DANE DEHAAN
«Narcotrafficante» e «mammo»
Da quando è nata Bowie (sì, in onore a David), DANE DEHAAN ha scoperto la bellezza di prepararle la pappa e leggerle le favole. Sul set, invece, fa lo spacciatore internazionale nella serie ZeroZeroZero. Conciliare tutto si può. Anzi si deve «perché la passione è un bell’esempio»
Non avrei mai immaginato di fare cinema. A scuola di teatro non ti preparano per il successo. Al contrario, ti insegnano ad affrontare il fallimento».
Dane DeHaan mi racconta di aver frequentato corsi per aspiranti attori squattrinati («Ti spiegano che molto probabilmente farai la fame, almeno per un po’»), ma ammette, con un sorriso quasi imbarazzato, di non averne avuto bisogno: «Non ho mai dovuto fare il cameriere per mantenermi. Ho iniziato a recitare subito dopo gli studi».
Non solo. Dopo il suo debutto televisivo, un piccolo ruolo in Law&Order, nel giro di poco la sua carriera è decollata. Al cinema, soprattutto. Con film come The Amazing Spider-Man 2 - Il potere di Electro, Life, nel quale interpretava James Dean, e Valerian e la città dei mille pianeti del regista Luc Besson. Per farlo tornare in tv, c’è voluto un progetto come ZeroZeroZero, la serie di Stefano Sollima, tratta dal libro di Roberto Saviano, e in streaming in queste settimane su Now Tv. DeHaan è Chris Lynwood, figlio di un armatore che ha l’incarico di trasportare una enorme partita di droga da New Orleans fino all’Italia.
Aveva già letto libri di Roberto Saviano?
«Avevo visto Gomorra, il film, e qualche episodio della serie. Ma, per essere onesto, solo dopo aver ottenuto la parte ho cominciato a conoscere lui e il suo lavoro. Una volta abbiamo volato sullo stesso aereo, seduti uno di fianco all’altro. Ma che fosse l’autore del libro l’ho capito solo dopo, sul set».
Nella serie, suo padre è Gabriel Byrne, con il quale aveva già lavorato in In Treatment.
«Ero molto giovane e lui mi aveva fatto da mentore. È incredibile che ci siamo ritrovati di nuovo. Ed è una situazione quasi freudiana, considerato che in In Treatment era il mio terapista e che qui interpreta mio papà. Adoro parlare con lui. E questa volta avevamo ancora più cose da dirci perché mia figlia e la sua hanno più o meno la stessa età (Bowie, la bambina che DeHaan ha avuto dalla moglie Anna Wood, è nata nell’aprile del 2017. Maisie, la figlia nata dal secondo matrimonio di Byrne con Hannah Beth King, compie 3 anni a febbraio, ndr)». Le piace fare il papà? «Ti apre gli occhi. Non sto dicendo che non sia difficile, il primo anno in particolare è stato impegnativo, ma non c’è un solo momento che non vorrei rivivere di nuovo». In che senso le ha aperto gli occhi? «Temo di dover ripetere cose che altri hanno detto prima di me, ma, nel momento in cui ho preso Bowie fra le braccia, ho sentito che tenevo più a lei che alla mia vita stessa. Vederla crescere è bellissimo. Se penso all’immagine tradizionale delle madri e dei padri, mi sento più una mamma. Mi piace farle da mangiare, leggerle le favole. Ha cominciato a parlare presto ed è una chiacchierona». Bowie viene da David Bowie? «Sì. È morto un anno prima che nostra figlia nascesse e mia moglie e io parlavamo spesso di lui. Il video di Lazarus con lui sul letto di morte è una delle cose più incredibili che abbia mai visto. Inoltre volevamo dare a nostra figlia un nome androgino. E David Bowie era androgino come nessun altro». È un genitore protettivo? «Lo sono, ma senza esagerare. Anche se ha solo tre anni, ha già le sue opinioni. Sa che cosa vuole indossare la mattina, che cosa preferisce mangiare, quali giocattoli le interessano e che canzone le va di ascoltare in un certo momento. Vedi già l’individuo che diventerà. Il mio lavoro è “nutrire” quella persona». Lei com’era da piccolo? «Facile. Dormivo, mangiavo. Ed era mia madre a scegliere i miei vestiti, comprava pantaloni, maglie, scarpe e quello mi dovevo mettere». Oggi è considerato uno degli uomini più eleganti al mondo. Quando ha cominciato a interessarsi alla moda? «Al liceo ho iniziato a sperimentare. Ho un’immagine di me alle superiori con farfallino e fascia di Burberry. Vinsi persino il titolo di studente più elegante della scuola. E mi ricordo che una volta, a New York, ero rimasto non so per quanto davanti alla vetrina di Prada a fissare un paio di mocassini rossi che sapevo di non potermi permettere. Qualche tempo fa li hanno realizzati apposta per me. Li stessi che sognavo da ragazzo». Altri sogni da realizzare? «Mi basta continuare a fare l’attore. Recitare è l’unica cosa che m’interessa e credo di farlo piuttosto bene. E vorrei un altro figlio. Siamo spesso in viaggio, mi piacerebbe che Bowie avesse un fratellino o una sorellina con cui giocare». Le manca quando non può portarla con lei? «Tanto. Ma se non concedessi abbastanza tempo al mio lavoro anche la mia famiglia ne soffrirebbe. È importante sapersi prendere cura dei propri bisogni oltre che di quelli delle persone che ami. Senza contare che per i figli è un bell’esempio vedere che i loro genitori mettono passione e dedizione in quello che fanno».