UNA RISATA CI SALVERÀ
Il «politically correct» è un’etichetta che, da noi, non attacca. Perché siamo scorrettissimi già nel Dna. Non appartiene al nostro genoma il civismo che confina nell’eufemismo. Gli intellettuali hanno provato a importare questa ossessione americana che crede di ridurre il tasso di intolleranza utilizzando un linguaggio appropriato, un comportamento che non urti la suscettibilità di nessuno. Tutto inutile. Perché il ridicolo è più forte del pericolo. Cosa c’è di meglio, per esorcizzare le paure del coronavirus, che sparare sui social fotomontaggi ironici, battute ciniche e barzellette oltraggiose? Mentre aumenta il numero dei contagiati, l’economia va a picco e il mondo ci tratta da lebbrosi, la goliardia italica dilaga davvero come un virus. Sentite. «Ero in fila alle Poste, sono entrati due con la mascherina. PANICO! Poi hanno detto: “Questa è una rapina”. E ci siamo tranquillizzati tutti». Ancora: «Codogno dichiarata ufficialmente patrimonio del… Nun Esco». Sulla porta di un locale: «Vietato usare mascherine e amuchina. Qui si muore da eroi con i boccali di birra in mano». La mejo: «Comunque un mio amico che lavora in Cina mi ha detto di non prendere il Covid-19 perché a settembre esce il 20». Gran finale: «Vendo tampone positivo per coronavirus: 15 giorni a casa, moglie e figli dai nonni, abbonamento Sky e Netflix, cassa di birra. Scarsissime possibilità che venga la visita fiscale».
Con una buona dose di snobismo, queste storielle ci vengono dipinte come un basso gioco di società, cattivo gusto per eccellenza, e invece la goliardia è una faccenda complessa. I nostri rapporti con lo barzellette sono legati a un desiderio di socialità immediata, sono un tentativo di seduzione. Quando uno racconta una storiella faceta, diventa intimamente sociale. Perché l’uomo è l’unico animale capace di ridere. Il piacere del ridicolo, il sollazzo scatologico (dal greco skatós, sterco) è una babilonia di segnali spesso contrastanti. Al di qua di qualsiasi buon gusto, al di là di qualsiasi politicamente corretto. Abbiamo così risate di alto e di basso profilo, di testa e di pancia, da salotto e da caserma. Sulla linea del «riso liberatorio», minaccioso per l’ordine costituito si muove Umberto Eco ne Il nome della rosa quando scrive che la risata nasce «dall’assimilazione del migliore al peggiore e viceversa, dal sorprendere ingannando». L’unico mistero delle storielle è sapere chi le inventa. Nascono dalla strada, dicono. Ma ci deve essere da qualche parte un Nucleo Centrale, un grande Barzellettiere che tira le fila delle trame più comiche del mondo.