Vanity Fair (Italy)

RACCONTI Gli scrittori Paolo Di Paolo e Michela Murgia rileggono Piccole donne

Uno scrittore ruba Piccole donne a sua sorella, lo legge quasi di nascosto e scopre il coraggio di una ragazza indimentic­abile. Che, guarda caso, vuole fare quello che sarà il suo mestiere

- Di PAOLO DI PAOLO

IL FILM

Alcune scene tratte dal film Piccole donne diretto da Greta Gerwig. Il personaggi­o di Jo è interpreta­to da Saoirse Ronan. Timothée Chalamet è il signorino Laurie, il ragazzo che corteggia inutilment­e Jo.

Quando Laurie confessa di spiare la vita delle piccole donne, quando dice a Jo: «Talvolta voi dimenticat­e di abbassare la tenda della finestra dove ci sono i fiori e, quando le lampade sono accese, è come guardare un quadro», ho capito cosa significa leggere. Quando Jo replica, senza imbarazzo: «Non abbasserem­o più quella tenda e lei potrà guardare quando le pare. Ma mi piacerebbe che lei venisse a trovarci, invece di guardare dalla finestra», ecco, lì ho sentito che è un peccato non poter vivere in un romanzo. La copia di Piccole donne su cui ho letto, da ragazzino, la storia di Meg, Jo, Beth e Amy era stata regalata a mia sorella. E infatti ci sono i suoi appunti a matita sui margini di diverse pagine: «Questo libro l’ho iniziato l’11 gennaio», «Fino a qui ho visto che Meg e le altre sono quattro ragazze modello da poter imitare». A me era stato regalato Le avventure di Tom Sawyer, secondo il consueto schema che separa i libri per i ragazzi dai libri per le ragazze. Pollyanna e Pattini d’argento a lei, L’isola del tesoro e Huckleberr­y Finn a me. Era strano, negli anni Novanta, un maschio undicenne che leggesse Piccole donne? Un po’ sì: strano quasi come se avesse comprato un diario scolastico con la copertina rosa. Perciò ammetto che non mi sarei fatto scoprire dai miei coetanei – e questo già la dice lunga. Avrei dovuto spiegare troppe cose. Che adoravo l’atmosfera dei primi capitoli, che come Jo avrei voluto che fossero sempre le vacanze di Natale. E avrei dovuto ammettere di essere molto preso da lei – benché Alcott la descriva sciatta, la sua bocca «decisa» e gli occhi «grigi e acuti» capaci di vedere ogni cosa, «ora fieri, ora felici, ora pensosi» erano per me una calamita. Il «maschiacci­o» Jo! La sua passione per il raccontare – le cose esistono solo se le racconti! – e la sua insubordin­azione. Non voler diventare la signorina March. La sua fantasia. Le sue strane imprese. Conosce, Jo, il potere dell’immaginazi­one: è così che supera ogni confine. L’immaginazi­one è desiderio. È empatia. È spirito di libertà. Chi ha deciso i confini fra essere una ragazza e essere un ragazzo? Chi ha deciso che fischiare è cosa da ragazzi e sferruzzar­e è cosa da ragazze? Il mondo le dice che deve imparare a dominarsi, che deve combattere il «nemico interno» che la rende ribelle e talvolta rabbiosa, lei intende provarci, ma poi continua a pronunciar­e imperiosa i suoi no. «Dirò quello che mi pare e piace». Rifiuta la gentilezza e la romantiche­ria quando le sembrano stupide e ridicole. Fare la brava ragazza, sì, d’accordo, però fino a un certo punto… «“Ti consiglio di partire su una delle tue navi e di non ritornare finché non avrai provato a vivere a modo tuo”, disse Jo, la cui immaginazi­one si infiammava al pensiero di un simile gesto di sfida». E, d’altra parte, è una che scrive.

Non so di preciso quando ho cominciato a pensare che avrei voluto essere uno scrittore, ma so che poche cose ho amato, mentre l’adolescenz­a arrivava come una tempesta calma, quanto il capitolo di Piccole donne intitolato «Segreti». C’è Jo in soffitta, ci sono i suoi fogli sparsi qua e là. È «completame­nte presa dal suo lavoro», getta la penna quando è sicura di avere fatto del suo meglio, rilegge, lega i fogli con un nastro rosso. Si mette la giacca e un cappello, esce come una ladra da una finestra, aspetta un autobus che la porti «fino in città», «mantenendo sempre un’aria di mistero e di allegria insieme». Il dialogo segreto con Laurie è forse uno dei più belli di questo romanzo fitto di conversazi­oni (Alcott rivela i personaggi lasciandol­i parlare fino a che hanno la gola secca; e chissà se e quanto Sally Rooney, classe ’91, l’autrice di Parlarne tra amici e Persone normali, così giocati sul chiacchier­are, abbia amato Piccole donne). E un po’ ancora mi commuove lo scintillio degli occhi di Jo quando racconta a Laurie di aver portato di nascosto due racconti al direttore di un giornale. «Urrà per la signorina March, la celebre scrittrice americana!», grida il ragazzo, lanciando in aria il cappello e riafferran­dolo. E ancora: Jo che entra nella stanza in cui sono sedute le sorelle, finge di leggere il giornale, comincia a leggere una novella senza rivelare il nome dell’autore e… «Meg non volle crederci finché non vide le parole “Josephine March” stampate sul giornale». La ragazza ribelle nata a novembre, con il naso buffo che ogni tanto si macchia d’inchiostro, nasconde la testa nel giornale e piange. «Battezzò», scrive Alcott, «il suo primo scritto con alcune lacrime. Essere indipenden­te e meritare le lodi di coloro che amava erano i desideri più cari del suo cuore e le sembrava che questo fosse il primo passo verso quella meta tanto desiderata». Scrivere il proprio destino, così, non è solo una metafora. È questione di carta e inchiostro, è mettere in fila le parole giuste. «Raccontaci qualche cosa, Jo», chiedono le sorelle. E forse hanno capito che lei ha un’arma in più. ➺ Tempo di lettura: 5 minuti

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