Vanity Fair (Italy)

AMORE ASPETTAMI

Una coppia clandestin­a, due ragazzi del liceo, una donna che ha trovato l’uomo giusto ma non lo può più vedere, una vedova lontana dai suoi affetti. Il virus ha colpito anche il CUORE. Ma nessun sogno è più potente di quelli di chi ama

- di SILVIA NUCINI

OLIO SU TELA

Si intitola Gli amanti questo quadro dipinto nel 1928 dal pittore francese René Magritte. Si trova al MoMA di New York.

LA PAZIENZA DEGLI AMANTI

Una divinità inesorabil­e e capriccios­a governa il sonno di G., 39 anni, insegnante, un marito e un amante a cui, da quando tutto questo gran casino è cominciato, scrive soltanto di notte, quando si sveglia e, con il cellulare in mano, si chiude in bagno. Federico ha provato a stare sveglio per aspettare i suoi messaggi, ma i risvegli di G. sono imprevedib­ili (una volta all’alba, l’altra prima della mezzanotte, e così via) e, dopo aver rinunciato all’idea di stare in piedi tutta la notte, da settimane dorme con gli AirPods nelle orecchie sperando che la notifica di Telegram lo strappi dai sogni. Di solito si sveglia la mattina senza essersi accorto di nulla, le cuffiette le deve cercare ai piedi del letto. Tentare di persuadere G. a scrivergli di notte, va bene, ma almeno a un’ora fissa, oppure a farlo di giorno è stato inutile. «È convinta che, nei 60 metri quadrati in cui sono confinati lei e il marito, non si possa nascondere nulla, e non vuole che le cose comincino o finiscano per un errore, vuole che succeda per scelta», dice Federico. La pandemia li ha sorpresi all’imbocco di una curva importante per questo amore nato 5 anni fa: G. aveva deciso di dire tutto a suo marito. «Avevamo immaginato ogni cosa nei minimi dettagli, anche ciò che G. avrebbe dovuto infilare nella valigia che doveva preparare di nascosto prima di parlargli. L’idea era che lei gli comunicass­e la sua decisione di andarsene e immediatam­ente prendesse la porta per venire da me. Certe cose, se per così tanto tempo non riesci a romperle, arriva il momento che le devi strappare». Il giorno doveva essere il 13 marzo, quello in cui Federico ha compiuto 44 anni, da solo in casa, niente affatto triste, ma forse per la prima volta da parecchi anni sereno. «Anzi sinceramen­te felice». Di G. gli manca tutto: il caffè prima del lavoro, in quel bar dove sanno tutto e non li conosce nessuno, la sua voce da attrice, l’odore di scuola che si porta addosso. «Ma il sogno del nostro futuro mi tiene tantissima compagnia, un futuro che ho aspettato tanto e che sarebbe già vero, se questo virus non ci avesse chiusi in casa. Nel silenzio delle mie giornate non c’è nessuna paura. Gli amici mi dicono: e se cambia idea? E se la convivenza forzata li riavvicina? “Se” è stata la parola che ha occupato la mia testa per troppo tempo, l’ho buttata fuori. Aspetto il 4 maggio e intanto le faccio spazio nell’armadio, annaffio i bulbi nel vaso, sposto i divani per vedere che effetto fa. La notte dormo come un sasso, e non sento niente».

COL VESTITO LEGGERO

Quando il mondo si ferma che cosa sopravvive? Lo decide davvero una logica darwiniana per cui solo ciò che è forte – nel corpo, nello spirito, nella volontà – ce la fa? E un amore: quand’è che è forte, un amore? Anna soppesa il suo, e non sa darsi nessuna risposta.

La sera in cui all’Ospedale di Codogno si diagnostic­ava il primo caso di Covid in Italia, Anna faceva per la prima e ultima volta l’amore con Daniele, conosciuto solo qualche ora prima a una cena da amici. «Una notte bellissima per tanti motivi. Anche perché una cosa così non mi succedeva da un po’ troppo tempo». Da molti anni Anna aveva fatto pace con l’idea di bastare a se stessa, un equilibrio raggiunto a colpi di volontà e piccole sottrazion­i che però aveva funzionato benissimo fino a quella cena «con l’amico di Miami». Il solito incontro al buio organizzat­o, al quale la sottoponev­ano periodicam­ente e nel quale aveva riposto così poche aspettativ­e da valutare che no, non era il caso di passare prima da casa a lavarsi i capelli. «E invece abbiamo cominciato a parlare come matti. Non abbiamo smesso nemmeno quando la padrona di casa ci ha buttati fuori alle 2 e nemmeno in taxi verso il suo albergo». La mattina dopo Daniele è partito lasciando ad Anna la promessa di tornare entro fine marzo e le viscere sottosopra. «Abbiamo cominciato a fare videochat tutti i giorni, a immaginare il suo ritorno, ma poi piano piano la pandemia ha spento tutto, isolato i Paesi, cancellato i voli. Abbiamo capito che non ci vedremo a breve e nemmeno a medio termine, non sappiamo dare una data ai nostri progetti. Così abbiamo cominciato a conoscerci in modo totalmente virtuale. Compatibil­mente con i fusi orari condividia­mo pezzi di quotidiani­tà: cuciniamo e mangiamo insieme (lui il pranzo, io la cena), leggiamo

«G. aveva deciso di dire tutto a suo marito. Il giorno doveva essere il 13 marzo, quello in cui Federico ha compiuto 44 anni da solo in casa, niente affatto triste. Anzi sinceramen­te felice»

in silenzio. Abbiamo però abolito il sesso, senza dircelo, forse per timore che il nostro rapporto si esaurisse nel sexting». Basterà una telecamera accesa a far crescere un amore, a renderlo abbastanza forte da sopravvive­re alla mancanza di progetti? «Me lo chiedo di continuo. Ma ho già deciso che vestiti mi metterò quando andrò a prenderlo all’aeroporto: uno è leggero, estivo, l’altro più pesante, nell’ipotesi che lui possa tornare solo il prossimo inverno. E ho già una mascherina da parte da portargli. Spero, prima che se la metta, di poterlo baciare».

NOTTE PRIMA DEGLI ESAMI

Le lezioni su Zoom le passano a sbirciarsi: lei prende appunti seria, lui distratto, esattament­e come succedeva in classe. Però poi non c’è la campanella, il corridoio, baciarsi un attimo. Filippo e Gaia, 18 anni tutti e due, stanno insieme da 9 mesi, otto veri e uno virtuale, il più difficile di tutti: ognuno chiuso in casa coi genitori, le case in due punti opposti della città, così lontane da non potersi nemmeno dare appuntamen­to in coda allo stesso supermerca­to. L’ultima volta che si sono visti era il 9 marzo, Filippo ha fatto una foto a Gaia per ricordarsi quel momento, non sapeva ancora quanto speciale. Frequentan­o l’ultimo anno del classico, hanno la maturità che probabilme­nte sarà solo un esame orale, fatto online, dalle loro camerette. «Chi ci restituirà uno dei ricordi più indimentic­abili

della vita? E questi ultimi mesi di scuola prima di andare per le nostre strade, che cosa saranno nella nostra memoria? Io sono incazzato», dice Filippo. «E poi non immaginavo che la quarantena potesse essere un’esperienza così brutale. Brutale e formativa: fare a meno degli altri mi sembra una lezione importante, da non dimenticar­e». Le giornate si susseguono tutte uguali: le lezioni, un po’ di allenament­o con una app, le videochat di gruppo e quelle con Gaia, che fanno sempre un po’ male. «Scriversi è più indolore, lo facciamo tutti i giorni, tutto il giorno, un flusso continuo che ci fa sentire insieme. Cerchiamo di non parlare di quando ci rivedremo, di immaginarc­i delle date. Lei dice che forse non usciremo mai più di casa, io so che non è vero, ma rispetto le sue paure. Così, per evitare di pensare sempre al futuro, giochiamo a battaglia navale, a indovina chi, ci siamo pure inventati un gioco dell’oca da fare coi nostri compagni su Zoom». L’ultima volta che hanno immaginato il mondo dopo, si sono fatti una promessa: che la prima settimana di libertà la passeranno insieme, 24 ore al giorno, per riconoscer­si, azzerare la distanza, recuperare tutto il tempo perso, «tornare a vivere senza paura».

GLI ALBERI FIORISCONO ANCORA

Non si può chiamare amore solo quello di un uomo, Maria lo sa. Perché quell’amore lì, l’ha avuto, e perso, due volte. La vita ti insegna che amori va bene anche al plurale: i figli, i nipoti, un cane, Dio.

Separarsi da tanti amori fa più male che da uno solo? Certe domande sono inutili. È vero però che il bene, quando si moltiplica, ti fa sentire meno sola. Le giornate, in casa senza nessuno – nemmeno il cane che adesso sta con una delle sue figlie, così lei non deve uscire nemmeno per quello – sono infinite. «In più, alla mia età, pensi che ogni giorno in cui ti viene tolta la possibilit­à di vivere davvero lo hai perso. Questo marzo, questo aprile non torneranno, e io che cosa ne ho fatto?».

«Cerchiamo di non parlare di quando ci rivedremo, di immaginarc­i delle date. Lei dice che non usciremo più di casa, io so che non è vero, ma rispetto le sue paure»

Maria, 77 anni, 2 figlie e 3 nipoti, si sveglia ogni mattina piena di positività, da esercitare nelle mura della sua casa da cui tutti, ormai, sono andati via. La colazione, qualche telefonata, il pranzo preparato con cura e senza scorciatoi­e – «la maionese per il branzino me la faccio io» – come antidoto a quello spazio e tempo che con il passare delle ore si dilatano, arginati da alcuni punti fermi: «Le mie ragazze a turno mi portano la spesa, non entrano in casa, la lasciano sul pianerotto­lo, ma da mascherina a mascherina riusciamo a scambiarci qualche parola, è bello. Poi c’è l’appuntamen­to delle 15: mia figlia Laura e mio genero hanno organizzat­o un gioco di società quotidiano a cui invitano me e la consuocera. Poi c’è il rosario: lo dico con la Tv, mi fa sentire parte di una comunità. Quando sono sopraffatt­a dall’angoscia mi metto sul balcone e guardo gli alberi. Mi consola l’idea che le stagioni facciano il loro corso, che la natura continui indisturba­ta a fare il suo mestiere». Maria, che sa che il tempo è prezioso, ha pensato di dare un senso a questo isolamento prendendo in mano la sua rubrica telefonica e cominciand­o, metodicame­nte, a telefonare a tutte le persone di cui, negli anni, si era annotata il numero di telefono. «C’era qualcuno che non sentivo da tantissimo tempo, qualcuno con cui i rapporti si erano raffreddat­i. Qualcuno che non avevo nemmeno voglia di chiamare, ma l’ho fatto lo stesso. Sono stati tutti contenti, è così facile, certe volte, riannodare i fili. Tra le tante cose che mi riprometto per il dopo – e prima di tutto c’è un pranzo in campagna con tutta la mia famiglia, li voglio guardare negli occhi – c’è di non perdere più nessuno, di mantenere vivi i legami». Suona il citofono, è Francesca, la figlia più piccola: le ha portato il cane da vedere. Maria lo saluta dalla finestra e gli lancia un croccantin­o.

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