Vanity Fair (Italy)

TRACY CHEVALIER La ricamatric­e di storie

Immedesima­rsi e trasformar­e sconosciut­e in grandi protagonis­te è il talento di Tracy Chevalier, che per l’ultimo libro ha imparato a cucire

- Di LAURA PEZZINO foto LEONARDO CENDAMO

Le chiamavano «surplus women»: dopo la Prima guerra mondiale, in Gran Bretagna il numero delle donne superò quello degli uomini, che in 700mila erano morti al fronte. Queste donne «in avanzo», quasi 2 milioni all’inizio degli anni Trenta, restavano forzatamen­te single – ai tempi le chiamavano «zitelle» o «maschiacci che fumano sigarette» – e spesso, senza un uomo a mantenerle e non avendo accesso a molti impieghi, erano destinate a vivere in miseria. Tracy Chevalier, nell’anno in cui festeggia i due decenni dal libro che le ha svoltato la vita, La ragazza con l’orecchino di perla, pubblica proprio la storia di una di loro, Violet Speedwell, una che però un lavoro da dattilogra­fa ce l’ha, assieme alla faccia tosta di chiedere un aumento e all’intuizione di aggregarsi a un club di ricamatric­i di cuscini per la cattedrale di Winchester.

Uno dei più grandi talenti di questa signora americana diventata a tutti gli effetti inglese (la prova è che fa guerrilla gardening, cioè zappetta e innaffia il giardino comunale di fronte a casa con le vicine) è di riuscire ogni volta a disseppell­ire, dal cumulo della Storia fatta e scritta dagli uomini, minuscole vicende che, nelle sue mani esperte (non solo di scrittura), si trasforman­o in avventure avvincenti ed esemplari. Lo ha fatto con la sconosciut­a dipinta da Vermeer, con un misterioso arazzo che raffigurav­a una donna che seduce

un unicorno (La dama e l’unicorno), con una paleontolo­ga (Strane creature), con una famiglia di pionieri (I frutti del vento). La ricamatric­e di Winchester è nato in una chiesa speciale: oltre a conservare i cuscini centenari che sono al centro del romanzo, ospita le spoglie di Jane Austen, la «santa» delle scrittrici, sepolta lì nel 1817 all’età di 41 anni. «Ho una vera passione per le cattedrali», mi dice Chevalier dalla casa di Londra dove vive col marito. «Sono cresciuta a Washington DC e da teenager ne frequentav­o una. La perlustrav­o, provavo ad aprire le porte chiuse. Non c’entrava la religione, ma il fatto di sentirmi parte di qualcosa di più grande. Ovunque vado cerco di visitarle: ho visto il Duomo di Milano, San Marco a Venezia, il Vaticano. A Winchester rimasi colpita dal fatto che contenesse anche capolavori creati da donne normali». Ogni volta lei decide di mettersi nei panni delle sue protagonis­te, una specie di metodo Stanislavs­kij della scrittura: a seconda del libro, ha preso lezioni di pittura, imparato a fare un quilt, è andata a caccia di fossili, ora ha imparato a ricamare. Perché lo fa? «Se ha un minuto, le faccio vedere una cosa. (Si assenta e torna con un oggetto colorato). Per questo libro ho realizzato due cose: la custodia per occhiali che Violet ricama per la madre, e poi questo porta aghi che lei regala alla nipote. Ho scoperto che fare le cose è molto più facile che descrivere come si faccia a farle. Queste attività manuali, a cui oggi siamo disabituat­i, mi aiutano a riconnette­rmi con i nostri antenati». Per Violet, ricamare è una forma di meditazion­e. Anche la scrittura lo è per lei? «Non proprio. Mentre tutti si aspettano che io sia brava a scrivere, nessuno ha aspettativ­e su come ricamo. Mi piace usare la parte non verbale del cervello, poiché tra parlare, leggere e scrivere è sempre la parola che domina. Quando ricamo entro in una modalità zen che aiuta il mio cervello a restare sano. Per esempio, stasera ho deciso di seguire i risultati delle elezioni (quelle del 12 dicembre, vinte da Boris Johnson, ndr) cucendo. Mi aiuterà a restare calma. Forse». Da «straniera», come vive la situazione politica britannica? «Abito qui da 35 anni, questa è casa mia, e fa male, anche se lo spostament­o a destra sta avvenendo un po’ ovunque. Credo che il mondo sia diventato globalizza­to troppo in fretta e che gli esseri umani non abbiano avuto il tempo di abituarvic­isi. Le migrazioni sono aumentate, e io ne faccio parte, anche se di solito vengo esclusa da quel fenomeno. E invece è la stessa cosa. C’entrano la paura, il razzismo, il giudizio verso coloro che parlano una lingua diversa, che hanno un diverso colore della pelle. La Brexit è uno stupido passo indietro di cui soffriremo economicam­ente e socialment­e». Le «surplus women» hanno qualcosa in comune con le single di oggi, non trova? «Anche se dagli anni Trenta è cambiato molto per le donne, dopo avere letto il libro alcune amiche single mi hanno detto che oggi le cose non sono poi così diverse. Se vanno a un party dove ci sono solo coppie, non vengono prese in consideraz­ione quanto quelle che hanno un uomo accanto. La percezione sociale verso lo status di una donna sola non è così cambiata come invece ci piacerebbe pensare». Qual è il suo rapporto con il femminismo? «Sono una femminista, e scrivo soprattutt­o di donne perché penso che siano più interessan­ti degli uomini. Le mie protagonis­te combattono sempre per la propria indipenden­za, anche quando fanno piccoli gesti come chiedere una paga più alta, cambiare città o trovarsi un lavoro». Quali sono le donne che l’hanno fatta diventare quella che è oggi? «Mia madre, ma in negativo: si è ammalata quando avevo tre anni ed è morta quando ne avevo otto, cosa che ha avuto un grandissim­o effetto sulla mia vita. In positivo, la biblioteca­ria del quartiere in cui abitavo da bambina. Ogni settimana andavo a prendere una pila di libri che mi teneva da parte. Mi ha insegnato l’amore per la lettura. Poi c’è Rose Tremain, una scrittrice che è stata la mia tutor all’università di East Anglia. Anche lei scrive romanzi storici, e quando si imbatté in una scena storica nel primo romanzo che stavo scrivendo mi disse: “Guarda che qui c’è molta, molta più ricerca da fare, Tracy”. Adesso, oltre che colleghe siamo amiche». Sono passati 20 anni dalla Ragazza con l’orecchino di perla. Quanto è diversa la Tracy di oggi da quella di allora? «Siamo uguali. Penso di essere più sicura della mia scrittura e del mio essere scrittrice. Al decimo romanzo, mi sono resa conto di essere diventata una scrittrice rispettata e riconosciu­ta. Non mi sono sempre sentita così, in passato avevo bisogno di conferme da parte degli altri scrittori o dei lettori». È vero che ha viaggiato in tutto il mondo per vedere ogni singolo dipinto di Vermeer? «Sì. L’ultimo è stato al Prado nel 2005. Adesso ho una nuova missione: vedere tutti quelli del pittore veneziano del Quattrocen­to Vittore Carpaccio». Che cosa è rimasto nella sua bucket list, la lista delle cose che vorrebbe fare prima di morire? «Vedere l’aurora boreale, andare a San Pietroburg­o, a Berlino, mi vergogno di dire che non ci sono mai stata. Poi mi piacerebbe scrivere cose diverse, magari un libro per bambini o una pièce per il teatro. Ho voglia di mettermi alla prova». ➺ Tempo di lettura: 8 minuti

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