, sicurament­e meno safe, fare l’imprendito­re. E sono tornato in Italia perché qui avevo un vantaggio strategico sui brand, anche se era più difficile trovare venture capitalist».

Con il business plan di Yoox in mano, ha avuto dei momenti di incertezza? «No, è durato pochissimo». È stato anche fortunato? «La fortuna mi ha sicurament­e accompagna­to, ma anche perché mi sono preso dei rischi. Fortuna e rischio sono sempre andati in parallelo nella mia vita: l’incertezza ha anche un lato positivo, ti apre alla fortuna». Perché ha scelto la moda come cuore del suo business? «Chi fa l’imprendito­re sa che per molti anni dovrà occuparsi di un prodotto, che gli deve come minimo piacere, e io da sempre ero attratto dagli abiti. Che è poi il motivo per cui non ho esportato la piadina romagnola...». Non ha la passione per il cibo? «Non sono un mangiaspag­hetti, e non mangio carne. Ho scoperto che l’espression­e che mi corrispond­e è pescetaria­n, una dieta di pesce, verdure e formaggi. Avendo un business globale e viaggiando molto tra Milano, Londra, New York, Cina e Giappone, ho imparato ad amare altre tradizioni culinarie». Quando ha capito di essere diventato ricco? «Non ricordo. Mi piace l’arte e quindi ho acquistato dei pezzi importanti: la mia idea di lusso è più interiore che esteriore, come contemplar­e un quadro mentre faccio colazione, più che sfoggiare un’auto. Anche per i capi d’abbigliame­nto che acquisto su Yoox, privilegio la qualità dei tessuti, il sentirmi bene con quello che indosso, più che il marchio». Il suo business genera molta ricchezza: come la restituisc­e? «Yoox è nata facendo in modo che tutte le persone che mi hanno accompagna­to dall’inizio avessero tante azioni, quindi poi quando ci siamo quotati, tantissimi sono diventati milionari, e molti, con cui sono ancora in contatto, se la stanno godendo in giro per il mondo: sono felice per loro». Lei non ha mai pensato di lasciare? «No, sono qui da vent’anni, lavoro come un matto, e mi diverto ancora. Tornando al give back: siamo un’azienda che sta nel mondo, non potevamo solo vendere vestiti, e ci siamo focalizzat­i sulle donne. Dobbiamo essere il loro specchio, quindi due terzi dei dipendenti sono donne, la metà dei ruoli esecutivi è affidata a donne. E abbiamo lanciato la competizio­ne Incredible Girls of the Future, in cui le più giovani inventasse­ro un’app moda. Poi ci siamo rivolti all’ambiente, e dieci anni fa abbiamo lanciato Yooxigen, progetto sulla moda sostenibil­e che significav­a anche dotare l’azienda di auto ibride, elettriche, ridurre l’impatto ambientale a 360 gradi. Siamo noi che abbiamo esportato queste pratiche agli inglesi, dopo la fusione. In questo quadro, si inserisce il Principe Carlo». Ci parli di lui. «È sempre stato il maggiore campione di sostenibil­ità al mondo, da quarant’anni. Ci crede veramente, è autentico, non è un impegno di facciata. È venuto a trovarci al nostro tech hub, a Londra, due anni fa, e da lì ci siamo conosciuti». Era emozionato al primo incontro?

Sospira. «Ho incontrato anche il Papa, Bill Gates...». È abituato, insomma. «Più che altro la mia forza è questo: sono sempre me stesso e, da buon romagnolo, molto straightfo­rward, dritto al punto, senza mancare di rispetto. Con il principe Carlo ho seguito l’etichetta: la prima volta bisogna dire “Your Royal Highness” o “His Royal Highness”, dopo si può dire “Sir”. Ora ci scriviamo spesso». Email? «Ma scherza? Lettere! E con la ceralacca. Stupende: quando arrivano è grande festa a casa. Si è instaurato un bel rapporto tra noi. Mi ha invitato ad andarlo a trovare in Scozia, e da lì in poi ho iniziato a pensare a come coinvolger­e la sua Fondazione. Essendo YNet un’azienda anglo-italiana mi piaceva molto creare un legame che facesse parlare i popoli oltre i passaporti, oltre la Brexit, oltre i populisti. Inoltre noi, dopo l’ambiente e le donne, siamo impegnati sull’istruzione, in particolar­e il coding nelle scuole. Quindi abbiamo fatto collaborar­e gli studenti del Politecnic­o di Milano con gli artigiani inglesi nel progetto The Modern Artisan, che come strumento avevano i milioni di dati dei nostri clienti, per una collezione sostenibil­e di lusso che verrà lanciata per il ventennale». Perché è importante insegnare il coding oggi? «È la nuova arte. Le ragazze italiane sono molto lontane dalla tecnologia, abbiamo fatto una ricerca che dice che l’80% non si sente competente in informatic­a: bisogna avvicinarl­e». Lei ha una figlia, Maggie, alle elementari. Studia coding? «Certo. Come ai bambini si insegna l’inglese o la musica, oggi, il prima possibile, bisogna trasmetter­e il coding, che è un linguaggio. Dico sempre che la nuova Coco Chanel è già nata e sarà una programmat­rice informatic­a». Lei ha appena compiuto 50 anni, YNet ne fa 20 a giugno. Come sono cambiati i clienti in vent’anni? «Difficile dirlo. La cosa che è cambiata di più è la resistenza al prezzo. Pensi che nel 2000 il primo ordine è arrivato dall’Olanda per comprare un abitino di Versace a 88 mila lire, scontato, mentre dal 2016 i nostri clienti acquistano anche gioielli e orologi, oggetti da oltre 100 mila euro». Avete pensato di invitare quella ragazza olandese al vostro party di giugno? «Non possiamo rivelare nulla, è un segreto. Sarà una festa piena di sorprese». ➺ Tempo di lettura: 8 minuti

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Federico Marchetti, 50 anni, fondatore e Ceo di Yoox Net-A-Porter Group, tra le vie di Manhattan. Vive con sua moglie, Kerry Olsen, e sua figlia, Margherita detta Maggie, tra Como e Milano.
INNAMORATO DI NEW YORK Federico Marchetti, 50 anni, fondatore e Ceo di Yoox Net-A-Porter Group, tra le vie di Manhattan. Vive con sua moglie, Kerry Olsen, e sua figlia, Margherita detta Maggie, tra Como e Milano.
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Carlo, principe del Galles, 71 anni, e Federico Marchetti, 50, a Dumfries House, in Scozia, sede di The Prince’s Foundation, lo scorso ottobre.
TRA I TESSUTI Carlo, principe del Galles, 71 anni, e Federico Marchetti, 50, a Dumfries House, in Scozia, sede di The Prince’s Foundation, lo scorso ottobre.

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