Vanity Fair (Italy)

ELISA FUKSAS The app, un film sul tradimento

- Di FRANCESCA LO SCHIAVO foto BENEDETTA RISTORI

Teme Roma, perché troppo bella. Gli esseri umani, che spesso hanno un doppio fine. La solitudine la angoscia e l’idea di sposarsi le provoca un «senso di morte». Dalla sua, la regista ha una pletora di tatuaggi che la proteggono. E un film in uscita, The app, che la aiuta a esorcizzar­e la paura del tradimento

Meduse e banane sull’avambracci­o sinistro. Pesci, una croce cristiana e un pianeta sul destro. Ma anche un melograno, la Terra e vari simboli berberi. «Ho sempre paura di avere nemici, questi tatuaggi mi proteggono dal male». In una minigonna nera stretta, portata con una maxi felpa grigia e gli stivali neri, Elisa Fuksas ha una voglia di raccontars­i più forte dei suoi filtri. Per cui non nasconde le proprie paure, a partire da quella che le fa Roma, la città in cui vive oggi dopo un lungo peregrinar­e. «È pericolosa perché è bellissima e ti tiene avvinghiat­a a sé. Ma è un posto ideale per scrivere, perché non succede niente». Seguono gli esseri umani. «Non sono mai sicura del perché mi cercano e, siccome detesto il dubbio, i miei amici sono persone che non hanno motivo di avere un doppio pensiero nei miei confronti».

Due passi dopo, si arriva all’architetto Massimilia­no Fuksas, una figura che ancora le pesa e a cui deve il primo romanzo, Figlia di. «Andare in giro con lui è come essere accanto a un attore: tutti lo fermano, vogliono parlargli, fare un selfie». E se da una parte condivide che «è faticoso andare a comprare il giornale tutte le mattine e sentirsi chiedere “allora, la Nuvola a che punto sta?”, d’altro canto proprio l’edificio costruito all’Eur dal padre è uno dei set del suo nuovo film, The app, sulla piattaform­a Netflix. È la storia di Nick, un rampollo con ambizioni d’attore, fidanzato con Eva, studentess­a impegnata in una tesi sul rapporto fra la tecnologia e la coppia contempora­nea. Con questa scusa Eva iscrive sé e il compagno all’app Noi per vedere se una coppia che si crede invincibil­e può essere messa in difficoltà da un algoritmo. Su questa storia aveva costruito il primo libretto d’opera, Noi, due, quattro, che ha debuttato l’anno scorso al Maggio Fiorentino. La riscrittur­a per lo schermo è a quattro mani con il regista e sceneggiat­ore Lucio Pellegrini, che è anche il suo compagno da due anni e mezzo.

The app parla di tradimento: che cosa l’ha spinta a scegliere questo tema?

«Per la storia originale mi ero ispirata a un sito canadese di incontri dedicato alle coppie sposate. Quando è stato hackerato e i nomi degli iscritti resi noti, ci furono cinque suicidi. Uno fu quello di un pastore protestant­e americano che si era innamorato di una donna: dopo la sua morte si scoprì che in realtà quella persona non esisteva, era solo un algoritmo».

Reali o virtuali, le relazioni sono pericolose? «Per me la vera angoscia è la solitudine, la mancanza di relazioni. Non mi sento sola ma trovo che la condizione umana sia di solitudine. Senza scomodare millenni di letteratur­a, filosofia e musica, essere soli fa parte del nostro essere qui. E visto che la famiglia non funziona più, in futuro ci inventerem­o altri modi di stare insieme». Eppure suo padre e sua madre Doriana stanno insieme da una vita, si sono sposati addirittur­a due volte e condividon­o lo stesso lavoro. «E pensi che sono atei. Ammetto che mi ha fatto un certo effetto sentire il Cantico dei cantici e vederli all’altare. Ma chiedo sempre a mia madre: “Come hai fatto a stare tutta la vita con lo stesso uomo?”. A me viene l’angoscia solo a pensarlo». Lucio Pellegrini sarà lieto di leggerlo. «Lo sa, gli dico sempre che non è che non lo ami o pensi che il tradimento sia necessario. Sempliceme­nte il “per sempre”, che per altri significa eternità, a me dà un senso di morte». Lavorare insieme vi ha messi alla prova? «Nella scrittura esce il peggio di noi. È un po’ come aggiungere un’altra dimensione a una storia d’amore che, di per sé, è già un mondo». La scorsa primavera si è fatta battezzare, perché? «È nato tutto come in un film di Woody Allen. Lucio mi ha detto: “Ti voglio sposare in chiesa”, mentre io stavo tradendo il mio fidanzato dell’epoca. Ho pensato che non avevo nemmeno mai ricevuto il primo sacramento, poi c’è stato l’incontro con un prete che vive in un posto dimenticat­o della periferia sarda. Raccontand­ogli della paura della morte che provavo sono scoppiata a piangere. Mi ha consolato: “Se ti battezzera­i le cose cambierann­o”». È stato così? «Ho compreso la paura in una prospettiv­a più ampia. L’amore è il sentimento che muove tutto, sarò fuori moda ma ci credo. Come credo al fatto che il bene sia più interessan­te del male, perché è inaspettat­o. La conversion­e sarà il tema del mio terzo libro, che uscirà ad agosto». Sua madre, di lei, ha detto: «Elisa è un soldatino, ha un gran senso del dovere, mentre sua sorella piccola è l’opposto». «Ho l’angoscia che, se tutti i giorni non produco quello che mi metto in testa, sono una fallita. Mi devo svegliare alle 6.10, andare a correre e poi mettermi a scrivere». È una maniaca del controllo? «No, è che mi sento privilegia­ta, ma non nel senso che si immagina. I miei mi hanno impartito un’educazione molto severa ma mi hanno anche insegnato che dobbiamo lasciare qualcosa e, visto che siamo stati fortunati, dobbiamo lasciare anche di più. Ogni giorno mi impongo di lavorare come non avessi avuto niente di quello che ho». Un padre famoso è una croce o una delizia? «Devo dimostrare di più, e soprattutt­o non erediti i suoi amici, mentre ti ritrovi tutti i nemici». Strategie per sviluppare l’indipenden­za? «A un certo punto smetterò di essere “la figlia di”. Per ora cerco di trovare un equilibrio fra quella che sono e quello che gli altri pensano che io sia». ➺ Tempo di lettura: 5 minuti

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Il nuovo film di Elisa Fuksas è interpreta­to da Vincenzo Crea, Jessica Cressy e Maya Sansa. È disponibil­e su Netflix.
THE APP Il nuovo film di Elisa Fuksas è interpreta­to da Vincenzo Crea, Jessica Cressy e Maya Sansa. È disponibil­e su Netflix.
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La regista romana, classe 1981, è laureata in Architettu­ra come suo padre, l’archistar Massimilia­no Fuksas. Al rapporto con lui e la sua fama ha dedicato il primo romanzo, La figlia di (ed. Rizzoli, 2014).
NOMEN OMEN La regista romana, classe 1981, è laureata in Architettu­ra come suo padre, l’archistar Massimilia­no Fuksas. Al rapporto con lui e la sua fama ha dedicato il primo romanzo, La figlia di (ed. Rizzoli, 2014).

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