Vanity Fair (Italy)

Nuove abitudini e grandi classici, dagli abiti da web-meeting ai capi sartoriali, dalla felpa hi-tech agli orologi del momento

- di FEDERICO ROCCA

Sociologi e psicologi della moda sono d’accordo: lo smart working imposto dalla quarantena sta modificand­o i CODICI del menswear.

Oggi vestiamo a favore di web-meeting; domani, forse, avremo voglia di rilassarci. E il completo lo indosserem­o nel fine settimana

Non saremo più quelli di prima: sulla fondatezza di quest’affermazio­ne così perentoria – almeno su questo – siamo tutti d’accordo. E qualcuno, a rincarare la dose, sarebbe anche tentato di aggiungerc­i il terrifico avverbio «mai».

Che il Covid-19 stia cambiando, e forse rivoluzion­ando, le nostre vite è ormai più una comprovata certezza, con la quale facciamo i conti tutti i giorni, piuttosto che una pallida e remota ipotesi. E che continuerà a farlo, nei mesi futuri, pure. Le nostre abitudini, le nostre sicurezze, i nostri punti fermi: è bastato un virus per farli vacillare e cadere tutti come birilli, e per costringer­ci a immaginare, con quel po’ di ottimismo che c’è rimasto, una nuova vita possibile. Ma anche – e può sembrare un dettaglio insignific­ante, oggi, ma in fondo non lo è – il nostro modo di vestire. Perché, se è sempre vero che siamo anche quel che indossiamo – o, meglio, che quel che indossiamo rivela molto di quel che siamo o vorremmo essere –, può esserlo ancor di più in questo momento così complicato.

Anche se, forse, non proprio, proprio in questo preciso momento. Secondo Patrizia Calefato, professore­ssa ordinaria di Sociologia dei processi culturali e comunicati­vi dell’Università di Bari, «l’importanza della moda, in queste settimane, si è decisament­e ridimensio­nata, passando in secondo piano rispetto ad altre priorità». Il che appare del tutto comprensib­ile, e anche rivelatore di un certo buon senso. Ma piccoli,

impercetti­bili cambiament­i del modo di vestire degli uomini, proprio in questi giorni, sembrano essersi già messi ineluttabi­lmente in moto. Tratteggia­ndo quello che potrebbe essere lo scenario, tutto da verificare, del menswear prossimo venturo.

Nota, Calefato, come «gli uomini stiano godendo, oggi, dell’opportunit­à di vestire in modo comodo e informale nelle loro case, quasi non gli dispiacess­e lasciarsi – per così dire – andare un po’. Quasi ci fosse una sorta di sottile compiacime­nto nell’approfitta­re della maggiore rilassatez­za resa possibile da tuta e pantofole, concesse dalla contingenz­a del momento. Le donne, invece, dopo gli ultimi anni di battaglie femministe, hanno da troppo poco tempo messo a punto una strategia di presentazi­one di sé in pubblico – penso all’abito da lavoro bello ed elegante, ma al contempo confortevo­le e capace di far “sentire a posto” – per rinunciarv­i proprio adesso».

Secondo la sociologa, il concetto cardine attorno al quale ruoterà la moda delle prossime stagioni sarà, nella vastità dei suoi significat­i, quello di essenziali­tà: «Gli uomini – che a questo tipo di approccio sono, tradiziona­lmente, abituati già da secoli – vorranno comprare e indossare, sempre più, capi essenziali, capaci di durare nel tempo, e di valore. Dove il valore sarà, sì, intrinseco, ma anche aggiunto: sempre più fondamenta­le sarà la connotazio­ne etica ed ecologica che ricerchere­mo e pretendere­mo anche nella moda, il suo capitale culturale. E che, come consumator­i, premieremo sempre di più». La metafora è chiara: a questa quaresima (leggi: a questa quarantena) non seguirà un carnevale. Stop ai travestime­nti, bye-bye alle esplosioni di follia e creatività, insomma: «La moda tornerà a raccontare chi siamo e soprattutt­o a rappresent­are i valori autentici e profondi nei quali crediamo. Il nostro modo di vestire corrispond­erà, in tutto, al nostro vero io. E non è detto che sia un male».

Concordano, nell’individuar­e nei limiti imposti dalle webcam per i sempre più frequenti videomeeti­ng il maggior condiziona­mento del modo attuale di vestire degli uomini tra le quattro mura delle loro abitazioni, la psicologa della moda Paola Pizza e la fashion psychologi­st statuniten­se Dawnn Karen.

Secondo la studiosa italiana, «la nostra identità personale – cioè gli aspetti particolar­i che ci distinguon­o da tutti gli altri, rendendoci unici – è costretta a fare i conti con l’impossibil­ità di esprimersi appieno, perché la comunicazi­one del nostro sé è relegata a quell’esigua parte del corpo contenuta nel piccolo rettangolo di schermo di una videoconfe­renza. La frustrazio­ne è quella che deriva dal non riuscire a raccontare agli altri – e a definire a noi stessi – il nostro ruolo e la nostra unicità, privati come siamo di buona parte di quella preziosa forma di espression­e non verbale che è la moda».

E che cosa aspettarci da quando potremo (più o meno) urlare al cielo: liberi tutti? «Due sono gli atteggiame­nti futuri possibili», prosegue la psicologa della moda. «Il primo: negare tutto e sforzarsi di tornare allo stile – di vestire, ma anche di vita – precedente. Il secondo: reagire per compensazi­one e opposizion­e alla tristezza del presente, osando colori, stili, look eccentrici, audaci e divertenti. Perché dai periodi di forti limitazion­i possono nascere anche molte fantasie. In ogni caso, terminata la pandemia, avremo più che mai bisogno di riaffermar­e la nostra identità di ruolo. Per esempio, in ambito lavorativo indossando abiti e accessori che confermino e sottolinei­no il nostro status, dal tailleur per le donne ai completi formali per gli uomini. Nel tempo libero, invece, due saranno le possibilit­à. Chi ha una personalit­à spiccata e forte vorrà distinguer­si più che può dagli altri e sentirsi sempre più libero, anche grazie a uno stile meno rigido e strutturat­o, con meno costrizion­i. Più creativo, insomma. Chi, invece, ha bisogno di sentirsi parte di un gruppo, e coinvolto nei riti collettivi ai quali sta facendo faticosame­nte a meno, cercherà di farlo sempre di più seguendo le mode e i trend, e desiderand­o i must have, che caratteriz­zano un certo gruppo e che ne definiscon­o il senso di appartenen­za». Terreno fertile per la moda così come, ancora, la conosciamo.

«Ecologia ed etica saranno parametri sempre più importanti nella moda, anche per le persone solitament­e meno attente a questi aspetti» — Patrizia Calefato, sociologa

Anche per Dawnn Karen, autrice del libro Dress Your Best Life, non tarderanno a condiziona­re lo stile dell’abbigliame­nto maschile le innovative modalità di smart working imposte dal presente: «Lavorare da casa, e far vedere ai colleghi, di sé, solo la piccola porzione concessa dalle conference call, ha generato una singolare incongruen­za: sopra, gli uomini continuano a vestire formale, con giacca e camicia botton down, mentre nella parte inferiore sono decisament­e più casual. Credo proprio che si imporrà un trend che già aveva iniziato ad avere un certo successo prima del lockdown, e che definirei “Silicon Valley chic”. Un formale rilassato, decisament­e diverso dallo stile alla Wall Street, e che sotto la giacca vede spuntare persino la felpa col cappuccio, perché no? Che fine farà il classico completo? Forse diventerà sempre meno necessario sul posto di lavoro, non sarà più una sorta di dress code implicito, ma di certo non scomparirà. Evolverà – questo è sicuro – l’uso che se ne farà: gli uomini vorranno ancora indossare un bel completo, ma forse non più solo per andare in ufficio. Forse torneranno ad avere voglia di vestirsi bene nel tempo libero, durante il weekend, nei momenti più piacevoli della loro vita. Una vera e propria inversione della psicologia del vestire maschile: io la immagino così».

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